E’ un po’ che il mio lavoro è passato dal mondo delle scienze della terra a quello dell’informatica. L’argomento è sempre stato un mio interesse tanto che su queste pagine ne racconto anche un po’. Parlo della storia dei computer ma poco di Internet. La Rete è cambiata molto dai primi passi. Quando ho comprato il primo modem un sito internet lo avevano solo le grandi aziende, le università, i centri di ricerca. Era inimmaginabile quello che sarebbe successo nel giro di 20 anni. La posta elettronica sembrava un miracolo ed oggi è obsoleta. Siamo costantemente connessi per nostra stessa volontà e piacere. Ci sono stati forniti strumenti che man mano sono diventati d’uso comune ed indispensabili nella vita di tutti i giorni. Lo scopo è quello di poterci controllare meglio, influenzare le nostre scelte e il nostro pensiero e di catturare la nostra attenzione per lucrare su di essa.
Negli anni 80 il computer ha timidamente cominciato ad entrare nelle nostre case (ricordate? Chi avrebbe mai avuto bisogno di un computer in casa?), poi sono arrivati i cellulari, poi Internet. Ci è voluto un po’ ma siamo arrivati alle prime piattaforme social. Poi la Apple ha inventato lo smartphone unendo tutto in un dispositivo tascabile. Tra un po’ sarà indossabile e finirà per esserci installato in corpo: il prossimo passo è la VR (la realtà virtuale in cui potremo vedere i nostri contatti come se fossero lì ma ognuno di noi sarà nella sua stanza). Poi, vedrete, ci saranno i robot, ognuno di noi ne avrà uno (per le faccende di casa, per assistere gli anziani, per i disabili – come potremo dire di no)?)…
La digitalizzazione della nostra vita, come sostengo da tempo (ma è evidente, non c’è bisogno che io lo dica) ci costringe ad andare di fretta, a fruire di una mole di informazioni tale che non abbiamo il tempo di scegliere di cosa usufruire, quindi il poco che selezioniamo lo riusciamo a fruire solo superficialmente (pensate ad esempio a musica e foto). A mio avviso è emblematico il successo di TikTok presso i giovanissimi: i video possono durare solo pochissimi minuti. E’ uno stimolo alla superficialità, al non approfondire mai: i ragazzi non reggono la durata di un intero film, di un intero brano musicale, figuriamoci un intero album o un libro!
E tutta questa voglia di apparire, condividere, accumulare “like” è secondo me estremamente deleteria. Mi dà l’impressione che, così come le chiacchiere da bar si sono spostate su Facebook e Twitter, il desiderio di diventare famosi in TV o al cinema si è spostato su YouTube e TikTok. Ora tutti possono dire la propria facendo sembrare che sia la verità, i giornali riportano le reazioni della Rete agli eventi, dando importanza a quello che era una volta la chiacchiera da barbiere (“se lo dice la TV” equivale a “l’ho letto su internet”). Chiunque può apparire sullo schermo, grande o piccolo che sia, creando il proprio canale YouTube o TikTok.
A chi fa comodo questa situazione? E’ tutto gratis, ci avete fatto caso? Come dice qualcuno, se un prodotto è gratis vuol dire che il prodotto sei tu! Facebook è gratis, così come Instagram e Whatsapp che ha immediatamente fagocitato. Una volta si cercavano le copie pirata dei programmi, ora Windows, Office eccetera sono gratuiti se ne usufruisci solo su browser. I servizi online gratuiti sono tanti. Cosa hanno in comune? Chiedono di registrarsi, fornendo nome, cognome e email, magari anche il telefono “per un accesso più sicuro”…
E noi abbiamo dato via tutto senza remore (io stesso ho una marea di “account” presso disparati servizi online). In questo modo ogni nostra attività online è monitorata e tracciata. Non c’è scampo. Questo perché la nostra attività sulla rete è utile a profilarci come utenti e acquirenti. Le grandi aziende sono disposte a pagare lautamente i grandi 5 di internet per avere i dati delle nostre abitudini Internet (i cosiddetti “Big Data”). Un conto è tirarne fuori una pubblicità mirata, che abbia maggiore possibilità di provocare un nostro acquisto. Un altro è “profilare” la gente in base alle loro scelte, ricerche internet, o informazioni personali quali sesso, età, credo religioso o politico (ecco perché Facebook ce lo chiede). Finisce poi che certe offerte, magari più vantaggiose, le vedranno solo alcuni, mentre altri, non ritenuti all’altezza, avranno offerte commerciali di valore inferiore (ad esempio, inutile far vedere gli annunci degli affitti di una certa zona a un poveraccio che non se li può permettere). Mi raccomando, è vero che si tratta di algoritmi che descrivono le nostre scelte online e le legano ad un numero, non al nostro nome, indirizzo, ecc. Ma è stato dimostrato che non è difficile, volendo, risalire da quel codice alla persona in carne ed ossa! E più siamo attivi su internet, più è facile risalire all’identità: siamo noi stessi a fornire dati per rendere il nostro profilo più vicino a quello vero.
Con le nostre stesse mani facciamo guadagnare quantità di soldi inimmaginabili a poche grosse multinazionali che lavorano su Internet (le uniche cresciute a dismisura durante il Covid). La nostra ricompensa è di avere servizi gratuiti (non pagare Facebook, Google, Whatsapp e Instagram); per loro si tratta di miliardi di introiti grazie al nostro comportamento online, venduto dai Big Five a multinazionali del commercio. E le Big Five hanno algoritmi di intelligenza artificiale che utilizzano le caratteristiche della mente umana per attirare l’attenzione (più tempo siamo dentro un certo social, più vale la nostra attività online). Ogni volta che ci connettiamo siamo noi, da soli, contro un supercomputer che ci influenza basandosi sui nostri stessi comportamenti in rete. Già un adulto è svantaggiato. figuriamoci i giovanissimi!
Ormai tutti i servizi legati ad internet sono diventati indispensabili per la vita e per il lavoro. Quante volte vi è capitato di dover andar via dall’ufficio perché internet non andava? E cosa avremmo fatto durante il Covid senza Internet? Infatti non è internet il problema o il nemico. Internet è nata come una cosa bella: ok, prima era una rete tra enti militari americani, poi si è estesa però alla ricerca scientifica. Più tardi al CERN in Svizzera hanno inventato il World Wide Web, Internet come la conosciamo oggi, visitabile con un software che chiamiamo Browser. La rete all’epoca era una autorevole fonte di informazione che rendeva pubblici contenuti tecnico-scientifici, notizie, ecc. Una sorta di enciclopedia. I Social Web hanno spostato l’utilizzo di internet verso qualcosa, se mi consentite, di più futile e superficiale. E’ vero che è bello ritrovare vecchi amici, riunire i compagni di scuola, far vedere le foto e i video a parenti ed amici lontani. Ma poi inevitabilmente c’è chi si fa prendere la mano e comincia ad usare questi mezzi per ostentare. Ancora peggio, per manipolare la realtà ai propri scopi. In più chi ci ha fornito questi servizi fa una barca di soldi grazie a tutto il movimento che generiamo sulla rete.
Insomma, oggi in rete siamo spiati dai governi col pretesto della sicurezza nazionale e manipolati dalle potentissime aziende internet che lucrano sul tempo che trascorriamo sulle loro pagine e app, manipolando le nostre menti per conquistare la nostra attenzione. Un primo passo utilissimo è di eliminare qualunque notifica sia su telefonino che computer. Credetemi, si nota la differenza. Poi limitiamo il più possibile le attività sui social web.
Una delle cose più abbondantemente monitorate sulla rete sono le ricerche: quando ho cominciato a “navigare” il motore di ricerca più diffuso si chiamava Altavista (ok, il browser era Netscape – chi li ricorda più?). Oggi cercare qualcosa su internet in inglese si dice “Google it”. Google è onnipresente ed inarrestabile. Il suo motore di ricerca è sinonimo di motore di ricerca. Tutti lo usiamo abbondantemente ogni giorno. Le nostre ricerche, miliardi di ricerche al giorno in tutto il mondo, vengono analizzate da algoritmi che generano dati che valgono oro. Esistono diverse alternative a Google. Io da un po’ sono passato a Duckduckgo, un motore che non registra assolutamente nulla e non pilota i risultati in base agli algoritmi di cui sopra. Può essere facilmente impostato come motore di ricerca di default su ogni browser o telefonino.
E parlando di browser, eviterei il più possibile l’uso di Chrome, visto che è di Google e che ora appena lo aprite è già connesso con la vostra utenza Google. Un primo passo è quindi evitare i browser dei sistemi operativi (Edge e Safari per Windows e Apple; Chrome per Android e qualunque computer). Già utilizzare Brave, uno degli ultimi usciti, creato da uno dei fondatori di Mozilla (quelli di Firefox) è un passo avanti. Brave, anche se ha il motore Chromium di Google per il rendering delle pagine, è già impostato per far filtrare il meno possibile delle attività – utilizza Duckduckgo come motore di ricerca predefinito.
Chi ha un telefono Android è obbligato ad avere un account Google e una Gmail (gli utenti iPhone sono obbligati ad un account Apple ma possono usare qualunque altra mail per crearlo). Io stesso ho usato Gmail per anni e vi aggregavo la posta di tutti i miei svariati indirizzi. E’ comodissimo e funziona benissimo. Per me non è stato facile abbandonarlo ma ce l’ho fatta e sono passato a Protonmail.
Le alternative come Outlook.com (la vecchia HotMail) e Yahoo non garantiscono certo la riservatezza dei vostri messaggi! Anche loro hanno siglato accordi col governo USA tempo fa per l’accesso automatico ai loro server e avere a disposizione i dati decine di milioni di utenti di tutto il mondo. Al CERN di Ginevra, alcuni ricercatori ed ingegneri si sono posti il problema ed hanno comparato la normale posta elettronica a delle cartoline: sono aperte, il contenuto è visibile a tutti. Hanno così creato ProtonMail, un sistema di posta criptato che garantisce la riservatezza totale. Anche Tutanota, un altro servizio di posta elettronica criptato è molto buono. Sono gratuiti per una utenza che richiede un solo indirizzo e poco spazio di archiviazione.
Il consiglio è di utilizzare servizi come ProtonMail e Tutanota per creare una serie di account da utilizzare poi per le nostre attività internet separandole almeno per Social, Acquisti, Banking e Personale = almeno quattro indirizzi mail diversi ma di tipo criptato (anche uno per il lavoro se possibile).
Parlandoci chiaramente, l’ideale sarebbe utilizzare Linux, non Windows o Mac OSX sui nostri computer. Linux gira sulla stragrande maggioranza dei server internet ed è un sistema operativo compatibile con Unix, il primo sistema operativo moderno creato. La sua architettura interna lo rende il più sicuro al mondo, il migliore se vogliamo tutelare la privacy e limitare la diffusione dei nostri comportamenti online ai grandi di internet. Una alternativa sarebbe quella di installarlo su delle macchine virtuali (VM) che girino all’interno dei nostri normali computer per utilizzarlo quando siamo su internet per ricerche, social networking, banking, ecc., utilizzando Browser come Brave o addirittura Tor. Per questo è sufficiente scaricare Whonix, una versione di Linux specializzata allo scopo, pronta per essere caricata su la VM di Virtual Machine, un software di virtualizzazione della Oracle, gratuito e pronto all’uso.
Sui telefonini è un discorso un po’ diverso. Andrebbero utilizzati browser diversi da quelli di Android e iOS (Chrome e Safari), quindi va bene Brave o Tor anche lì. Limitare il numero di app installate. Quando possibile, specialmente per i social, invece di scaricare la app meglio usare il sito dal browser. E’ anche possibile salvarne un’icona sullo sfondo che va poi ad aprire il sito ricordando anche il nostro accesso.
Il consiglio è anche di utilizzare firewall e DNS criptati, in modo da evitare di essere tracciabili anche col telefonino. Certo, il sistema operativo mobile è solo Android o iOS, quindi più di tanto non si può fare. Alcuni telefoni Android permettono l’installazione di GrapheneOS, un sistema operativo mobile basato su Linux totalmente sicuro.
La messaggistica è oggi quasi totale appannaggio di Facebook: Whatsapp è di sua proprietà e lo usiamo praticamente tutti. C’è chi preferiva Telegram ma non dà la certezza della totale cripticità. Purtroppo per scambiare messaggi via telefono bisogna avere tutti la stessa piattaforma ed è difficile convincere tutti a cambiare. Altrimenti la migliore soluzione è Signal. Potrebbe essere il caso di considerarlo per le chat di famiglia, scegliendo tutti di installarlo sui propri smartphone per chattare in totale anonimia. Potrebbe essere una bella idea se si tratta di bambini che cominciano presto ad usare il telefono e le chat. Gli insegnanti e i genitori si dovrebbero prendere cura di informare gli uni gli altri che esiste una alternativa sicura ad una chat di classe su Whatsapp.
Poi però molte scuole hanno già adottato Google Classroom e GSuite per l’insegnamento in remoto, quando esistono alternative lontane dai Big Five…
Ma che dire? Cambiare modo di utilizzare i nostri dispositivi non è facile e probabilmente è su questo che contano. Qualche piccolo sforzo iniziale si può fare. Io uso ormai definitivamente Duckcuckgo per le mie ricerche internet, Brave è il mio browser predefinito sia su Mac che iPhone; uso ProtonMail per la posta ed ho creato account separati per le diverse attività (con una grande fatica per cambiare la mail di accesso a tutti i siti e servizi a cui sono registrato); ho abbandonato totalmente l’uso della mia memoria per le password (usavo sempre le solite per tutte le utenze – male!). Ora uso Bitwarden come password manager (con una grande fatica per cambiare la password di accesso a tutti i siti e servizi a cui sono registrato) ma ora è molto più facile eseguire gli accessi (basta un click e ci pensa Bitwarden a compilare user e (complicatissima) password per me. Devo solo ricordare la lunga passphrase per accedere a Bitwarden, il resto è facile. E mi sento davvero più tranquillo…
Vi consiglio di guardare il film documentario Citizenfour su Amazon Prime (eh si, una delle Big Five) sulla storia di Edward Snowden, che ha corso grandissimi rischi per rivelare come i dati delle grandi di Internet permettano ai governi di spiarci. E badate bene che non è un problema solo americano…