In una stagione della famosa serie televisiva di successo Desperate Housewives, alcuni dei protagonisti maschili si ritrovano a suonare assieme formando un gruppo che diventa la loro attività ricreativa per il tempo libero. Il mio personaggio preferito guarda caso era il chitarrista solista (e suonava una Fender Stratocaster nella serie). Quindi mi sono immedesimato e trovavo la cosa molto simpatica. Peccato che gli sceneggiatori avevano invece pensato a questo siparietto per far fare ai membri del gruppo la figura degli immaturi che ancora non avevano lasciato alle spalle l’adolescenza.
Eppure immaginerei un autore televisivo come un artista e in quanto tale una persona che stima chi in qualche modo porta avanti una passione artistica pure essendo un padre di famiglia e lavoratore. Può darsi benissimo che gli autori intendessero la cosa con sarcasmo, cioè che volessero ironizzare sulle reazioni di tutte le mogli nei confronti dei mariti immaturi che ancora si mettono a suonare in un gruppo. Ma sinceramente non mi sembrava così. E’ opinione diffusa che l’arte sia per gli artisti e che se non sei “artista” devi startene buono e fare il tuo dovere di persona matura ed adulta. Ma che significa?
Nel più recente e godibilissimo Modern Family uno dei protagonisti ricorda di quando da giovane suonava la chitarra vedendo lo strumento del ragazzetto della figlia. Ovviamente nell’episodio fa la figura del simpatico imbecille che ancora pensa alla sua adolescenza e vorrebbe ricomprarsi una chitarra. Ci risiamo. Perché un padre di famiglia di 40 o 50 anni che vuole riprendere a suonare la chitarra è giudicato male?
Lo scrittore coreano Young-Ha Kim in un suo discorso sulla piattaforma TED sottolinea come tutti noi nasciamo come artisti. Poi veniamo educati a non esserlo più. Ed è per questo che impediamo alle generazioni successive di farlo. Ci è stato impedito, abbiamo soffocato la naturale tendenza all’arte e così imponiamo la stessa cosa ai nostri figli tramite il giudizio collettivo: “è roba da artisti o da adolescenti”. Eppure non è una cosa sana psicologicamente parlando. Young-Ha Kim esorta a fare arte da subito, a non smettere mai. Non è necessario che sia il proprio lavoro, l’arte non è solo per chi ne fa una professione. Se facciamo gli operai non è detto che ci sia vietato dipingere quadri nel tempo libero, anche solo per il piacere di farlo. Non è necessario venderli, diventare famosi per giustificare il fatto che nel tempo libero dipingiamo o scriviamo poesie come l’autista d’autobus nel film Paterson di Jim Jarmusch. Nella nostra società una attività è giustificata solo se porta a un ritorno economico. Quello che fa bene all’anima è giudicato come qualcosa di inutile se non immaturo. Chi ha dovuto soffocare questa naturale tendenza piegandosi alla normalizzazione imposta dalla società è ovviamente quello che critica di più le persone che invece danno libero sfogo alla propria creatività artistica.
Non sto istigando nessuno a lasciare il proprio lavoro o trascurare le proprie responsabilità e darsi all’arte. Il lavoro è indispensabile e nobilita. Le responsabilità rimangono prioritarie. Ma il nostro lavoro non ci definisce necessariamente. Se non siamo stati così fortunati da fare della nostra arte un lavoro, sarebbe ben più sano continuare comunque a praticarla nel tempo libero. Purtroppo molti non lo fanno sia perché non trovano il tempo, sia per evitare giudizi negativi. Molti sono sinceramente convinti che non sia cosa da fare, si danno per così dire un contegno in base alla propria immagine pubblica o di persona “matura”. Eppure dovremmo sforzarci di trovare il tempo. Spesso gli uomini hanno un hobby, è più facile che accada per essi che per le donne. Gli uomini trovano naturale ritagliarsi uno spazio separato dalle responsabilità di tutti i giorni. E’ una valvola di scarico che consente loro di recuperare le energie psicologiche perse nelle attività di cui sono responsabili ma che non necessariamente coincidono con la loro naturale attitudine.
Spesso dichiaro di essere un geologo, nel senso che essendomi laureato in geologia definisco così la mia formazione. Ma io “sono” qualcos’altro. Non è detto che io “sia” il mio lavoro. Se la geologia fosse “la” passione della mia vita, quella definizione sarebbe corretta. E’ molto comune definire le persone in base al loro lavoro: “è un medico, è un insegnante, è una poliziotta, e così via”. Perché il verbo essere usato in questo modo dichiara il lavoro dell’oggetto di cui si parla. E’ anche normale usarlo così. Ma dovremmo fare un po’ più attenzione. Oggi lavoro come “application manager”, mi occupo in pratica di informatica. Dovrei definirmi così. Ma non è il lavoro a definirmi, non lo è mai stato anche se ho sempre cercato di fare lavori che mi interessassero (e ci sono quasi sempre riuscito). Ma in fondo in fondo io sono un chitarrista. Non ci guadagno soldi? Ok, non sono un chitarrista professionista, ma sono chitarrista perché questa è la forma d’arte che pratico, tramite cui resto in contatto con la vera essenza del mio essere. Perdere questo contatto è nocivo. E’ una cosa che fa diventare la vita più difficile se non amara. Perché dovremmo farlo? Proprio non lo capisco…