Ci piace l’Aikido e lo pratichiamo. Le arti marziali giapponesi sono tante e sono diffuse in tutto il mondo. Sono state pensate anche per diffondere la cultura orientale in occidente, niente di strano quindi che ci si adegui a qualche tradizione giapponese come il vestiario o il saluto in ginocchio. Ma è necessario? Quanto dobbiamo imitare i giapponesi nel nostro avvicinarsi ad una loro disciplina? Ci ridicolizziamo come occidentali o si tratta semplicemente di adeguarsi a certe consuetudini richieste da tali pratiche?
Una delle cose che mi ha affascinato all’inizio della mia pratica dell’Aikido è stata l’idea che derivasse dalla cultura degli antichi Samurai. Ho subìto immediatamente il fascino di quei guerrieri dallo spirito raffinato, certamente duri e sanguinari ma anche amanti delle arti e del bello.
Ma che diritto abbiamo noi europei ad atteggiarci a Samurai? Con quale retaggio? Sarebbe come se un giapponese indossasse abiti folcloristici tipici di una regione italiana e partecipasse ad una ricorrenza tradizionale? In realtà non è proprio la stessa cosa…
Budo e Bujutsu
Nessuna tradizione folcloristica europea ha come scopo l’esportazione di tali tradizioni all’estero. Anche il mondo occidentale ha avuto le sue tradizioni marziali e cavalleresche. Ma nessuna ha fatto il passo decisivo dell’abbandonare la guerra contro il prossimo per intraprendere quella ai propri limiti in qualità di esseri umani. Così dal Bujutsu nacque il Budo, una via di accrescimento della persona derivata dalle tecniche di combattimento usate dai Samurai in guerra. Purtroppo entrambi i termini giapponesi sono stati tradotti come “arte marziale“, generando non poca confusione in occidente, dove siamo tutti offuscati dall’idea dell’invincibile guerriero orientale che ha il vantaggio di custodire segreti marziali che un occidentale non può comprendere. Niente di più falso, ma è così…
Una volta creato il Budo dal Bujutsu i grandi maestri del passato si convinsero che la pratica di queste discipline faceva così bene a corpo, mente e spirito che sarebbe stato giusto diffonderle a tutto il mondo piuttosto che riservarle ad una élite. Il Budo era anche visto come un veicolo per avvicinare la cultura orientale a quella occidentale. Lo stesso fondatore dell’Aikido, Morirei Ueshiba, lo vedeva come un ponte d’oro che unisse oriente ed occidente, che fosse in grado di avvicinare la spiritualità orientale al materialismo pragmatico occidentale.
La genialità del Budo sta secondo me nell’avere ammesso che la violenza e la voglia di sopraffazione siano insite nell’uomo, escogitando poi un metodo per combatterle basato proprio sulle tecniche utilizzate in guerra. L’avversario del Bujutsu diventa il partner del Budo, un mezzo per scoprire di più di se stessi e gli altri tramite il contatto fisico a cui la tecnica costringe, dovendo rinunciare a qualunque velleità di prevaricazione.
Non è facile, così come non lo è la vita. Ed è per questo che il Budo funziona (o funzionerebbe) anche in occidente. Quindi è giusto e bene che sia praticato in tutto il mondo. Ma è proprio necessario comportarsi da giapponesi?
Direi di no. So che esistono esempi di insegnanti di Budo occidentali che insegnano con l’accento giapponese. Ridicolo…
Senza arrivare a certi eccessi, ritengo utile che si rispettino certe tradizioni della disciplina praticata, a partire dal vestiario.
La genialità del Budo sta secondo me nell’avere ammesso che la violenza e la voglia di sopraffazione siano insite nell’uomo, escogitando poi un metodo per combatterle basato proprio sulle tecniche utilizzate in guerra.
Imitare i giapponesi è giusto?
Certo, si potrebbe obiettare che possiamo fare Aikido anche in tuta o vestiti normalmente. È ovvio. Ma non sottovalutiamo il rito preparatorio del cambiarsi d’abito. Quando entriamo nel Dojo dobbiamo lasciare fuori il mondo esterno. Entriamo in un luogo di studio, ricerca, approfondimento. Ricordo bene quando passai un periodo in USA per lavoro e mi allenavo quando potevo in un dojo nello stato di New York. Ero molto sotto stress e quando entravo nel dojo, mi cambiavo, mi sedevo in seiza in attesa dell’inizio, mi sentivo davvero in pace, ero finalmente me stesso. Il cambiarsi d’abito è simbolico, togliersi i vestiti con cui andiamo al lavoro o con cui ci presentiamo alla società tutti i giorni, per mettere il keikogi bianco è un segnale netto: basta finzioni, qui posso solo essere me stesso; basta scuse, qui devo migliorarmi, non importa cosa succeda.
Ci vestiamo da giapponesi ma siamo europei. Che senso ha? Ha senso perché il vestito è uguale per tutti, non c’è possibilità di scegliere, deve essere un kimono bianco con cinta bianca. Siamo tutti uguali sul tatami, anche se abbiamo esperienze diverse. Alto, basso, grande, piccolo, veloce, lento, grasso o magro, uomo o donna, vecchio o giovane, non hanno senso in Aikido. Ognuno di noi deve lavorare al massimo, un massimo che può essere diverso da una persona all’altra ma deve essere sempre il massimo che possiamo fare, ognuno di noi, in quel momento ed in quel luogo.
Il saluto serve la stessa funzione, segnala il distacco dal mondo esterno, l’inizio e la fine della pratica che ci fa crescere, che ci approfondisce. Noi occidentali siamo portati a vederlo come un inchino, ma non lo è. I giapponesi si salutano chinando il capo ma non è un gesto di sottomissione (non necessariamente): si tratta di mettere la propria testa all’altezza del cuore dell’altro. Chinarsi all’ingresso nel dojo o verso il kamiza significa sbloccare simbolicamente il chakra del collo, il 5°, lo stesso di occhi, gola, bocca, laringe, il chakra della comunicazione – qui non si finge, non si indossano maschere: “Il quinto chakra è il centro della capacità umana d’esprimersi, comunicare ed ispirarsi, la creatività intesa in senso sottile, il rapporto con i nostri sentimenti. E’ lo scambio, dare per ricevere” (cit.).
Non stiamo necessariamente imitando i giapponesi, c’è un significato sottile nel gesto del saluto che credo sia importante mantenere anche nella nostra pratica da occidentali.
Per il resto, credo sia inutile tradurre i nomi delle tecniche. Contribuiscono al fascino ma vorrei invitarvi a pensarle nella nostra lingua: “immobilizzazione 1 contro presa del polso con stessa guardia”; “proiezione con entrata contro colpo laterale alla tempia” – o peggio: immobilizzazione 1 contro attacco 3, e così via… katatetori aihanmi ikkyo e yokomenuchi iriminage è più comodo anche a livello internazionale …e fanno molto più figo!
Essere Samurai oggi, anche se europei o americani, significa scegliere di utilizzare questo tipo di allenamento allo scopo di ricercare una verità interiore, di scoprire l’altro, combattendo violenza, aggressività, razzismo, intolleranza, odio direttamente alla sorgente, cioè dentro noi stessi.
Si può essere Samurai oggi? In occidente!?
Samurai oggi? Non siamo soldati e tanto meno la maggior parte di noi ha bisogno di imparare tecniche di guerra prima di essere mandati al fronte. In tempo di pace i Samurai svilupparono il Budo come allenamento per non perdere le loro capacità tecniche. In breve quelle tecniche divennero il mezzo per migliorare se stessi, per combattere il nemico dentro di noi, che ci frena ed impedisce la nostra piena realizzazione come esseri umani. Essere Samurai oggi, anche se europei o americani, significa scegliere di utilizzare questo tipo di allenamento allo scopo di ricercare una verità interiore, di scoprire l’altro, combattendo violenza, aggressività, razzismo, intolleranza, odio direttamente alla sorgente, cioè dentro noi stessi. Gli antichi Bushi, i guerrieri giapponesi, erano sanguinari, tagliavano le teste dei nemici come trofei, potevano decapitare un contadino anche solo se, a loro giudizio, aveva eseguito male il saluto. Oggi non significa che, se riteniamo che una persona ci abbia mancato di rispetto, in quanto Samurai moderni possiamo staccargli il collo con iriminage.
Il Samurai moderno, occidentale ed orientale, rifiuta la violenza, la riconosce insita nel genere umano e la riconosce in se stesso, non ha paura di farlo, perciò la combatte allenandosi nel Budo. E se sbaglia commette seppuku: oggi sarebbe anacronistico e molto stupido aprirsi il ventre, ma prendersi le proprie responsabilità, non importa cosa accada, deve essere una caratteristica tipica del praticante di Budo. Così come l’umiltà. Uno sportivo, professionista o meno, ha la necessità ed il diritto di elencare i propri risultati, i premi ottenuti, le gare vinte. Un Samurai odierno, un praticante di Budo dovrebbe astenersi dal farlo perché dovrebbe sapere bene che anche se ha battuto un avversario in una gara, ciò non ha significato se non serve ad approfondirlo come persona ma solo come miglioramento della posizione in classifica.
Il vero senso del Budo
Nel Budo, lo ricordiamo, l’avversario è il mezzo per una indagine nel profondo, ci aiuta in questo, non è la sua sconfitta il fine ultimo.
In questo l’Aikido, consentitemelo, ha una marcia in più: l’assenza di gare. Molti dicono che sia il suo problema – se ci fossero le gare sarebbe più facile stabilire, ad esempio, i gradi e chi è più avanti in genere. Invece secondo me renderebbe molto più difficile la ricerca che il Budo si prefissa. Nella maggioranza dei casi il Judo ed il Karate(do) sono praticati come semplici sport. Si insegna ciò che è utile a portare a casa un risultato, a dare lustro al dojo (che in questo caso sarebbe più giusto chiamare palestra). Focalizzarsi sulla vittoria in gara per ottenere medaglie o cinture fa perdere di vista quella che dovrebbe essere al vera ricerca del budoka. Ammetto che è più difficile se per farlo bisogna partecipare a combattimenti in gara. In teoria in Aikido questo problema non dovrebbe sussistere, le gare non ci sono, niente agonismo. Ed ecco che i più grandi aikidoka invece si esibiscono in dimostrazioni, pubblicano foto con i loro traguardi raggiunti, come se fossero in gara con chi li circonda. Alcuni arrivano pure ad “ammettere” che l’Aikido non serve come difesa personale, non funziona. Il punto non è la sua efficienza in questo, il punto è che sono sulla strada sbagliata se pensano di dover diventare capaci di utilizzare l’Aikido per prevalere su qualcuno. Bisognerebbe ritrovare l’umiltà perduta e dire che se non riusciamo a fare una certa cosa con l’Aikido non è quest’ultimo che non funziona ma siamo noi che non siamo (ancora) abbastanza bravi.
Certo che le tecniche di Aikido possono tornare utili per difesa personale! Molti sistemi si basano ampiamente su tecniche mutuate dall’Aikido (che in questo caso sarebbe più corretto chiamare di Aikijutsu). Il punto è far diventare questo lo scopo dell’allenamento; allora non è corretto mantenere la desinenza “do” nel nome della disciplina che si pratica. Non è per questo che ci si allena nel Budo, altrimenti perché nelle scuole di kenjutsu, la scherma giapponese, ci si continuerebbe ad allenare con le katana? A chi può tornare utile difendersi da qualcuno che ti attacca con una katana? Chi è che in guerra usa ancora le spade? Certo, può succedere che uno squilibrato semini il panico aggredendo gente con un’arma da taglio, che sia una spada o un machete o un’ascia. Quello che mi chiedo è: ha senso per la maggior parte di noi allenarsi una vita per prepararsi ad un evento del genere? Non invidio la vita di chi rispondesse di sì…