Il mio rapporto con Alfa Romeo inizia da piccolo, quando, da bambino nato a metà anni 60, era usuale giocare con le macchinine e imitare i “grandi” che guidavano un’auto. Non mi ritengo un vero appassionato di automobili in senso stretto e non ho avuto molte Alfa, anzi, fin’ora solo una. Ma fin da piccolo ero affezionato ai modelli Alfa Romeo mitici della mia infanzia. Ero incantato dalle auto che circolavano in città, chiedevo a mio padre che modello fossero e quale fosse la migliore. Ricordo ancora oggi che allora mio padre ritenesse che la Alfa Romeo Giulia fosse la macchina migliore a quei tempi. E questo è stato il mio imprinting. La Giulia era l’auto delle forze dell’ordine e dei malviventi. I film “polizziotteschi” dell’epoca erano pieni di inseguimenti tra Alfa Romeo. Le loro prestazioni, la tenuta di strada in particolare, erano leggendarie.
La cosa strana è che con tutta questa passione infantile, da adulto non ho mai cercato attivamente di acquistare un’Alfa Romeo, forse perché quando è arrivato per me il momento di poterlo fare, Alfa Romeo era passata alla Fiat ed i modelli dell’epoca erano 145, 146 e 155: sì, mi piacevano di più le tedesche (infatti presi un’Audi). La prima e, al momento in cui scrivo, unica Alfa che ho avuto è capitata per caso. Avevo bisogno di un’auto più grande della Grande Punto che avevo appena preso come scelta puramente razionale. Una splendida Alfa 156 Sportwagon era quella disponibile dove mi rifornivo e restituii la Punto per diventare finalmente Alfista di fatto. Era appena nato mio figlio e mi venne naturale chiamarla affettuosamente “Papalfa”.
Salito per la prima volta alla guida della 156 mi tornarono in mente tutte le Alfa che la precedettero e che mi avevano fatto sognare da bambino e da ragazzo. Non volevo più scendere! La 156 era stata pensata proprio per tornare ai fasti del passato, con linee e interni che omaggiavano i grandi modelli delle origini, dalla 1900 alla Giulia GT. Sostituiva la 155 da me tanto snobbata. Non mi piaceva proprio, con le sue tristi linee dure e spigolose. La sinuosa 156 cambiava tutto e mi fece rimanere a bocca aperta quando la vidi la prima volta. All’epoca guidavo una Audi 80 a cui ero affezionatissimo e che mi piaceva tanto da considerarla l’auto più bella allora prodotta. All’uscita della 156 tornai a pensare che l’Alfa era la più bella.
Nella mia testa stavo guidando una Giulia del 2000. La Giulia originale mi fa ancora battere il cuore in modo speciale. Era davvero nei miei sogni di bambino. Prendevo due sedie e le mettevo una accanto all’altra come due sedili d’auto. Mi sedevo su quella di sinistra e facevo finta di guidare una Giulia, imitando i movimenti degli adulti che scimmiottavo quando ero in macchina con loro. Mi basta vederne una in foto per far riaffiorare tutti quei teneri ricordi. E guidare la mia Papalfa mi manteneva in contatto con quelle sensazioni, era come se i vecchi modelli a me tanto cari mi parlassero dal volante e dal cruscotto della 156, pensati proprio per ricordarli.
Mi tornava in mente quando entravo nella Giulia grigia di un collega di mio padre che ci portava in centro, loro al lavoro ed io a scuole alle superiori. Sognavo che mio padre un giorno l’avrebbe comprata dal collega. Ne ricordo ancora l’odore e …il suono. Ovviamente, il rombo Alfa era micidiale e immediatamente riconoscibile. Osservavo con attenzione tutti i praticolare degli interni. Era un giorno migliore quando sapevo che sarei andato a scuola in Giulia quando toccava al collega invece che a mio padre con la nostra pur amata Ford Escort. La Giulia aveva ispirato due splendide berline quali l’Alfa Romeo 1750 e Alfa Romeo 2000, praticamente due splendide sorelle. Ancora oggi sono bellissime a vedersi. Allora erano qualcosa di stratosferico. Erano anche auto di rappresentanza ma con prestazioni sportive. Comode ma prestanti ed incollate alla strada. La loro evoluzione fu un altro modello Alfa che mi faceva battere il cuore: l’Alfetta.
La meccanica non era cambiata molto, era comunque derivata dalla Giulia, anche se era intesa come la sostituta delle 1750/2000. Ma era solo leggermente più grande e la cosa assurda fu che Giulia e Alfetta si fecero concorrenza “interna” al marchio. E dire che ai tempi Alfa Romeo aveva problemi di bilancio. Gli stessi problemi che fecero sì che l’erede della Alfetta fu una …Alfetta ricarrozzata, la Giulietta.
Bisogna dire che il successo e le prestazioni della Giulietta testimoniano il valore del progetto originale. La adoravo. Me la fecero anche provare ma ero patentato da poco e non ho avuto il cuore di spingere molto. Il proprietario sì: ricordo che sgommava anche in quarta facendoti appiccicare la schiena al sedile! Impressionante. Ne ricordo anche una di un amico che la teneva sempre pulitissima e profumata. Ho sognato molto anche lei ma quando raggiunsi la possibilità di comprare un’auto era ormai troppo vecchia, c’era la 155.
Mi piaceva molto anche l’erede della Giulietta, la Alfa 75, una sua evoluzione per lo più estetica. Grandi prestazioni come sempre e l’onore di essere considerata l’ultima vera Alfa. Era l’ultimo modello prodotto prima che la casa di Arese fosse acquisita dala Fiat. Aveva anche una sorella minore, l’Alfa 33, che aveva rinnovato l’Alfasud, la prima Alfa a trazione anteriore. Anche essa era per me un sogno irrealizzato. Andai con un amico a vederla in un concessionario quando era appena uscita. Nessuno dei due era ancora maggiorenne. Ricordo come ce la spostarono a spinta in avanti per farcela vedere meglio, per farci sedere all’intenro ed ammirare la novità, ritenendoci i clienti del futuro, da curare bene fin da allora.
Come dicevo, iniziato il periodo Fiat fui deluso dalle nuove Alfa. Mi piaceva molto l’ammiraglia 164, che pur essendo un progetto in comune con Fiat Croma e Saab, era cominciato in Alfa originalmente. Ma quando vidi che la 33 era sostituita da 145 o 146 e la mitica 75 era diventata la 155, rimasi malissimo e decisi a malincuore che ora che potevo comprare un’auto non sarebbe stata un’Alfa.
La mia prima auto di proprietà fu un’Alfa di Germania, come il presidente della Wolksvagen dichiarò di voler far diventare Audi quando fu acquisita negli anni 60. Fino agli anni 80 non c’era stata partita, nessuna Audi poteva neanche avvicinarsi alle Alfa Romeo, né come linea, né come prestazioni. Ma con l’entrata in Fiat e la nascita della 155, le nuove Audi 80, prima B3, poi B5, con le linee affusolate, il muso basso e la coda corta e rialzata (in pure stile Alfa Romeo) erano esteticamente superiori. Le prestazioni no. La 155 entrò nel mito nelle corse, battendo a casa loro le concorrenti tedesche Mercedes, Audi (anche le successive A4) e BMW. L’alfa 156 che seguì mantenne anch’essa i fasti di quella che per me era un brutto anatroccolo. Era tutt’altra macchina, con un telaio nettamente più improntato alle corse.
Quella che avevo io era la seconda serie, un restyling studiato da Giugiaro che preferivo alla pur splendida versione originale di Da Silva. E mi piaceva anche di più Sportwagon che berlina. Insomma, dalla nascita di mio figlio avevo realizzato il sogno di quando ero bambino guidando anche io un’Alfa, finalmente. E me la sono tenuta stretta affettuosamente a lungo. Anche in periodi bui, come quello in cui ho perso il lavoro e sono stato prima disoccupato e poi ho lavorato in fabbrica per sbarcare il lunario. La papalfa ha tenuto duro stoicamente, resistendo al tempo con un minimo di manutenzione ordinaria. Ma a un certo punto ha dovuto dire basta, non ce la faceva più.
Avevo ripreso da un po’ a lavorare dignitosamente e la ditta che era fallita anni prima mi aveva finalmente liquidato il TFR. Felice, mi misi di nuovo ala ricerca di una Alfa Romeo con meno anni sul groppone, una nuova Papalfa a sostituire la povera 156. Ma non fu possibile: mi si presentò un’occasione irrinunciabile. Un’ottima Fiat Bravo ad un prezzo assurdo. Non potevo dire di no, anche perché il grosso dei soldi mi servivano disperatamente per sanare dei debiti: quindi niente più Alfa…
Ma mi piaceva la Bravo. In realtà la valutavo quando all’arrivo del piccolo avevamo bisogno di un’auto più grande, ma lì arrivò un’Alfa. Ora accadeva l’esatto contrario: cercavo un’Alfa ma arrivò una Bravo. Non capisco lo scarso successo del modello. Mi piace ancora oggi e mi è sempre piaciuta. Mai le preferirei una Golf ad esempio. La vedo come la versione moderna della Ritmo che sognavo da neo-patentato, ma nelle versioni Super o magari sportive come le splendide, cattivissime, 105 TC e 125 Abarth. Me la godevo quindi la mia Bravo. Apprezzandola di più da quando l’azienda mi ha fornito una Lancia Y, carina e comoda per la città, ma in viaggio non c’è paragone.
Purtroppo una serie di danni provocati da persone disoneste che non ti lasciano certo i lnumero, mi ha costretto a pensare di fare uno sforzo in più, ottenere un piccolo prestito e comprare un’auto usata evitando di spedere soldi per accanimento terapeutico sulla povera Bravo: fiancata destra strisciata al parcheggio su entrambi gli sportelli con rottura della maniglia anteriore; parabrezza rotto da sassata o caduta di calcinacci, tettuccio apribile bloccato, entrambi i paraurti leggermente incassati e sganciati da manovre di parcheggio disoneste. Basta così… con poche decine di euro al mese cambio auto.
E domani vado a vedere un’Alfa…
Si tratta di una 159, l’erede della 156 che avevo, la migliore candidata al posto di Papalfa 2.0.
Anche se bellissima, disegnata anch’essa da Giugiaro, paga lo scotto di un telaio troppo grande e pesante per i motori a disposizione, lasciato a Fiat dopo la fine di un accordo con General Motors per una ammiraglia di fascia alta che avrebbe sostituito la 166. Alla fine Fiat ci dovette sostituire la 156. In effetti è un po’ troppo grossa, la 156 aveva delle dimensioni perfette. Ma il telaio è superiore, anche la meccanica. Non sarà scattante come la 156 più leggera e pensata per le corse, ma è un’altra macchina. Anch’essa mi ricorda e mi ricorderà le Alfa del passato, anche la mia amata 156. Comodissima, con eccezionale tenuta ed assetto, sterzo e cambio precisi, non dovrebbe lesinare in piacere di guida. E’ datata ma la linea è splendida acora oggi, più “macchina” di tantissimi nodelli odierni che smebrano sempre più giocattoli informatici e meno automobili. Dei cassoni con 4 ruote e un computer che pensa a tutto, tra un po’ le guiderà pure. Invece forse la Papalfa 2.0 avrà ancora lo stereo vecchia maniera, col CD, sì, ma niente monitor. Sarà una vera auto, un’auto con le palle, se me lo consentite, come certo non è l’ultima nata Alfa, la Tonale. Brutta piega questi SUV informatizzati. Vogliono tutti un’auto alta e l’infotainment. Non voglio guidare ma essere guidati. Ma l’auto alta non mi ispira fiducia, basta un niente e si ribalta. Vai a far ribaltare una 159 se riesci! E’ un’auto per chi sa e vuole guidare e ne ha piacere, non per chi vuole farsi portare.
Non so ancora come andrà mentre scrivo. I soldi sono sul conto. Devo solo decidere se questa Alfa 159 mi piacerà. Gli anni li ha, due più della Bravo. Ma le è superiore, c’è poco da fare. E se ora apprezzo la Bravo rispetto alla Ypsilon, non oso pensare come mi sentirò quando sarò di nuovo alla guida di una Alfa Romeo…