Mono, stereo o multichannel

SD8_Silver-6-1024x662L’inerrastabile avanzata della tecnologia che ci “migliora la vita”… (?)
Fin da bambino rimasi colpito dalla magia della riproduzione audio. A tre anni circa cominciai a cantare, a 10 mi regalarono un registratore a cassette e cominciai i primi esperimenti. Poco dopo ascoltai il primo impianto stereo a casa di uno zio, affascinato dall’effetto creato da due diffusori che emettevano suoni diversi.

Nel l’innocenza dell’epoca pensai che magari, con un diffusore per ogni strumento si sarebbe potuto riprodurre un evento musicale in modo più realistico. Ma non è così che funziona. Per farla breve, abbiamo due orecchie e così due diffusori ricreano al meglio l’esperienza dal vivo di un evento musicale.

Da qualche tempo c’è stato il boom degli impianti multi canale, pensati per lo più per portare il cinema in casa, ma in realtà nulla aggiungono alla riproduzione in alta fedeltà, anzi sono un ostacolo. Investendo la stessa cifra in un impianto stereofonico si ottiene certamente una qualità audio migliore. Il cosiddetto Home theater è semplicemente stato uno dei vari tentativi di ravvivare il mercato, come fu per il CD col vinile, come succede regolarmente con le auto Euro 5, 6 e così via, con i software sempre più aggiornati ed i computer sempre più potenti che servono per farli girare, così che ora ho nel palmo della mano un computer (che fa anche telefonate) ben più potente di quelli utilizzati per andare sulla Luna. E ovviamente suona anche abbastanza bene.

Oggi i computer sono diventati la sorgente HiFi principale. Suonare un file archiviato su hard disk (che abbia le stesse specifiche del CD) attraverso un opportuno convertitore digitale-analogico è già una realtà ben affermata. Del resto la qualità sonora è superiore a quella del lettore CD, a parità di qualità del convertitore. Senza contare tutta la comodità del poter gestire l’archivio musicale da interfaccia grafica, creando playlist, ricerche, visualizzando testi e copertine: possiamo salvare playlist apposite su smartphone per l’ascolto in mobilità o via bluetooth nel nostro impianto in auto. Sicuramente tutto molto comodo.

Con la fotografia è lo stesso. Ormai ogni persona che ho intorno in questo istante potrebbe scattare foto e video a volontà in qualunque momento, pubblicandole aimmediatamente sui propri account social. Pazzesco a pensarlo solo 10 anni fa. La tecnologia ha fatto passi spaventosi creando degli strumenti eccezionali che hanno utilizzi importanti in campi svariati. Ma ci ha tolto qualcosa. La mia sensazione principale è che ci abbia messo fretta.

Il primo grosso cambiamento di vita a cui ho assistito nella mia, credo sia l’avvento del computer personale. Nessuno lo aveva in casa. Oggi lo hanno tutti. Aziende come IBM, Apple e Microsoft hanno fatto una fortuna. Poi sono arrivati i telefoni cellulari. Ho resistito molto, ma nel 1998 ce lo avevo anche io: per lavoro, mi dissero, dovevo averlo…

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Ma come si lavorava prima? Il telefono in tasca non era una necessità ai tempi delle cabine e dei gettoni. Certo, avevamo le macchine da scrivere sulle scrivanie, calcolatrici, carta e penna. Oggi, se salta la connessione internet possiamo anche andare a casa. Non è incredibile a pensarci? L’avvento di internet è quello che ha significato il maggiore impatto sulla vita di tutti i giorni. Oggi internet ed i telefoni cellulari sono un tutt’uno quasi indispensabile. Siamo connessi a livello globale 24 ore su 24. Siamo rintracciabili via telefonia mobile, posta elettronica, chat, social web in qualunque istante. Qualsiasi tipo di informazione è a disposizione ovunque ed in qualunque momento. Sembra una meraviglia, ma poi si osservano gruppi di ragazzini che stanno insieme ma tutti chini sul display (schermo no?) del telefono (che di telefono avrà ormai il 20%) a chattare con amici che non sono lì (chissà quanti di loro sapranno che to chat in inglese significa chiacchierare). La generazione precedente era china sul gioco elettronico portatile, quella prima (la mia) era intenta a giocare e chiacchierare per davvero.

La tecnologia dovrebbe aiutarci e lo fa in molte maniere. Però ci allontana sempre più dalla nostra vera essenza. Immagino che se l’uomo degli inizi del XX secolo vedesse le automobili come una sorta di diavoleria ed il cavallo come il mezzo più naturale per l’uomo. Che bisogno c’era di andare a quella velocità!? Già durante il secolo precedente il treno aveva cambiato i parametri spazio temporali dei primi viaggiatori che poterono utilizzarlo. Distanze e tempi si comprimevano generando problemi a volte seri per chi era abituato a pensare a un viaggio in termini di giorni piuttosto che di ore. L’uomo non era stato progettato da madre natura per quelle velocità disorientanti, innaturali. Roma-Milano in 10 ore piuttosto che in 10 giorni doveva sembrare una autentica follia. Oggi si fa in tre ore e di parla di arrivare a poco più di due, molto meglio che in aereo. Bello viaggiare, ma quanto ci perdiamo per andare ad alta velocità? Nessuno viaggia più a piedi, è diventato un tipo di sport, o meglio una disciplina. Chi si mette sulla strada a piedi racconta di un rapporto col territorio attraversato che si è completamente dimenticato, di una magia ormai persa, del sapere di avere a disposizione molto tempo, rilassarsi e godere del paesaggio che lentamente varia man mano che avanziamo, consentendoci di assorbirlo, farlo nostro, grazie ad un ritmo più umano. È impensabile farlo al giorno d’oggi per i normali viaggi, ma è un’utile riflessione su come sono cambiate le cose e su quanto la velocità di viaggio, ma anche di connessione e di disponibilità di svariate informazioni, sia così superiore alle nostre capacità naturali da essere in fin dei conti non sfruttabile. Un normale software di aggregazione di notizie, ma basta anche facebook, può darci un flusso di informazioni tale che ce ne sentiremmo talmente assaliti da non riuscire a fruirle assolutamente od in modo così speditivo e superficiale da non permetterci di assorbirle. Allo stesso modo, potendo utilizzare il telefono cellulare (ormai trasformatosi in un computer palmare) per fotografare o riprendere qualunque cosa in qualunque momento, ci ritroviamo presto sommersi da una tale quantità di foto e video da non avere il tempo di gestirli e di goderne. È un po’ come il bambino viziato a cui compriamo un sacco di giocattoli: alla fine non sa che farsene e, dopo l’entusiasmo iniziale, smette di giocarci (ma non è mai contento). La tecnologia digitale in campo musicale ci consente di archiviare immense discografie su vari dispositivi; alla fine non abbiamo il tempo di fermarci ad ascoltare la musica davvero e quando lo facciamo, sapere di poter saltare con un click da un brano all’altro, ci spinge a un ascolto superficiale e distratto, con gli auricolari, mentre ci spostiamo da e per il lavoro, in auto o a casa, ma sempre mentre facciamo altro (ottimizzare i tempi!). Figuriamoci quanto importa la qualità.

Eppure sono convinto che, per quanto la tecnologia digitale audio o fotografica possa fare (ed ha già fatto) passi da gigante, l’analogico rimane sempre quello più vicino alle caratteristiche umane. Quando osservo una foto scattata con pellicola, provo delle sensazioni diverse da quelle che ho osservandone una digitale. Addirittura, la differenza la percepisco anche quando osservo una foto analogica su uno schermo digitale, come se neanche la scansione, la sua trasformazione da analogico a digitale, riuscisse a privarla di quel qualcosa in più che possiede fin da quando è stata creata. È lo stesso con la musica. Un buon lettore CD può far davvero godere di una buona registrazione. Eppure il suono del vinile trasmette altro. Non parlo delle banalità come il suono più caldo del vinile, non è vero nulla, ci sono registrazioni analogiche aspre, dischi incisi male, testine dal suono dettagliato e testine dal suono più caldo. Lo stesso vale per la riproduzione digitale. Far suonare il vinile ha qualcosa in più, come la foto analogica, il procedimento più naturale alla base della creazione del prodotto, che sia audio o fotografia. Il segnale analogico è forse più affine intrinsecamente alla percezione umana. Anche la preparazione ha il suo contributo: una cosa è selezionare un file audio sul computer e farlo suonare, rapido, efficace, indolore; tutt’altro è sfilare un vinile dalla copertina, pulirlo, poggiarlo sul giradischi e far calare la puntina. Si finisce per amare anche i fruscii, irrilevanti difronte alla pienezza e alla maestosità del suono analogico (migliore è il sistema giradischi-braccio-testina, meno si sentono gli scricchiolii).

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La maggior parte delle persone, non solo i più giovani, resterebbe molto sorpresa nell’ascoltare un buon sistema analogico; lo sarebbe ancora di più ad ascoltare ottime registrazioni mono di dischi anni 50 o 60. Nonostante i due canali riproducano lo stesso segnale, la sensazione di pienezza e di ambienza può essere superiore a quella di moderne registrazioni stereo. Altro che sistemi multicanale!

Non dico che il suono dell’analogico sia meglio del digitale di per sé, quello dipende dalla registrazione. È l’esperienza di mettere su un vinile, come scegliere un rullino o svilupparlo, che è diversa, più naturale, più consona al ritmo naturale dell’essere umano.

Anch’io vivo in questo mondo di cosiddetta libertà digitale, ma che sembra metterci solo più fretta e più ansia, rendendo rapporti, interessi, letture, ascolti musicali e scatti di ricordi sempre più superficiali.

Allora metto un disco (o carico un rullino) e riprendo contatto con il mio lato umano (un modo come un altro per farlo); scelgo l’album, lo apro, sfilo il disco, magari è da pulire, lo appoggio sul piatto, posiziono il braccio e osservo la testina che scende lentamente; poi – la magia: appare la musica, imperfetta (meglio) col suo rumore di fondo, gli scricchiolii, che sono i benvenuti assieme alle splendide note che fluiscono dai solchi. Mono e stereo neanche importa, purché non sia multichannel…