Le arti marziali giapponesi propriamente dette (intendo il Budo non il Bujutsu) sono state ideate come mezzo per accrescere la persona. Il fondatore dell’aikido ad esempio parlava chiaramente di pratica per formare persone oneste e sincere. Il judo ed il karatedo, per parlare delle più famose, non sarebbero da meno. Probabilmente le gare, i tornei ed i premi hanno fatto sì che l’ego dei praticanti fosse stimolato a crescere, piuttosto che il contrario. Ma l’aikido le gare non le ha, quindi non deve essere questo il problema dato che non è certo una disciplina immune da protagonismo. Eppure uno degli scopi della pratica del Budo è proprio quello di contrastare l’ego.
Un ego troppo sviluppato ci allontana dalla nostra vera essenza, il cui raggiungimento è il fine ultimo della pratica. Un vero maestro di Budo combatte duramente l’insorgere dell’ego negli allievi. Purtroppo, nei rarissimi casi in cui ormai questo accade, il maestro (quello vero) diventa il “cattivo” di turno, il maleducato, quello che ci maltratta – e viene abbandonato. Invece si assiste addirittura ad una proliferazione di “maestri” che con il loro stesso esempio incitano alla vanità. Allora perché avvicinarsi a queste pratiche se esse si sono così allontanate dai principi fondamentali?
Forse la risposta è nel mondo in cui viviamo. Quella di oggi è la società dell’apparire. Conta più l’involucro esterno patinato rispetto a ciò che si è in realtà. Quindi può sembrare giustificabile utilizzare tutti i mezzi leciti per pubblicizzare la propria attività, foto, video, social web. Così i potenziali “clienti” potranno essere informati dell’esistenza di un dojo di Budo. E’ noto che persino il fondatore Morihei Ueshiba avesse creato dei video divulgativi che lo ritraggono mentre esegue le sue “tecniche divine”. Ma non è facile oggi discernere fra pubblicità “funzionali” alla diffusione della disciplina e quelle legate a protagonismo, o meglio, ad una carenza in fatto di Budo (perché l’eccesso di ego in un maestro di Budo è una grossa carenza!).
Ricordo una storia dell’antico Giappone in cui un vecchio maestro di karate si era dovuto trasferire in un villaggio dove nessuno lo conosceva. Gli fu quindi assegnato un compito umile come quello di preparare il tè. Egli non protestò facendo notare le sue grandi capacità marziali, cosa che gli sarebbe stata semplicissima. Invece si mise a servire il tè agli abitanti del villaggio in totale umiltà. Finché un giorno un viandante lo riconobbe come il grande maestro di karate quale era e gli chiese di insegnargli. Così tutti poterono constatare l’abilità del vecchio, la voce si sparse e il suo dojo diventò il più frequentato della zona.
Impossibile immaginare qualcosa del genere oggi. È inconcepibile che non ci si faccia la benché minima pubblicità aspettando che qualcuno in qualche modo si accorga della nostra esistenza. Il passaparola si fa su internet ed io stesso pubblicizzo l’esistenza del mio dojo utilizzando tutti i canali a disposizione.
Ma qual è il limite?
Sono convinto che l’insegnamento della storia del vecchio maestro sia l’umiltà che un insegnante di Budo deve avere. Non dico di starsene nascosti nel proprio dojo ad aspettare che ci caschi dentro qualcuno, ma il vecchio maestro della storia non smaniava di far sapere a tutti quanto fosse in gamba. È un comportamento tipico di chi è in gamba per davvero: non sente il bisogno di dirlo in giro.
Eppure non appena otteniamo un riconoscimento ci affrettiamo a renderlo noto al mondo. Perché?
Se mi metto nei panni di una persona alla ricerca di un dojo, posso anche immaginare che mi interesserebbe molto il curriculum del maestro. In linea molto generale, si può pensare che il grado alto, l’esperienza, il numero di allievi o di cinture nere maturate possa essere uno dei primi motivi di scelta. Se queste notizie non sono pubblicamente disponibili, la scelta potrebbe cadere su altri. Quindi sembra legittimo pubblicizzarsi, evidenziare il proprio curriculum, dichiarare la linea didattica praticata, i titoli che ci abilitano all’insegnamento, tutto a tutela dell’eventuale sottoscrittore.
Ma la cosa dovrebbe finire qui. È difficile stabilire dove si ferma l’informazione e dove comincia il vanto.
Immagino che un vero maestro di Budo non debba essere per forza di cose bello, piacente e fotogenico. Non credo che sia coerente pubblicizzarsi con foto e video in cui appariamo in pose plastiche, atletiche, eleganti. Dovrebbe essere inutile e fuorviante cercare di sembrare degli atleti invincibili per attirare adepti al proprio dojo (o la penso così perché non sono bello e atletico e vengo male in video? Mmm… dura realtà).
Nel Budo essere grandi e forti, saltare più in alto o correre più veloce non dovrebbe avere alcun senso.
Ma forse è questo che chiede il mercato, quindi ci si adegua.
Molti grandi maestri vengono spontaneamente filmati ed i relativi video fanno il giro della rete. Non parlo di questo, ma di video e foto preconfezionati a scopo pubblicitario o per far sapere al mondo quanto siamo forti. Lo stesso vale per le foto che ci ritraggono con l’ambito diploma di passaggio di grado appena conquistato, in particolare se si tratta di gradi alti, quelli che vengono riconosciuti senza esame, e quindi non sono pensati per essere incorniciati ed esposti ma piegati e conservati in privato (per questo i diplomi sono più grandi). Non mi sembra in linea col lavoro che si dovrebbe fare nel Budo eppure sono proprio i più grandi maestri che si prestano per primi a questo gioco, facendosi la foto con l’allievo premiato, dal Doshu in giù; altri fanno vero e proprio marketing con produzione di video e libri, dal Doshu in giù…
Cosa ha a che fare tutto ciò con il Budo? Niente, ma non c’è neanche da demonizzare troppo: qualunque gruppo o aggregazione di persone è inevitabilmente un campione rappresentativo della società – ci si trova di tutto. Visto che la società odierna è così, anche il mondo del Budo la rispecchia. Ma si dovrebbe lavorare per cambiare tutto questo, non per assecondarlo…
Ed eccomi qua che mi gonfio di ego a scrivere queste stesse parole. Non se ne esce…
“Keichu, il grande insegnante di Zen dell’era Meiji, era il capo di Kofuku, una cattedrale di Kyoto. Un giorno il governatore di Kyoto andò per la prima volta a fargli visita. Il suo aiutante presentò il biglietto del governatore, sul quale era scritto: Kitagaki, Governatore di Kyoto.
«Io non ho nulla a che fare con questo individuo» disse Keichu al suo aiutante. «Digli che se ne vada».
L’aiutante andò a restituire il biglietto con molte scuse. «È stata colpa mia» disse il governatore, e con una matita cancellò le parole ‘Governatore di Kyoto’. «Torna ad annunciarmi al tuo maestro».
«Oh, è Kitagaki?» esclamò il maestro quando lesse il biglietto. «Voglio vedere quest’uomo».”