Mantenendo fede ai miei sogni di dimensione “umana”, nel 1983 io e un amico ci recammo presso un concessionario Alfa Romeo a vedere la nuova piccola della casa di Arese: L’Alfa 33. Ricordo che il concessionario fu molto gentile con noi, spostarono a mano l’esemplare in esposizione in modo da farci accedere comodamente. Ci fecero accomodare nella nuova Alfa consapevoli di stimolare i nostri sogni, sostenendo che noi eravamo gli acquirenti del futuro e bisognava coltivarci fin da ragazzi. Quel giorno mi piacque molto la nuova piccola Alfa. Era sicuramente un salto avanti rispetto all’Alfasud, che pur mi stava simpatica, senza darmi particolari emozioni.
La Alfa 33 deve il suo nome alla leggendaria 33 Stradale degli anni 60. Dalla sua progenitrice Alfasud ereditò l’ormai collaudatissimo motore boxer e alcuni dettagli meccanici e logistici: ad esempio l’indovinata disposizione della pedaliera che sopravviverà a lungo nella casa di Arese nonché l’ordinata divisione della vasca servizi dal vano motore che allo stesso tempo conferiva robustezza strutturale all’avantreno, mentre la stabilità del retrotreno della nuova 33 continua ad essere garantita dall’ingegnoso parallelogramma di Watt che equilibra l’ormai consueto assale rigido posteriore.
Totalmente nuovo è invece il vestito che Ermanno Cressoni confeziona per la nuova Alfa che adotta una carrozzeria più dinamica ed in linea con gli allora moderni stili anni Ottanta fatti di spigoli e linee più decise e quadrate: viene mantenuta la soluzione a cuneo, ma la rivoluzionaria coda tronca e spiovente di Giugiaro ora sembra quasi il baule di una 3 volumi, nel quale però si mimetizza il moderno portellone che tanto era stato invocato sull’Alfasud. Tuttavia rimane molto simile lo schema portante della carrozzeria: ad esempio il vano della ruota di scorta è identico, come altrettanto lo è il serbatoio e la sua ubicazione, uguale anche l’apertura del cofano motore ed il pianale, nonché la dislocazione della presa di rifornimento.
Al momento della presentazione (1983) era disponibile in 2 versioni, la 1.3, spinta dal 4 cilindri di 1351cm3 da 79cv alimentato da un carburatore doppio corpo (lo stesso delle Alfasud 1.3 SC) e la 1.5 Quadrifoglio Oro che però, a differenza della poderosa Alfasud Quadrifoglio Oro da 95cv che si muoveva agilmente con i suoi due carburatori Weber bicorpo, aveva un propulsore più parsimonioso di 85cv ma altrettanto allegro, in pratica quello che equipaggiava le vecchie (oggi introvabili e ricercate) versioni a 4 porte dell’Alfasud Super 1.5, cioè la motorizzazione di punta della vecchia gamma Super. Le due varianti della 33 differivano anche per l’allestimento interno ed esterno. La più ricca Quadrifoglio Oro era riconoscibile per la mascherina color argento metallizzato, gli ampi fascioni neri laterali, i copricerchi integrali, i profili color oro nei paraurti, gli indicatori di direzione anteriori con trasparente bianco, i rivestimenti interni in tessuto pregiato, il volante in legno e la dotazione più completa. La 1.3, priva di fascioni laterali, aveva invece la mascherina nera, coprimozzi neri sui cerchioni, i trasparenti arancioni per le frecce anteriori, il volante in plastica, rivestimenti meno pregiati e una dotazione di accessori ridotta. Una delle particolarità della prima serie consisteva nel quadro strumenti solidale con il piantone del volante regolabile ispirato vagamente alla Lamborghini Miura.
Nel 1984, con la definitiva uscita di scena delle Alfasud, la gamma della 33 si arricchì delle versioni 1.3 S, 1.5 4×4, 1.5 Quadrifoglio Verde e Giardinetta (Sport Wagon – a sinistra). Quest’ultima, la 1.5 SW, era stata acquistata da un fratello di mio padre e poi usata dal figlio e alla fine da un cugino. Ricordo l’impressionante ripresa, anche in 4a in salita! La sensazione della schiena che si attacca al sedile durante le brucianti accelerazioni e i consumi davvero notevoli del boxer con due carburatori a doppio corpo!
L’Alfa 33 1.3 S era simile alla normale 1.3, ma equipaggiata col 1351cc dotato di due carburatori doppio corpo, capace di erogare 86cv (ex Alfasud Ti 1.3). La 1.5 Quadrifoglio Verde (spinta dalla versione da 105cv del boxer di 1490cc, anch’esso proveniente dall’omonima versione dell’Alfasud Ti) aveva una connotazione sportiva: paraurti e fascioni verniciati, mascherina specifica, cerchi in lega, bandelle sottoporta, sedili anteriori sportivi con poggiatesta traforati. La versione 1.5 4×4 berlina derivava dalla Quadrifoglio oro ma era dotata di trazione integrale inseribile manualmente e di motore dotato, nella versione iniziale, di un solo carburatore doppio corpo con potenza di 84 cv. Importante (e finalmente di successo) anche la riuscita versione station wagon a 5 porte, denominata Giardinetta. Disegnata da Pininfarina e dotata di un allestimento simile a quello della Quadrifoglio Oro, la Giardinetta era disponibile nelle versioni a trazione anteriore o 4×4, entrambe dotate di motore da 1490cc e 95cv nella versione con due carburatori doppio corpo. Le versioni a doppia trazione della prima serie venivano carrozzate dalla Pininfarina di Torino.
Mi è capitato di portare un’Alfa 33 Giardinetta Quadrifoglio Verde e ricordo le stesse sensazioni della Giulietta: una potenza incredibile, anche in 4a ed in salita, la schiena incollata al sedile durante le accelerazioni – ovviamente i consumi erano proibitivi…Restai affezionato solo alla 33 prima serie, i restyling non mi convinsero più di tanto.
Dal 1985 cominciai a sognare il nuovo mito che sostituì l’adorata Giulietta: l’Alfa 75. Era il 75° anniversario dell’Alfa Romeo e il nuovo modello prese appunto il nome 75, continuando la nuova denominazione dei modelli, cominciata con l’Alfa 33 nel 1983 e con la 90 nell’84, a numeri piuttosto che a nomi. Non era un bel momento per l’Alfa Romeo, con le poche risorse a disposizione non era possibile progettare un’automobile nuova; bisognava conservare non solo la meccanica (a sua volta derivata da quella della Alfetta) ma anche l’intera ossatura della carrozzeria della Giulietta. Con un’operazione simile a quella che, l’anno precedente, aveva portato alla luce la sfortunata Alfa 90, vennero ridisegnate unicamente le parti esterne dei lamierati, conservando l’intero giro porta (l’originale profilatura perimetrale in plastica nera serviva per coprire una saldatura longitudinale posta a livello del volume posteriore e per accentuare la linea a cuneo della vettura, oltre che per “mascherare” il fatto che le portiere erano esattamente le stesse della vecchia Giulietta). Nonostante quindi non proponesse nulla di sostanzialmente nuovo, l’Alfa 75 ottenne subito un grande successo.
Così come tutta la meccanica, anche i motori – 4 cilindri bialbero con alimentazione a 2 carburatori – erano i medesimi della Giulietta, come pure il turbodiesel2 litri della VM Motori. A questa gamma si aggiungeva il V6 Busso di 2492cc a iniezione da 158 cv) (lo stesso di Alfa 90 e Alfetta GTV 6). Grazie all’adozione dell’intercooler e all’aumento della pressione di sovralimentazione la versione “2.0 Turbodiesel” aveva 90 cv (anziché 82).
Nel 1986 venne presentata la “1.8 Turbo”, spinta da una versione turbocompressa da 155 cv del classico bialbero di 1779 cc. Prestazioni, carrozzeria e interni erano simili a quelli della “Quadrifoglio Verde”. La versione da corsa della “Turbo” partecipò alCampionato Italiano Superturismo. Per celebrare i risultati ottenuti nella competizione, alla fine dello stesso anno, venne prodotta (in soli 500 esemplari) l’Alfa 75 “Turbo Evoluzione”, col motore della “Turbo” normale (ma con cilindrata ridotta a 1762 cc) e con carrozzeria molto vistosa (spoiler anteriore, minigonne, cerchi in tinta e strip adesive). Altre varianti della 75 parteciparono a campionati di importanza mondiale, come il DTM o 2 edizioni del WTCC (1987) e l’ITC (1988, 1991).Nel 1987, per celebrare lo sbarco avvenuto un anno prima con il nome Milano dell’Alfa 75 sul mercato USA, vennero lanciate le Alfa 75 “America”, disponibili in due motorizzazioni: “1.8 Turbo” (1779 cc, 155 cv) e “3.0 V6” (2959 cc, 188 cv). Le due versioni prendono la denominazione “America” grazie all’adozione della scocca realizzata per la Milano, caratterizzata dagli scudi paraurti ad assorbimento di energia e dal serbatoio carburante in posizione protetta dietro lo schienale del divano posteriore, oltre che di maggiore capacità (70 litri contro i classici 49). Le versioni preserie della “3.0 V6” presentavano i classici profili grigi della carrozzeria in tinta vettura e il terminale di scarico centrale. Successivamente, con l’entrata in produzione, la “3.0” riceve i normali profili grigi e lo scarico a destra del paraurti come la versione turbo. La particolare disposizione del terminale di scarico è dovuta al maggior spazio a disposizione sotto il bagagliaio, data l’assenza del serbatoio, e permette un silenziatore più grosso in luogo di quello doppio per le versioni con silenziatore al centro del paraurti. La caratterizzazione sportiva è completata da nuovi codolini passaruota, nuove minigonne sottoporta, piccolo spoiler sul baule e deflettori aerodinamici sui finestrini anteriori. All’interno una nuova selleria in velluto con inserti in pelle e cuciture rosse, oltre alla nuova strumentazione introdotta con la “Evoluzione”.
La prima versione rimpiazzava le “Turbo” con carrozzeria normale, mentre la seconda prendeva il posto della “Quadrifoglio Verde”. Sempre nel 1987 venne lanciata la “2.0i Twin Spark“. Il classico 4 cilindri bialbero 2 litri beneficiò di alimentazione a iniezione, testata a doppia accensione e variatore di fase (oggi conosciuta come tecnologia MIVEC). La potenza saliva da 128 a 148cv. Gli elementi che caratterizzano l’estetica, sono i medesimi delle versioni “America”, fatta eccezione per gli scudi paraurti normali.
Sul finire del 1988 la 75 subisce un leggero restyling: esteticamente la calandra perde i listelli orizzontali, soppiantati da due prese d’aria a nido d’ape più grandi, mentre i gruppi ottici posteriori diventano completamente rossi, cambia la grafica delle placche identificative posteriori, e tutte le versioni ora ricevono il cofano motore in rilievo (prima elemento distintivo delle versioni più potenti).
L’interno delle versioni “1.6”, “1.8” e “2.0 TD” ha ora nuovi sedili in velluto e una grafica migliorata e più leggibile del quadro strumenti (bianca su sfondo nero, con illuminazione verde). Una nuova versione del 1.8 alimentato ad iniezione elettronica Bosch Motronic e variatore di fase equipaggia la “1.8 IE”, che affianca brevemente nei listini la “1.8 a carburatori”. La potenza del bialbero 1779cc è invariata, ma l’iniezione elettronica ed il variatore di fase, le conferiscono notevole regolarità di funzionamento e contenimento dei consumi. Sarà una vettura molto apprezzata dalla clientela. All’esterno si caratterizza per l’adozione del piccolo spoiler sul baule e per i deflettori aerodinamici sui finestrini. Come successo 9 anni prima con l’Alfetta, un motore di cubatura maggiore affianca la “2.0 TD”; si tratta del 4 cilindri 2393 cc da 112 cv (sempre prodotto dalla VM Motori). La notevole coppia motrice sviluppata dal propulsore induce l’Alfa Romeo all’adozione di una frizione bi-disco. La “2.4 TD” offre gli allestimenti esterni ed interni della versione “Twin Spark”.
Nel 1989 cambiò la disposizione delle scritte posteriori, e ci furono alcune migliorie nella disposizione dei comandi secondari sul quadro strumenti. Anche la versione “1.6” viene dotata del sistema di iniezione elettronica Bosch Motronic e variatore di fase. Nella primavera del 1990 vengono presentate l’Alfa 75 “Turbo Quadrifoglio Verde” da 165 cv e la 75 “3.0 V6 Quadrifoglio Verde” potenziata da 192 cv, caratterizzate da nuovi interni in velluto spigato. La versione “Quadrifoglio Verde” è l’unica della serie “Turbo” ad avere il servosterzo di serie, prima non presente nemmeno opzionale. Sono disponibili a richiesta le versioni catalizzate “2.0 Twin Spark Europa” e “3.0 V6 Europa”.
Ebbi occasione di viaggiare con un’Alfa 75, mai di portarla. Rimane il ricordo della una fina di un’era: l’Alfa 75 è per alcuni puristi l’ultima vera Alfa Romeo. Nel 1986 la Casa venne ceduta dall’IRI al gruppo Fiat. I nuovi modelli, come la sostituta della 75, l’Alfa 155 (1992-1997), che utilizzava gli stessi pianali delle Fiat Tipo e Tempra, della Lancia Dedra, e l’ammiraglia Alfa 164, derivata dal pianale Fiat Croma/Lancia Thema, avevano linee spigolose e tecnologie non Alfa. Viene ad esempio abbandonata la trazione posteriore con cambio e differenziale in blocco al retrotreno e adottata la trazione anteriore e le sospensioni a 4 ruote indipendenti. Oggi è cosa normale, ma allora la cosa fece storcere il muso a molti alfisti.
Fino alla prima metà degli anni 80 io decantavo la superiorità stilistica delle auto italiane. In quel periodo, non so cosa fosse successo, ma le auto italiane, ormai tutte della Fiat, diventavano sempre più brutte, in una progressione incredibile di modelli inguardabili: Duna, Tempra, Dedra. La stessa 155 non mi ispirava affatto.
Agli inizi degli anni 90 vedeva la luce il mio nuovo mito: la prestigiosa casa tedesca, l’Audi, rinnovava il modello 80, abbandonando (chissà perché) le vecchie linee spigolose per delle sinuosità decisamente più moderne…
Fonte: Wikipedia