L’insegnante

insegnanteAi tempi della scuola superiore avevo la testa tra stelle, galassie e nebulose, volevo fare l’astronomo ed avevo un professore di matematica e fisica che mi faceva sognare. È forse lui il responsabile se mi sono appassionato alle scienze fino a prendermi una laurea in questo ambito ed è grazie a lui che ho potuto sviluppare le capacità per riuscirci. Quando mi iscrissi a quell’istituto e capitai in quella sezione, qualcuno mi profilava seri guai con quel professore, un matto, fuori di testa, una vera gatta da pelare. Altri lo consideravano un genio, con un metodo di insegnamento tutto suo, davvero difficile da seguire. Insomma, il consiglio era di cambiare sezione.

Per fortuna non lo feci. Ricordo ancora con quanta attenzione seguivo i suoi discorsi sulla relatività, la quarta dimensione e i viaggi nel tempo. Lo ascoltavo affascinato quando si sforzava di far lavorare le nostre teste senza darci definizioni, ma tirandocele fuori col nostro stesso ragionamento. Ci guidava alla soluzione ma non ce la dava, non ce la serviva su un piatto d’argento. Stava a noi capire, usare la logica e trovare autonomamente la risposta al momento dell’interrogazione, che avveniva una volta a semestre, senza prove d’appello, senza

Era originale, ci spingeva ad usare il cervello in modo diverso, fuori dagli schemi, come fuori dagli schemi era anche il suo comportamento in classe, quando ad esempio saliva in piedi sulla cattedra per fare lezione, a dimostrarci che certe regole servono solo a imbrigliare il pensiero.


poter mediare con i voti delle interrogazioni di tutto un anno. Somigliava un po’ ad un esame universitario. Quante glie ne dicevano! Ma che vuole questo, ma di che parla? Chi lo capisce? Perché non spiega le cose? Ma io e qualche compagno di classe (oggi che ci ripenso eravamo ancora capaci di usare la fantasia come fanno i bambini) eravamo affascinati e facevamo di tutto per stargli dietro. Ci piaceva la sfida, si, ma sentivamo che quel modo di studiare ci stuzzicava particolarmente. Era originale, ci spingeva ad usare il cervello in modo diverso, fuori dagli schemi, come fuori dagli schemi era anche il suo comportamento in classe, quando ad esempio saliva in piedi sulla cattedra per fare lezione, a dimostrarci che certe regole servono solo a imastrofisicabrigliare il pensiero. Che bel ricordo le discussioni in classe su cosa fosse il numero, il concetto base della materia in questione. Come possiamo studiare la matematica se non sappiamo cosa è il numero e come la mente umana sia arrivata a svilupparne il concetto? Lezioni memorabili, mai dimenticate, soluzioni a problemi e concetti di base della matematica e della fisica rimasti impressi indelebilmente nella memoria perché afferrati con le nostre teste, non forniti così, con una spiegazione accademica da accettare passivamente per l’autorevolezza della fonte. Sarebbe stato più facile, ma cosa ne sarebbe rimasto? Invece ci ha liberato la mente, ci ha dato i mezzi per fare da soli, la fiducia di sapere usare il proprio cervello per poter affrontare qualunque problema. Questo è insegnamento. Dopo la laurea lo andai a cercare per ringraziarlo. Senza di lui non ce l’avrei fatta a laurearmi in una materia scientifica. Ne sono consapevole e non lo dimenticherò mai.
Mi iscrissi a geologia quasi per caso. Non ero molto convinto. Le lezioni di geologia e rilevamento geologico del terzo anno però erano tenute dal più grande didatta che io abbia ma conosciuto. La capacità di catturare l’attenzione, la passione che trasmetteva, la semplicità a cui riduceva concetti anche complessi trasformava le sue lezioni in uno spettacolo didattico, in un vero e proprio documentario scientifico. Era avvincente! Alla fine dell’ora ci rimanevo male, sembrava sempre troppo presto. Era così bello, intrigante, interessante e coinvolgente che aspettavo con ansia la lezione successiva per vedere come sarebbe andata a finire. Continenti alla deriva, oceani in espansione, vulcani e terremoti che ne costellavano i bordi, fosse di subduzione che generavano montagne. Che spettacolo! Le sue lezioni facevano sognare. Ma il rilevamento geologico sul terreno non era da meno. Non stava lì a descriverti l’affioramento, voleva sentire la tua descrizione. Difronte a un problema geologico non ti spiegava la soluzione, voleva sentire la tua ipotesi.

La capacità di catturare l’attenzione, la passione che trasmetteva, la semplicità a cui riduceva concetti anche complessi trasformava le sue lezioni in uno spettacolo didattico, in un vero e proprio documentario scientifico. Era avvincente! Alla fine dell’ora ci rimanevo male, sembrava sempre troppo presto.


Quando a fine corso si andava all’esame presentando il nostro primo lavoro geologico, non pretendeva certo che fosse come l’avrebbe fatto lui, ma pretendeva che qualunque fosse il risultato doveva essere frutto di un modello geologico plausibile a partire dai dati e dai mezzi, allora giustamente limitati, che avevamo a disposizione. In poche parole voleva che usassimo il nostro cervello.
La passione che questo grande insegnante ci ha tramandato con le sue storiche lezioni-Quark, come le chiamavo io, mi ha sorretto nei lunghi anni bui di disoccupazione, di dubbi e di conseguente depressione. Se ho potuto fare il lavoro geologico che ho sempre sognato lo devo a lui. Le forti basi che ci ha fornito in aula e sul terreno, la grande passione per la geologia che trasuda dal suo stesso essere sono state indispensabili per tenere duro, per non mollare, per non darsi per vinto ed inseguire il sogno, fino a raggiungerlo. Ho ringraziato anche lui, anche se il sogno geologico è andato purtroppo perso. Ma anche pensando a lui e al prof di matematica delle superiori, sto dirigendomi verso l’insegnamento anche io. Dio sa se c’è bisogno di migliorare l’educazione scientifica in questo paese…
Parecchio tempo dopo la laurea, passato il periodo buio, una volta raccolte finalmente le prime soddisfazioni professionali, mi è capitato di iscrivermi ad un corso di aikido e rimanerne letteralmente fulminato. Non ringrazierò mai abbastanza il mio primo insegnante per avermi introdotto a questa meravigliosa arte marziale focalizzata sulla valorizzazione dell’uomo e non sulla sopraffazione. Si dice che una volta raggiunta la cintura nera si comincia ad essere degli allievi di aikido, si inizia la Via, un percorso di vita in cui ognuno di noi ha le sue motivazioni personali. Più o meno in quel periodo ho scoperto che un insegnante che già mi era stato introdotto da tempo sembrava valere di più di quello che normalmente gli si concedeva. Ricordo che la prima volta che partecipai a un suo stage ero anche un po’ preoccupato. Qualcuno ne parlava in termini poco rassicuranti, lo descriveva come una autentica belva, da temere nelle sue reazioni. Pensate che si era persino diffusa tra noi la voce che fosse stato nella Legione Straniera. Roba da matti! Invece più lo conoscevo, più queste dicerie venivano smentite. Più lo sentivo parlare di aikido più scoprivo di essere d’accordo con lui. Mi sorprendeva citando Castaneda a lezione, spiegando come usare davvero le tecniche per il benessere, circostanziando la cosa con prove derivanti dalla sua profonda conoscenza della fisiologia e della biomeccanica del corpo umano, derivata dalla una laurea in osteopatia. Questo insegnante non spiega le tecniche, ti stimola ad arrivarci per conto tuo, non ti vuole schiavo della forma, cerca di darti i mezzi per trovare un modo tuo. Certo è più difficile, altri ci spiegano bene cosa fare, per filo e per segno e, figuriamoci, serve molto anche quello. Ma lui vuole che ci si arrivi al momento giusto, quando sei pronto. E quando avverrà, ciò che avrai scoperto sarà tuo e non sarà mera forma, sarà qualcosa in grado di rendere libero il tuo spirito, la tua mente e il tuo corpo, qualcosa che non dimenticherai.
Non è facile il rapporto con un insegnante di questo tipo. Ci si deve scordare le soddisfazioni aikido-home1pubbliche, anzi, si rischia lo scherno. Le soddisfazioni arrivano dopo grossi sforzi e lunghe sofferenze e sono solo personali, rimarranno dentro di noi, proprio come spesso accade nella vita. È un aikido intenso, sofferto, sudato. Senza sacrificio non si ottiene nulla. Via i falsi pudori, le cortesie di circostanza, giù la maschera che portiamo tutti i giorni. Qui non è possibile nascondere il proprio essere, va messo a nudo, con tutto ciò che comporta. Non è facile, bisogna volerlo davvero, sentirne il bisogno, essere in grado di mettersi in discussione ogni volta, un po’ come nella psicoterapia. Non c’è modo di rifugiarsi nella certezza della tecnica, della forma: appena ci si illude in questo senso le cose cambiano, le certezze ci crollano, per causare di nuovo uno squilibrio interiore, spesso spiacevole ma proficuo. È l’unico modo per crescere anche se già adulti.
Genio e sregolatezza sono un classico cocktail che rende l’interprete di un’arte (marziale e non) stimolante dove conta, non in superficie. Alcune peculiarità caratteriali possono essere per un tale insegnante uno svantaggio sociale, ma lo rendono vero maestro di Budo sul tatami.

Questo insegnante non spiega le tecniche, ti stimola ad arrivarci per conto tuo, non ti vuole schiavo della forma, cerca di darti i mezzi per trovare un modo tuo. Certo è più difficile, altri ci spiegano bene cosa fare, per filo e per segno e, figuriamoci, serve molto anche quello. Ma lui vuole che ci si arrivi al momento giusto, quando sei pronto.


Come si legge in un libro che non smetterò mai di citare, questo tipo di insegnante può spesso dare l’impressione di avercela personalmente con l’allievo, di maltrattarlo deliberatamente. Invece lo sta stimolando, lo sta provocando in quanto si è arrivati ad un punto cruciale della Via, un punto in cui la sfida con l’Io è a una svolta. Chi insegna davvero il Budo, continuando a citare il solito libro, ha bisogno di sapere come reagirà l’allievo a questi ostacoli. Se l’allievo respinge gli attacchi come personali perde di vista la Via. E’ una delusione per chi insegna. Non era il momento? L’ostacolo non sarà superato? Il nodo non verrà sciolto e l’allievo non farà il passo avanti. È possibile che andrà via, un brutto momento per l’insegnante se il suo scopo è far crescere le persone. Forse si era sbagliato a considerare quell’allievo capace di un certo tipo di lavoro sull’Io. Forse non era il momento giusto per metterlo alla prova? Peccato, si è persa un’occasione.
A scuola, all’università e sul tatami ho avuto insegnanti che mi hanno fatto sognare. I sogni sono il sale della vita. Quando smettiamo di sognare siamo diventati vecchi e la vita non ha più molto senso. Mi sento ancora in grado di sognare. Non ringrazierò mai abbastanza i miei insegnanti. Da loro ho imparato a pensare con la mia testa, ad avere gioia nel condividere ciò che mi appassiona e ad andare avanti sempre, non arrendersi mai.
Se se riuscirò anche io a diventare un insegnante (già fatto per quel che riguarda aikido), lo dovrò a loro; e di loro porterò sempre qualcosa con me, dentro di me e nel mio lavoro.