Una foto che mi ritrae attorno ai 20 anni, sorridente come raramente appaio nelle foto dell’epoca, felice nel mio elemento, soddisfatto di me stesso. Non lo ero davvero (ma lo sarò mai?), infatti venivo spesso ritratto col muso lungo, come se fossi arrabbiato o se avessi appena passato un guaio. Ma in questa foto sono in una pausa in una sala prove col gruppo in cui suonavo da studente universitario, con mia sorella al basso e altri due amici a batteria e tastiere. Stringo tra le braccia l’oggetto più prezioso della mia vita. Non perché fosse qualcosa di costoso, anzi. Era la mia prima chitarra elettrica, una copia del modello Fender Stratocaster che ho sempre sognato. Me la regalarono i genitori al mio 16 compleanno. Da allora fummo inseparabili. Ecco perché sto così bene in questa foto che per questo mi ha fatto riflettere.
A parte l’evidente splendore della gioventù e una certa somiglianza col cugino a cui poi regalai quella chitarra, la foto mi ha fatto pensare al perché qui sorridessi così tanto mentre nelle altre il mio volto è di solito buio. In quel periodo studiavo geologia all’università. Sono arrivato in fondo, sono diventato geologo e ho promesso a me stesso che non avrei sprecato quel titolo di studio facendo un lavoro qualunque: mi sembrava un’offesa ai sacrifici che avevano fatto i miei per farmi laureare, uno spreco. Così non ho mai smesso di sognare di fare il geologo e alla fine ci sono riuscito. Perché invece ho smesso di sognare di fare il chitarrista? Beh, per un motivo ben diffuso: lavorare da musicista è difficilissimo (nel senso di riuscire a vivere di musica). E io non avevo alcun titolo di studio da musicista. Da geologo sì. Così il sogno di fare il geologo si è realizzato. E ad un certo punto si è pure infranto. L’azienda per cui lavoravo è fallita ed io ho perso il lavoro. In quello che è forse stato il periodo più buio della mia vita ho riscoperto la chitarra.
Dopo aver realizzato il sogno di fare il geologo mi sono appassionato ad un’altra cosa, un’arte marziale giapponese non agonistica, l’Aikido. La chitarra la suonavo occasionalmente, a casa, dietro i dischi preferiti e molto più raramente con altri in sala prove. Più che altro suonavo una acustica cantando i brani che conosco, anche solo per sfogo. Ero nel mio elemento sul tatami, non più con la chitarra in braccio. Il mio sogno dopo un po’ diventò di poter insegnare Aikido ed avere un corso mio. E ci riuscii, poco dopo la nascita di mio figlio. Ero realizzato, avevo il lavoro dei sogni, avevo sposato la donna che amavo e con lei avevamo avuto un figlio stupendo. Era il periodo più bello. Ma la perdita del lavoro a scombussolato tutto. Il caso aveva voluto che qualcuno mi avesse da poco proposto di suonare in un gruppo. Declinavo perché era già difficile con gli impegni di lavoro e padre di famiglia mantenere un corso di Aikido. Purtroppo a quel punto avevo un impegno in meno. Mia moglie stessa mi disse di andare a provare con questi “ragazzi” di mezza età che ancora si dilettavano con gli strumenti preferiti.
Quando dissi di sì fu come se qualcosa di sepolto nel mio profondo tornasse alla superficie. Ero quasi disperato, depresso, spaventato dal futuro incerto in una età critica per perdere il lavoro, poco dopo i 50 anni, troppo giovane per andare in pensione e troppo anziano per essere assunti di nuovo. L’idea di avere una data per le prove con un gruppo, di nuovo, a 50 anni e passa mi faceva fremere dentro. Rispolveravo il piccolo amplificatore per la pratica casalinga. Ripulivo la mia Paul Reed Smith che giaceva per la maggior parte dell’anno nella sua custodia nera. Non era la Stratocaster dei miei sogni. Grazie ad un lavoro temporaneo in un negozio di strumenti musicali avevo potuto acquistare ad una cifra irrisoria l’interpretazione della Stratocaster di Paul Reed Smith, una EG4 “bolt-on” del 91, ancora fatta a mano negli USA. Splendida, di un rosso ciliegia scuro con manico in palissandro. Costruzione impeccabile ma semi inutilizzata ormai. Eccola che tornava protagonista. Dentro di me si risvegliavano sensazioni ormai sopite. E’ successo 5 anni fa e ancora il ricordo è intenso. Ero piacevolmente sconvolto dalla riscoperta di qualcosa che era stato per me fondamentale, tanto da definirmi.
In poche parole era meravigliosa l’idea di avere un appuntamento dopo qualche giorno in uno splendido maneggio dove il batterista ospitava gli amici che volevano suonare, una volta a settimana, con piacevolissima cena e chiacchierata a seguire, con qualcosa che ognuno portava da casa. Era quello di cui avevo bisogno, un momento per ritrovare me stesso in quel periodo buio, facendo qualcosa che amavo fare davvero e per di più in un ambiente stupendo e accogliente. Mentre la data si avvicinava le sensazioni dimenticate si riproponevano a me mentre cercavo di preparare gli assoli che avrei dovuto affrontare e i brani per me nuovi previsti quella sera d’inverno del 2016. Cambiavo le corde alla chitarra ma stavolta con un amore ritrovato. Scoprivo Youtube come fonte inesauribile di suggerimenti, lezioni e qualunque cosa possa venire in mente sulla chitarra. Perché non ci avevo mai pensato prima? Ad averci avuto questo strumento a 15 o 20 anni! Come sarebbe diverso adesso! E come lo sarebbe se avessi studiato il mio strumento, se avessi almeno investito di più sulla chitarra. Cosa mi era successo, perché avevo quasi abbandonato una passione che mi faceva risplendere di felicità in una foto degli anni 80?
Era cambiata la mia vita, questo era successo. L’ostinazione a voler fare per forza, a dover essere a tutti i costi un geologo aveva sostituito il desiderio di suonare la chitarra. Questa era diventata una cosa della gioventù ormai passata. Da adulto c’era ormai il lavoro e la laurea in geologia che imponeva di trovarne uno in quel campo. Eppure il mio primo lavoro è stato nella musica. Era in un grande negozio di strumenti musicali, nel reparto di audio professionale. Amici geologi mi dicevano che avevo trovato un lavoro bellissimo, avendo a che fare con mixer, microfoni, registratori multipista, ecc. del reparto audio professionale. Eppure io non facevo che lamentarmi del fatto che ero un geologo e quello avrei dovuto fare. Invece quella opportunità avrebbe potuto instradarmi verso una specializzazione da fonico (al tempo avevo anche valutato ingegneria del suono ma poi ero finito a geologia) che mi avrebbe riportato alla musica anche nel campo del lavoro; in effetti mi occupavo di “hard disk recording”, una novità dell’epoca che grazie alle mie capacità informatiche e la conoscenza dell’inglese potevo affrontare e chissà, magari anche diventare qualcuno nel campo. Oggi l’hard disk recording è la norma, non si chiama più cosi ma solo registrazione digitale, che anch’essa è oggi la norma…
Ma così non è stato e presto mollai quel lavoro che mi aveva fatto conoscere musicisti famosi e non. A ripensarci ora forse ero cieco, non riconoscevo che il destino mi aveva proposto una strada in base al mio originale desiderio di avere a che fare con la musica. Ma ho insistito con la geologia prendendo un bel po’ di schiaffoni e ritardando di parecchio la mia indipendenza. Quando finalmente sono riuscito a trovare il primo lavoro da geologo ero quasi all’esaurimento nervoso, tanto che anche mentre facevo quello che dicevo di desiderare tanto non ero davvero soddisfatto nel mio profondo. Eppure avrei potuto fare anche di più, sono arrivato persino ad essere invitato a trasferirmi negli USA per un PhD. Ho avuto parecchie difficoltà economiche e fatto diversi sacrifici per rimanere nel campo della geologia fino ad arrivare a sfondare in un piccola compagnia petrolifera canadese. Così ho messo su famiglia …e anche un corso di Aikido.
Quando è finito il lavoro da geologo per fortuna la famiglia è rimasta unita, ma con il prepotente ritorno della chitarra e della musica l’Aikido è pian piano scemato. Forse stavo ritrovando me stesso, quello vero, e l’immagine di geologo e aikidoka che mi ero creato non reggeva più. Forse avrei dovuto laurearmi in ingegneria del suono invece di geologia e/o studiare chitarra o almeno puntare sulla professione di fonico dopo la laurea, vista l’occasione del lavoro nel negozio di strumenti musicali. Non si possono fare questi ragionamenti, quel che fatto è fatto e cambiando anche solo un minimo particolare di quello che è stato il risultato odierno non sarebbe lo stesso e non avrei questa moglie e questo figlio. Pura fantasia.
L’importante è riconoscere cosa sono veramente. Grazie al fatto di suonare in questo gruppo ho conosciuto persone nuove e alla fine ho avuto anche una nuova opportunità lavorativa, stavolta in campo informatico, altra materia a cui avevo pensato mentre sceglievo il corso di laurea da seguire. Sono rinato come chitarrista, ho imparato tantissimo in questi ultimi anni, più di quello che ho imparato nei precedenti 20. Il mio unico vero rimpianto è non aver più la mia prima chitarra elettrica. La regalai al cugino che mi somiglia sperando che andasse avanti anche lui nella musica. Ma poi la regalò a sua volta a qualcun altro e se ne sono perse le tracce. Nel febbraio 2016 ho ripreso a suonare un un gruppo, ho ripreso ad essere me stesso davvero. A novembre ho voluto per questo realizzare il mio sogno di chitarrista: avere una Fender Stratocaster. Ma l’unico modo possibile era vendere la Paul Reed Smith. Non si vende una PRS, specie se è una di quelle ancora fatta a mano negli USA. Ma non avevo scelta. Certo che avrei potuto continuare a suonare con quella chitarra, ottima qualità, un gioiellino. Ma avevo deciso che a quel punto della mia vita, vista la batosta appena subita e la riscoperta di una passione sopita, mi meritavo di realizzare un sogno di gioventù tornato a me in un periodo per il resto buio. Semplicemente: me lo meritavo. Vendendo la PRS potei acquistare la mia attuale Stratocaster messicana, un amplificatore a transistor abbastanza grande per le prove e una serie di effetti a pedale che mai avrei potuto permettermi da disoccupato.
Ho avuto anche occasione di esibirmi col mio gruppo più volte, anche se in situazioni amichevoli come la piazza del paese o locali di conoscenti davanti ad amici e parenti. Non mi era mai successo da giovane. Lo avevo sognato, sì, ma mai realizzato. Chi l’avrebbe mai detto che avrei dovuto attendere oltre i miei 50 anni per realizzarlo? Chi l’avrebbe mai detto che avrei dovuto attendere così a lungo per riconnettermi con quel bel ragazzo di 22 anni di quella foto dell’86?