Volevamo chiamarci i Colesterock, gli Attempati, gli High Pressure, gli Arythmics. Ma siamo i Music Box. E io, ex geologo di una compagnia petrolifera, padre di famiglia, ormai oltre il mezzo secolo di vita, che cosa ci faccio qui? Ormai neanche lo sognavo più. Io in un gruppo rock? Roba da ragazzi! La mia chitarra sarebbe stata sempre con me anche se l’avessi suonata raramente, così, per ricordare la passione di gioventù. Ma niente di più. Ho altro da fare ormai.
Le ultime parole famose…
Nel febbraio 2016 persi il mio lavoro. Un brutto colpo quando si hanno poco più di 50 anni. Nel nostro paese, in particolare, può succedere che sia la fine della carriera. Era un po’ di tempo che un amico di mia sorella mi rinnovava l’invito di unirsi a lui ed alcuni altri amici per strimpellare un po’, nonostante l’età. Io avevo altro da fare, “insegno Aikido, ho un bambino che va alle elementari, un lavoro…” – poi il lavoro è sparito. Nubi scure all’orizzonte. Anche mia moglie a quel punto mi ha spinto ad accettare l’invito, forse nella speranza che mi aiutasse a non buttarmi giù in quel momentaccio.
Così mi sono ritrovato a rispolverare la fida PRS EG4 e il piccolo amplificatore Peavey Blazer 158 da 15W ed a provare, arrugginito, un paio di assoli, a ricordare i testi dei brani da suonare. Qualcosa si stava muovendo dentro di me. Qualcosa che era rimasto sopito, forse soffocato, nel profondo del mio essere ora si stava spingendo lentamente verso la superficie. Esplose letteralmente quella sera del febbraio 2016 in cui mi unii al gruppo dei Music Box. Sala prove: il soggiorno della casa-maneggio del batterista mio vicino di casa. Quella sera c’erano tre chitarristi, un pianista cantante, il batterista ospitante ed un giovane bassista, decisamente fuori quota come età. Iniziammo con Comfortably Numb dei Pink Floyd. La suonavo “da giovane” col gruppo che avevo con mia sorella, che mai era uscito dalle sale prova di Roma. Ho ancora le registrazioni che facemmo negli anni 80 ed ogni tanto le ascoltavo. Mi lasciarono la parte del solista e quella del cantato di David Gilmour. Fu una bomba. Non tanto per la qualità dell’esecuzione, quanto per l’emozione che mi aveva invaso. Provammo altri brani, poi scoprii che la tradizione era quella di sedersi a tavola insieme, imbandirla con qualcosa che ognuno aveva portato e chiacchierare di musica, progetti e “cazzeggio” vario. Ero stato catturato…
Questi erano i Music Box, nati dalle ceneri di un precedente gruppo sempre dell’area di Sacrofano, nelle splendide campagne del Parco di Veio, a nord di Roma. Il pianista Sàndor Muller, che mi aveva invitato, ed il batterista Antonio Fiumefreddo non volevano smettere di suonare ed insieme hanno insistito a tenere viva l’attività musicale, coinvolgendo chiunque potesse averne voglia. Dopo un po’ di mesi, suonando a volte anche solo in due, si cominciò a formare un embrione di gruppo. Sàndor, noto restauratore attivo in zona, abile pianista e cantante, di padre Ungherese, ha una totale passione per la musica, preferendo il Brit-Pop tra tutti, dai Beatles in poi; suona anche basso e contrabbasso. Antonio Fiumefreddo, il proprietario di casa, istruttore ippico e proprietario del maneggio, è un batterista formidabile, con passato di strumentista e produttore affianco a gente del calibro di Francesco Bruno, con cui aprì il concerto di Sting e Gil Evans a Perugia. La sera in cui entrai io nel gruppo fu la prima volta anche per Raffaele Papale, polistrumentista di notevole cultura musicale (ingegnere civile di alto profilo nella vita), che si presentò con una bella Fender Stratocaster “sunburnt” American Standard con cui suonò le parti ritmiche. Qualche mese prima si era unito alla banda Paolo Marinucci, “l’architetto”, chitarrista e cantante con ottime basi armoniche e musicali, patito dei Beatles, con un passato attivo in gioventù in un gruppo che appunto faceva cover dei Fab Four. Presto perdemmo il giovane bassista e Raffaele acquistò un basso per cimentarsi al suo posto, rispolverando un ruolo di gioventù.
Per un po’ la formazione fu: Tastiere e voce: Sàndor Muller, classe 69; Chitarra solista e voce: il sottoscritto, classe 64; Basso: Raffaele Papale, classe 58; Chitarra ritmica e voce: Paolo Marinucci, classe 50; Batteria: Antonio Fiumefreddo, classe 53. Raramente un amico, Alessandro, classe 70, ci veniva ad aiutare al mixer. Alla fine grande “magnata” nel maneggio. Serate di grande piacevolezza. Bei tempi…
Passammo un po’ di belle serate assieme finché Antonio, il batterista, ci prospettò la possibilità di fare una nostra prima uscita “live” lì, nel suo maneggio, difronte a parenti ed amici. Chiacchierandone con un vicino di casa, bassista del un gruppo rock in cui il cantautore romano Massimo di Cataldo suona la batteria, venne fuori il suo interesse a partecipare al progetto. Così Piero Cassini, classe 74, si unì al gruppo un paio di mesi prima della nostra esibizione, in cui Raffaele Papale divenne tastierista/effettista, nonché sassofonista in uno dei brani. Piero, grande appassionato di vini, chitarrista acustico passato al basso, amante del rock e del prog, entrò immediatamente in sintonia con noi, sia musicalmente che non (mi riferisco ai “cazzeggi vari”).
E nel giugno 2016 ci fu il primo concertino, nel verde del Maneggio Fiumefreddo: davanti ad un discreto numero di parenti ed amici, presentammo la nostra scaletta che da allora apre con Shine On You Crazy Diamond e chiude con l’apoteosi di Comfortably Numb, dei Pink Floyd. Ci furono le dovute “stecche”, le immancabili incertezze, ma tutto sommato andò bene e ne fummo soddisfatti. Soprattutto ci divertimmo e facemmo divertire.
Poi ci fu la pausa estiva e nell’autunno ci preparammo per un evento in un locale del Sacrofanese, la Terra di Ocram. Io ero così preso dalla cosa che studiavo di notte sia i brani, gli assoli, che la tecnologia riguardante i pedali, gli effetti…. ero più coinvolto di quando ero giovane e grazie alle lezioni video su YouTube, miglioravo ogni giorno, superando decisamente le capacità e la conoscenza che avevo da giovane. Ormai la chitarra era tornata a far parte di me inesorabilmente. Questo, mi dicevo, era il vero me stesso. Rispolverai anche il sogno di ragazzo di avere una Fender Stratocaster: vendetti bene la mia PRS ed acquistai una bella Stratocaster Classic 50s, Made in Mexico nel 2006, anno del 60° anniversario del modello che replicava, in splendida livrea “surf green”.
Nel frattempo, spinti dal rigido inverno che ci impediva di provare in aperta campagna, spostammo la nostra base in una sala nella proprietà della famiglia di Sàndor, migliorando i nostri problemi di acustica in un ambiente ristretto con batteria dal vivo.
Purtroppo, le nostre velleità esibizioniste non piacquero a Raffaele Papale, che ci abbandonò non ritenendo per lui più divertente né il repertorio, né la scelta di “fare serate”, direzione che il gruppo aveva ormai preso.
Il 17 dicembre 2016 invitammo amici e parenti al ristorante per sentirci suonare e li stupimmo con una esibizione piuttosto energetica che comprendeva persino Smoke on the Water dei Deep Purple e una Bad Love, di Eric Clapton, da me introdotta con un Inno di Mameli con la chitarra elettrica in stile Jimi Hendrix (che fece pensare a qualcuno che fosse l’inno americano!).
Fu una serata indimenticabile, purtroppo anche perché la ricordiamo come l’ultima volta di Paolo Marinucci, che pochi giorni dopo ci lasciò, stroncato da un infarto all’età di 66 anni il 30 dicembre. Questo fu sì un duro colpo. Avevo appena perso mio zio, il fratello giovane di mio padre, che iniziò me e mia sorella alla chitarra quando avevamo 11 e 9 anni rispettivamente. L’estremo addio era stato nel giorno di Natale. Cinque giorni dopo sarebbe scomparso il nostro Paolo, una delle persone con cui con la chitarra avevo ricominciato…
Andammo avanti lo stesso, come eravamo convinti che Paolo avrebbe voluto. Sàndor, d’accordo con la famiglia di Paolo, cominciò a maturare l’idea di una nuova esibizione da fare in memoria di Paolo non appena fosse stato possibile. Nel frattempo parlò con un amico chitarrista che, venendo da un gruppo progressive che sembrava doversi sciogliere, poteva essere interessato ad unirsi a noi. Così fece, ed Alessandro Badii, chitarrista di formazione classica ed amante del progressive, entrò a far parte dei Music Box (anche lui perfettamente sintonizzato nel “cazzeggio vario”). L’amministrazione locale di Sacrofano ci prospettò la possibilità di organizzare uno spettacolo nella piazzetta storica del paese, uno scenario davvero suggestivo. Anche altri amici di Paolo che suonano in vari gruppi della zona manifestarono il desiderio di voler partecipare.
Così finimmo per essere 4 band che si sarebbero succedute sul minipalco allestito dal Comune, ognuna suonando 6-7 brani. Noi, il gruppo di Paolo, avremmo concluso la serata con un ospite d’eccezione, il figlio di Paolo, Andra Marinucci, grande voce e grande spirito e forza d’animo per la sua giovane età. Si decise di organizzare la cosa per il 25 aprile, il compleanno di Paolo. Man mano che tutto si realizzava e la data si avvicinava, l’emozione si faceva sempre più forte e sarebbe poi esplosa all’inizio della nostra esibizione. Mettemmo a disposizione gran parte della nostra strumentazione per gli altri gruppi. Ci aiutammo l’un l’altro per allestire il palco, mentre l’associazione che tutela il centro storico di Sacrofano preparava i posti a sedere, le decorazioni della piazza, le tavole imbandite. E così cominciò, aprendo le danze con il gruppo di Alessandro Badii, i “Go to Heaven”. L’atmosfera si stava scaldando e i ragazzi ebbero l’onere di rompere il ghiaccio. Poi seguirono gli ottimi Galleria d’Arte, notevole il chitarrista e la loro interpretazione di The Final Countdown degli Europe, dapprima stranamente lento, tipo ballad, per poi esplodere in chiave metal. Prima di noi gli Area 73, ex-gruppo di Sàndor e Antonio, che vedevano alle tastiere Maurizio Zarrillo, fratello del più famoso Michele, scomparso anche lui recentemente. Con loro abbiamo diverse sovrapposizioni in scaletta, ma optarono per lasciare a noi i brani dei Pink Floyd, a cui noi avevamo aggiunto Time, nel frattempo. Quando suonarono Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, Piero non ha resistito e si è gettato sul palco a cantare con loro.
Gli intermezzi tra un gruppo e l’altro erano gestiti abilmente da Andrea Marinucci, con siparietti acustici e battute varie. Avevo scoperto poche ore prima che l’ultimo degli intermezzi, quello che precedeva al nostra esibizione, avrebbe compreso Wish you were Here dei Pink Floyd, cantata da Andrea e suonata da Piero, tristemente adatta, visto il tema, alla serata. Mi offrii di farne parte optando per un accompagnamento arpeggiato con la chitarra elettrica. Erano in tanti a vederci, le famiglie, i genitori, alcuni amici ed, ovviamente, la famiglia di Paolo al completo. L’emozione era tanta.
Prima di salire sul palco per Wish you were Here, immaginando come sarebbe stata struggente, mi avvicinai alla mia famiglia, diedi un bacio a mia moglie ed al nostro piccoletto che aveva voluto restare lì, assieme ai miei genitori, a guardare gli altri gruppi aspettando quello del papà. Mentre salivo sul palco camminando verso la mia Stratocaster, l’emozione mi causò una sorta di black-out: tutta quella gente, forse un centinaio di persone, non c’era più. C’ero io, c’era la mia chitarra, c’erano i miei amici e c’era Paolo, ne sono sicuro. Raffaele pure era lì, non poteva mancare. Portò il suo Mac ed un proiettore con cui fece apparire effetti speciali e foto dei Music Box che con Paolo suonavano allegramente.
I ricordi sono indelebili: ecco Piero che presenta il brano in questione, particolarmente consono al nostro sentire del momento, descrivendo un suo simpatico ricordo di Paolo; il figlio Andrea attacca il famoso arpeggio di Wish you were Here con la sua acustica; al secondo giro mi unisco io con l’elettrica, delicatamente all’unisono, poi l’assolo acustico introduttivo di Piero con la sua splendida Taylor. Niente batteria, solo il basso di Francesco, dei Galleria d’Arte. Tutto perfetto.
Poi tocca a noi.
Salgono sul palco anche gli altri, risistemiamo i microfoni, qualche battuta e poi il silenzio.
Sàndor prepara il suo nuovo Kurtzweil con uno splendido effetto e introduce la parte iniziale di Shine on you Crazy Diamond, col tappeto di tastiere che aumenta di volume lentamente, misteriosamente, con i campanelli di Antonio e alcune note psichedeliche della mia chitarra. A Sàndor spetta l’onere di iniziare col solenne assolo di tastiera. A me quello di partire col famosissimo assolo di Gilmour. Attendo un po’ più a lungo per aumentare la tensione nel pubblico che assiste in silenzio, forse pure un po’ sorpreso. Poi arriva il momento delle celeberrime 4 note arpeggiate, ogni arpeggio per tre volte ugualmente distanziate nel tempo, poi il quarto, più ravvicinato, che segnala l’ingresso di batteria sul quinto. Sento il palco tremare sotto i colpi di Antonio in un crescendo trascinante. La batteria aumenta di volume vertiginosamente facendo crescere l’emozione. Alla fine il crescendo esplode in tutta la sua potenza quando Piero inserisce la linea di basso, mentre la chitarra di Alessandro risponde ad ogni mio arpeggio con un urlo struggente che strappa l’applauso spontaneo al pubblico. Ancora ho i brividi mentre lo scrivo. Le nostre emozioni erano fortissime in quel momento, sono esplose con quel brano, l’ideale inizio di uno spettacolo. Dopo lo spettacolo, terminato con l’apoteosi di Comfortably Numb, siamo stati circondati dall’abbraccio caldo del pubblico, in particolare dalla famiglia di Paolo. Indimenticabile…
Probabilmente la perdita di Paolo ci ha accomunati, ci ha uniti ancora di più, ci ha fatti diventare gruppo. Suonare insieme quella sera, in quella cornice, davanti a quel pubblico, per quella occasione, ci ha segnati e ci ha saldati definitivamente. E’ stato particolarmente coinvolgente e toccante. Abbiamo trasmesso le nostre emozioni con la musica e con le immagini di Raffaele dietro di noi. L’adrenalina ci è scorsa nelle vene per diversi altri giorni.
Quell’estate fummo invitati a suonare su un vero palco, nella piazza principale di Sacrofano. Poi ancora qualche locale fino all’abbandono, per impegni di vita, di Alessandro. Ora siamo rimasti in quattro, il classico gruppo con chitarra, tastiere, basso e batteria. Continuiamo a provare, a cercare di suonare in qualche locale, ci divertiamo molto e ci impegniamo a cercare di tirar fuori dai nostri mezzi limitati ma non banali qualcosa di buono, di ascoltabile e piacevole.
Suoniamo per il nostro piacere ma siamo anche spinti dalla voglia di condividerlo con chi accetta di venirci a sentire. Né più, né meno. Alcuni brani ci provocano certe emozioni. Suonarli noi stessi è ancora più intenso. Ci piace l’idea di condividere queste emozioni con chi ha voglia di esserci.
Nel mio caso, ho riscoperto l’amore per la chitarra con cui sono praticamente cresciuto, una parte di me stesso che avevo perso e che ho ritrovato in un periodo buio. Mi ha dato la forza per andare avanti, un motivo di focalizzazione dell’attenzione che mi ha impedito di perdere la testa e la speranza. Un modo per riuscire a creare qualcosa di buono, di riuscirci tutto sommato bene, a conferma personale che nel mio profondo posso trovare la prova che forse qualcosa sono ancora capace di creare ed offrire.
Finché c’è musica c’è speranza…