Il “maestro” in italiano (senza scomodare vocabolari) è una persona particolarmente capace in una data materia od arte, che sa usare in modo ammirevole uno strumento qualunque. Nelle arti marziali il maestro ha un’aura mistica, è maestro di vita, anche. Io insegno Aikido dal 2010 e ogni tanto a qualcuno “scappa” di chiamarmi così, anche se sa che mi dà fastidio…
Corro un po’ il rischio paradossale di “vantarmi” della mia umiltà dicendo che odio essere chiamato maestro. Non lo faccio per umiltà, odio essere chiamato maestro perché, nell’accezione delle arti marziali, non lo sono affatto (e non perché non ho il grado a cui convenzionalmente si usa far “scattare” il titolo). Ho già scritto che ci si può, forse, ritenere maestri di qualcuno solo se si potrebbe esserne genitori, anagraficamente parlando; quindi bisognerebbe avere più o meno una ventina di anni in più dell’allievo potenziale. Poi, se siamo maestri di quell’allievo lo può decidere solo l’allievo stesso, non noi in prima persona. Certo, bisogna anche accettare entrambi i rispettivi ruoli e iniziare un rapporto a due che una volta era fondamentale nelle arti marziali. Diciamo pure che potrei accettare questo rapporto con un ragazzo o ragazza che potrebbe essere mio figlio/a, anche se la cosa è oggi un po’ persa, dato che i progressi nella Via vengono certificati da commissioni federali. Questo già dovrebbe far pensare che forse una Via non c’è più…
La figura del maestro dovrebbe essere centrale nell’ambito del budo giapponese. Oggi abbiamo bisogno di riunirci in associazioni (sportive, addirittura!) o federazioni, seguire programmi tecnici, fare esami di fronte a commissioni. La tecnicità viene esaltata in video pubblicati sulle varie piattaforme “social” oggi disponibili. Ma non è il pericolo questo? Rimanere catturati dalla forma estetica e restarne intrappolati? E la Via, il giapponese “Do”? Che fine ha fatto? Dove sono i maestri?
Quando viene a praticare da me una persona che ha famiglia, magari da più tempo di me, che ha un matrimonio alle spalle da più tempo di me, magari è anche separata ed ha dovuto affrontare tutte le conseguenze del caso, quando questa persona si fa in quattro dalla mattina alla sera per venire poi ad allenarsi con me, come posso accettare che una tale persona mi chiami maestro? Sono io che ho il massimo rispetto e potrei imparare qualcosa da lui/lei. In cambio posso dare qualche suggerimento su come eseguire qualche tecnica di Aikido e soprattutto come queste siano strumenti per insegnarci, si, come funziona il corpo umano, ma anche come affrontare la vita di tutti i giorni (non certo come abbattere un avversario).
Poi capita che qualcuno mi scriva dall’estero, felice di essere riuscito a partecipare ad una conferenza di lavoro parlando di fronte a molte persone, grazie (anche – aggiungo io) agli insegnamenti dell’Aikido. Non ho bisogno di esaminare questa persona seguendo il programma tecnico federale per aggiudicarle un passaggio di grado…
Purché non mi chiami maestro: il maestro è lui…