E’ normale nella pratica delle arti marziali che esista un insegnante di riferimento di alto livello a cui molti praticanti si ispirano. La figura del maestro nel senso stretto del Budo giapponese oggi quasi non esiste più. Nonostante ciò, molti di noi esprimono la propria preferenza dichiarando ufficialmente o meno il maestro che amano seguire, a cui ispirano la loro pratica. Secondo me bisogna fare alcune precisazioni a riguardo.
Fatti salvi i casi di “stalking” in cui certe persone pedinano il proprio maestro, lo osservano durante una normale giornata, si appostano sotto casa a spiarlo, oggi “seguire” un maestro significa più che altro frequentare i suoi stage, le sue “lezioni”. Per chi ha la fortuna di abitare nella stessa zona di tale maestro, basta iscriversi al suo dojo e si è a posto; per i meno fortunati si tratta di spendere soldi in viaggi per cercare di vedere il proprio ispiratore con una certa costanza durante l’anno, per poter dichiarare poi “seguo quel maestro”. Anche io nel mio curriculum aikidoistico dichiaro di “seguire” gli insegnamenti di Philippe Gouttard, maestro francese della FFAAA. I motivi sono diversi ed ognuno ha i suoi, sia per praticare Aikido che per seguire un dato maestro.
Per quel che mi riguarda vorrei precisare cosa intendo io per “seguire” e cosa significhi la parola “maestro”.
Ho ormai passato il traguardo del mezzo secolo di età. Non ho bisogno di maestri, di qualcuno che mi guidi nella Via. In 50 anni ognuno di noi dovrebbe ormai sapere cosa sia la vita e magari mettere la sua esperienza a servizio dei più giovani. Philippe Gouttard non è il mio “maestro”. E’ sicuramente un maestro di Aikido, ha parecchia più esperienza di me, 10 anni di vita in più, 30 anni di Aikido in più – e a che livelli! Quando dichiaro di seguire Philippe Gouttard lo faccio per chiarire ad un interlocutore o ad un potenziale praticante che volesse iscriversi al mio dojo che tipo di Aikido cerco di portare avanti. Fondamentale in questa frase è le parola “cerco”. Che io segua Philippe Gouttard non significa assolutamente che ci si debba aspettare da me una prestazione aikidoistica paragonabile alla sua. Tutto quello che riesco a fare sul tatami è sicuramente anche merito suo, ma tutte le stupidaggini che faccio, gli errori, le cose inguardabili sono esclusivamente colpa mia. Questo perché un qualunque insegnante, che sia io o il numero 1 dell’Aikido mondiale, potrà ripetere certi insegnamenti fino alla noia ma non è detto che anche i suoi allievi più assidui alla fine faranno davvero come è stato loro insegnato. In poche parole, non ci si deve aspettare da me un Philippe Gouttard “in miniatura”, una sorta di replica del suo Aikido in copia inevitabilmente brutta. Ognuno di noi ha un suo corpo e lo usa in modo diverso. E’ importante rispettare certi principi fisiologici ed è quello che cerco di fare io nella mia pratica sforzandomi di passarli anche a chi si allena con me. Mi ispiro a Philippe Gouttard per questi principi, mi piace la sua pratica, la preferisco a quella di altri, per questo cerco di vederlo il più possibile durante l’anno, ma non lo imito (o almeno cerco di non farlo). Quello che secondo me è sbagliato, è cercare nel mio Aikido le caratteristiche di quello di Phlippe Gouttard. Primo, perché io non sono lui, secondo, perché la mia preparazione ed esperienza non sono minimamente paragonabili alle sue.
Il punto è che l’imitazione di un maestro porta fuori dalla Via. Quello che un maestro, se è davvero tale, sta cercando di fare è tirare fuori dal praticante il suo vero essere. Certo non è cosa che si ottiene creando imitatori, cloni. D’accordo, i principi tecnici che il maestro insegna vanno seguiti, rispettati. Ma quello che cerco di fare io è di acquisirli, metterli in pratica ed assimilarli grazie al fatto che ho la responsabilità e la volontà di passarli a chi si allena con me. Cercando di illustrarli, tramandarli, li faccio più miei, trovo un modo mio di dimostrarli, di insegnarli, non necessariamente identico a quello di Philippe Gouttard, anzi, possibilmente diverso. Ed è ovvio che in questo potrei sbagliarmi o comunque potrei fare qualcosa che lo stesso Philippe Gouttard non riconoscerebbe come suo insegnamento. Ma ognuno di noi deve avere la possibilità di provare, interpretare, sbagliare, nel tentativo di far propria la tecnica (fermo restando che non si deve mai uscire dai principi dell’Aikido, ad esempio utilizzando calci e pugni, propri di altre arte marziali, quando la tecnica non riesce). Se questa cosa non avviene, come possiamo pretendere di insegnare?
Il maestro di Budo poi usa la tecnica solo come mezzo per arrivare al cuore del vero essere del praticante che ha difronte. Nella prima fase è necessario un certo grado di imitazione, di rigore tecnico, di focalizzazione sull’aspetto esteriore del movimento. Un musicista all’inizio dovrà per forza studiare la tecnica dello strumento, prima di poterne creare arte. Ma non è una cosa che può durare una vita. Trovo un po’ surreale che insegnanti con 30, 40 anni di esperienza abbiano ancora da imparare dal punto di vista meramente tecnico, esteriore. Si suppone che abbiano ormai raggiunto età venerabili quali i 50, 60 anni. Come si può credere che debbano ancora bisogno di una guida? Certo, è verissimo che nel Budo nessuno è mai “arrivato”, che la crescita è costante e dura tutta la vita. Quello che non mi convince è quando dopo decenni e decenni di pratica si dichiari ancora di avere un riferimento da seguire sulla Via. Non nego che tra un grande maestro di 70 anni ed un grande esperto 50enne ci possa essere ancora una bella differenza. Quello che stento a credere è che un tale esperto abbia ancora bisogno del grande maestro che gli spieghi come fare kotegaeshi. Se è così, c’è qualcosa che non va…
Ai bei vecchi tempi, quando non c’erano questi dannati gradi, si usava rilasciare il certificato di trasmissione totale della conoscenza, il Menkyo Kaiden. Il maestro dichiarava pubblicamente che una certa persona aveva imparato da lui tutto quello che aveva da imparare. Fine. Questa persona poteva ormai procedere da sola lungo la Via, cercando a sua volta di tramandare le sue conoscenze. Che senso avrebbe avuto rilasciare un tale certificato ad una persona anziana, ormai prossima alla fine? Intendo dire: che senso ha “seguire” un maestro, averlo come guida nella Via per tutta la nostra vita? Effettivamente, di solito, il maestro è ben più anziano dell’allievo. Oggi però non è raro vedere maestri ed allievi coetanei. Non mi spiego come possano gli uni chiamare maestri gli altri e viceversa. Lo posso capire da un “allievo” che abbia 20 o 30 anni in meno del “maestro”. Ma se l’allievo, dopo 20 o 30 anni di pratica non ha ancora staccato il cordone ombelicale e sta ancora a pensare se sbaglia o meno a fare ikkyo, siamo al paradosso; tanto peggio se il cordone non lo spezza il cosiddetto maestro. Sarebbe come un genitore che non vuole che i figli crescano. Paura di essere spodestato? Di rimanere senza allievi, di perdere il controllo, il potere? Chissà…
Secondo me il termine “maestro” è piuttosto abusato (e di riflesso anche il termine “allievo”). Non voglio che un mio coetaneo che ha famiglia, lavora da anni, ha figli più grandi di me, mi chiami maestro. In cosa sarei io il suo maestro? Magari nella vita ha ben più esperienza di me. Posso spiegargli qualche tecnica ma non mi chieda di mostrargli la Via! Chi si definisce allievo di un certo maestro di solito tende ad imitarlo, in genere nella “presunta” bellezza dei movimenti, del gesto tecnico. Li chiamo i cloni. Un clone è la negazione del Budo. Sono eterni bambini che vorrebbero un giorno essere bravi come i loro padri. Molti si fregiano di essere allievi di un maestro, come se questo fosse un titolo. La realtà è che ognuno di noi è maestro ed allievo di se stesso. Non si dovrebbe sfuggire da questa responsabilità. Troppo comodo mettersi dietro ad un insegnante cercando di ripetere i suoi gesti tecnici tanto da arrivare a farli nello stesso identico modo. E poi? Una volta imparato questo? Si cambia arte marziale per imparare i gesti di un’altra? Certo, fa curriculum avere svariati dan in svariate discipline. La persona potrebbe essere un bello spettacolo da circo, ad esempio, come nelle dimostrazioni. Il Budo non ha niente da dimostrare. A volte è necessario farsi vedere durante la pratica per cercare adepti, ma spesso non si tratta di altro che esibizionismo, puro ego. Altra negazione del Budo.
Si torna sempre allo stesso argomento: purtroppo oggi siamo troppo presi dal voler apparire. Ci colpiscono i maestri con la tecnica più spettacolare fermandoci al gesto esteriore, senza chiederci se sotto ci sia la sostanza. Questa sostanza non ha niente a che vedere con la micidialità della tecnica in uno scontro fisico. Ma insistiamo a prepararci a questo scontro, seguendo il maestro più spettacolarmente micidiale.
Contenti voi…