Nobuyoshi Tamura Shihan (1933-2010)
La seguente intervista con il Maestro Nobuyoshi Tamura è stata condotta in due parti. La prima sessione è stata tenuta a Marsiglia in Francia il 2 agosto 1983 con Didier Boyet come intervistatore. La parte finale dell’intervista ebbe luogo il 29 agosto 1984 negli uffici di AIKI NEWS a Tokyo e fu condotta dall’editore.
Si dice che lei sia diventato uno degli uchideshi di O-Sensei appena dopo la guerra. Come era l’Hombu Dojo a quel tempo?
Sono certo che molti ricordino l’Hombu Dojo come un grande, vecchio edificio in legno adiacente alla residenza del maestro Ueshiba. Nella nicchia centrale vi era appesa una pergamena con il disegno di un drago creato usando O-Sensei come modello. A destra della pergamena erano in mostra, bokken, jo, fucili di legno (juken) e bastoni da allenamento. C’erano strisce di legno con incisi i nomi delle cinture nere orgogliosamente accostati l’un l’altro sulla parte destra del muro superiore. Sulla sinistra vi era un gran foglio di carta con le regole del dojo disegnate ad arte, come se ci guardassero severamente.
La parte frontale del dojo era un pavimento di legno che si diceva fosse stato usato per il Kendo in passato. Noi principianti dovevamo praticare su questo pavimento di legno. Molte famiglie scacciate di casa dai bombardamenti vivevano dall’altra parte del dojo.
C’erano al massimo 14 – 15 allievi ed il Doshu di allora era l’istruttore. L’atmosfera era amichevole e non potevo credere che quel posto fosse chiamato il “Dojo Infernale” molti anni prima. A quel tempo c’era gente che viveva nel dojo e cucinava per se mentre era impegnata per la propria azienda o scuola. È successo che entrassimo nel dojo semplicemente perché si poteva farlo gratuitamente. Non si può certo dire che la nostra motivazione iniziale fosse stata quella di diventare uchideshi.Che anno era?
Credo fosse circa il 1953 o il 1954. Come altri ero un pendolare del dojo all’inizio. Quando avevo 16 anni mio padre morì ed io me ne andai di casa determinato a diventare indipendente. Fui aiutato da molte persone in posti diversi, a volte affittando una stanza, a volte vivendo presso altri. Fu più o meno allora che il maestro Seigo Yamaguchi dovette tornare a casa per il suo matrimonio e mi chiese di prendermi cura della sua stanza mentre sarebbe stato via per un mese. Avrei potuto anche mangiare il suo riso. Non me lo sarei mai aspettato, ma accettai l’offerta immediatamente. Un mese volò via in un istante ed il maestro Yamaguchi tornò con la moglie. Così io non sapevo più dove andare. Mentre mi chiedevo cosa fare, O-Sensei suggerì che rimanessi nel dojo. Gli chiesi quanto mi sarebbe costato e lui rispose che era gratis. Dissi, “Gratis? Davvero? Si, per favore, mi permetta di farlo!” e divenni immediatamente uchideshi.
Chi insegnava a quel tempo?
Dato che l’attuale Doshu, era allora il direttore del dojo, era lui di solito a fare lezione. Lo chiamavamo “Wakasensei” (giovane sensei) a quel tempo. Naturalmente chiamavamo Morihei Ueshiba, O-Sensei. Allora erano solo loro due gli istruttori all’Hombu Dojo così pensavo che fossero gli unici insegnanti di Aikido.
O-Sensei veniva ogni giorno al dojo?
Come ho già detto, dato che la sua casa era adiacente al dojo, si presentava mentre il Doshu teneva la lezione e mostrava 2 o 3 tecniche per poi sparire come il vento. A volte teneva l’intera lezione lui, ma occasionalmente poteva anche stare a parlare per più della metà del tempo. Per questo, quando cominciavamo l’allenamento, non riuscivamo a stare in piedi per le gambe indolenzite. Questo succedeva quando era a Tokyo, ma O-Sensei di solito risiedeva ad Iwama. Dato che spesso andava a Tokyo, nell’area di Kansai (Osaka-Kyoto) e, se richiestogli, anche fino a Kyushu, era difficile che insegnasse ogni giorno.
In proporzione, quanto restava O-Sensei in ogni posto?
Beh, a volte poteva rimanere a Tokyo per circa una settimana o un mese e altre volte poteva accadere per due o tre giorni per poi tornare nell’area di Kansai. Per questa ragione è difficile per me dare delle percentuali. Quando O-Sensei viaggiava era sempre accompagnato. Potevano raggiungere anche Shizuoka, Osaka o Shingu con O-Sensei od arrivare ad Iwama per riportarlo a casa e tornare immediatamente. Sebbene alcuni dicano che accompagnare O-Sensei fosse un lavoro duro, io ero contento di farlo perché potevo stare in bei posti, mangiare cibo delizioso e ricevere un trattamento di favore ovunque andassi. Un giovane come me allora non avrebbe avuto alcuna possibilità di ricevere un simile trattamento e nessuno mi avrebbe neanche notato. Ero felice perché essere l’accompagnatore di O-Sensei faceva la differenza. Ero solo un ragazzo. Sono sicuro che vorreste farmi domande sulle meravigliose esperienze che pensate io abbia avuto come accompagnatore di O-Sensei, ma queste erano le cose che avevano un significato per me allora (ride).
Come era essere proiettati da O-Sensei?
Fui molto felice quando O-Sensei mi usò come uke per la prima volta. Mi sentii improvvisamente importante e pensavo che finalmente cominciavo ad essere trattato come uno studente anziano. Da quando ho cominciato ad essere uke ho cominciato anche a sentire la differenza tra il proiettare e l’essere proiettato. Per questo motivo pensavo di avere un vantaggio che altri non avevano.
Ai vecchi tempi, non si imparava a cadere come si fa ora. L’Ukemi era qualcosa che imparavi a forza di essere proiettato. Ciò che si imparava spontaneamente dall’essere proiettati era considerato un vero ukemi. Non penso che il metodo di insegnamento dell’Aikido fosse a quel tempo molto sistematico. O almeno poteva esserlo, ma io non l’ho notato. Quando O-Sensei veniva nel dojo, ci proiettava uno dopo l’altro e poi ci diceva di eseguire la stessa tecnica. All’inizio non sapevamo neanche che tecnica fosse. Quando praticavo con uno studente più anziano era prima lui a proiettarmi. Poi mi diceva, “Adesso tocca a te!”, ma io non sapevo cosa fare. Mentre mi sforzavo di proiettarlo, O-Sensei cominciava a dimostrare un’altra tecnica. Durante il primo periodo del mio allenamento, che durò molto a lungo, venivo proiettato e potevo sentirne il dolore. Mi ci vollero uno o due anni per cominciare a distinguere un po’ le tecniche. Ero contento di aver capito una tecnica ma O-Sensei poi ne dimostrava un’altra che non conoscevo. Dato che non potevo fargli domande come “Sensei, non ho capito questo punto”, aspettavo la prossima opportunità di rivedere la tecnica eseguita lui. Magari se glielo avessi chiesto me lo avrebbe anche spiegato, ma non pensavo fosse possibile farlo. Forse aver rimuginato sulle cose che non capivamo sarà stato meglio che essersi fatti spiegare le tecniche sul posto per poi dimenticarle. Poi un bel giorno arrivavamo alla risposta da soli. C’era anche la tendenza di evitare di perdersi la sua tecnica la prossima volta che l’avrebbe eseguita.
Lasciate che vi racconti un aneddoto particolare. Un giorno una persona disse questo ad O-Sensei: “Sensei, anche se pensavo di essere capace di eseguire la tecnica durante la pratica nel dojo, non riuscivo più a farla a casa.” Sensei rise e rispose: “Dato che lego il mio ki a quelli che si allenano con me essi possono farlo nel dojo ma non per conto loro.” Ricordo che pensavo fosse ridicolo che non potessimo combattere senza O-Sensei. Anche se credevo di aver compreso bene una tecnica non ero sicuro che fosse proprio come l’avrebbe eseguita O-Sensei. Così passava mezzo anno, poi un anno intero. Sebbene i praticanti ed i più anziani mi spiegassero vari punti, ognuno diceva qualcosa di diverso. Dato che il modo di apprendere varia da individuo ad individuo, probabilmente ogni persona che vede una tecnica la capisce in modo diverso. E così pensai che sarebbe stato meglio aspettare che O-Sensei mostrasse di nuovo quella tecnica.
Sembra che O-Sensei negli ultimi anni parlasse del kototama e del mondo spirituale quando parlava di Aikido o Budo. Gli uchideshi di allora lo capivano?
No, non credo. Almeno i giovani uchideshi, me compreso, non lo capivano. Nei mattini d’inverno, con tutte le finestre del dojo aperte, era piuttosto difficile ascoltare i suoi discorsi. Speravamo solo che la pratica iniziasse presto. D’estate perdevamo il sonno per il caldo e ci vantavamo di riuscire a dormire in seiza (ride). Penso che chi poteva capire i suoi discorsi erano solo le persone più religiose. Non è che non riuscissimo a capire cosa diceva, ma piuttosto non ci provavamo proprio. I giovani nati dopo la guerra avevano la tendenza ad opporsi a qualunque cosa di vecchio e non si recavano mai nei templi. Pensavamo che il Giappone avesse perso la guerra a causa del suo vecchio modo di pensare. Eravamo anche abbastanza impudenti per pensare che avremmo dovuto adottare il nuovo e muoverci verso una nuova direzione per ricostruire il paese. A volte ripenso a quello che O-Sensei ci diceva a quel tempo e rifletto su ciò che aveva voluto dire. Avrei voluto ascoltarlo più attentamente ma ora è troppo tardi.
Tratto da Aikido Journal
Questa è la seconda e ultima parte di una intervista con il Maestro Nobuyoshi Tamura che è stata condotta in due parti. La prima sessione venne tenuta a Marsiglia in Francia il 2 agosto 1983 da Didier Boyet come intervistatore. La parte finale dell’intervista ebbe luogo il 29 agosto 1984 negli uffici di AIKI NEWS a Tokyo e fu condotta dall’Editore di AIKI NEWS, Stanley Pranin.
Ci può parlare degli eventi significativi per la diffusione dell’Aikido negli anni ‘50 quando l’arte era poco conosciuta?
Penso che il fatto che l’attuale Doshu lasciò il lavoro per dedicarsi completamente all’Aikido sia stato uno degli eventi più importanti. Per diffondere l’Aikido, bisognava far conoscere l’arte, quindi fu organizzata una prima dimostrazione. Andavamo ovunque se invitati, anche se dovevamo portare con noi da mangiare. Andavamo in scuole, aziende, centri di addestramento all’autodifesa e anche da singoli che lo richiedessero. Oggigiorno le dimostrazioni non sono nulla di speciale ma a quel tempo aprire al pubblico una dimostrazione di Aikido era impensabile.
Quando O-Sensei fu invitato alla prima dimostrazione di Kobudo (arti marziali vecchio stile) del dopoguerra, disse di non voler partecipare e mandò il maestro Tohei invece. Quando il maestro Tohei chiese ad O-Sensei quali tecniche avrebbe dovuto dimostrare, pare che rispose, “Quelle che vuoi. Fa ciò che credi appropriato.” Penso che credesse che il Budo non fosse qualcosa da mostrare ad altri e si preoccupava che una volta mostrate le sue tecniche qualcuno se ne potesse appropriare. Quindi, quando io cominciai con l’Aikido molta gente non ne sapeva nulla. Mi veniva spesso rivolto questo tipo di domanda: “Aikido? Cos’è? È un tipo di kiai jutsu?” Così stavano le cose, e sembra fosse difficile per il Doshu ricevere il permesso da O-Sensei di fare dimostrazioni. Alla fine lo ottenemmo, ma dato che nessuno l’aveva mai dimostrato in pubblico non sapevamo bene cosa fare per pianificarla, almeno per quanto riguardava contenuto e durata. Facevamo allora delle prove ed il Maestro Okumura cronometrava le esibizioni di ogni gruppo dando istruzioni di start e stop, avvertendoci così nel caso ci dilungassimo troppo. L’immagine del maestro Okumura col cronometro è ancora chiara nella mia mente.
È noto che O-Sensei andò alle Hawaii con il maestro Tohei insieme a lei nel 1961. Quali sono le sue impressioni su quel viaggio?
Ricordo che personalmente fui molto felice perché era la mia prima opportunità di andare all’estero ed anche perché potevo accompagnare O-Sensei. In più ero tranquillo perché anche il maestro Tohei sarebbe venuto con noi. Il nostro primo giorno alle Hawaii siamo stati in un meraviglioso hotel a Waikiki Beach. La mattina dopo O-Sensei furioso disse che sarebbe tornato in Giappone. Sembra che non riuscisse a regolare la temperatura della doccia e che si versò acqua bollente in testa (ride). Era un bel problema! Normalmente, quelli di noi che accompagnavano O-Sensei stavano nella stanza accanto. Ma dato che era la prima volta che stavamo in un hotel occidentale non eravamo preparati. Poi un membro del gruppo che ci aveva invitati, un certo signor Kagesa, ci fece accomodare nella dependance della sua casa. Ero molto dispiaciuto perché non mi aspettavo di dover stare in una casa Giapponese alle Hawaii. Comunque ricevemmo un ottimo trattamento ovunque.
Per cambiare in qualche modo argomento, c’è un modo per i non giapponesi di capire la filosofia di O-Sensei?
Domande simili mi vengono spesso rivolte sia in Europa che negli Stati Uniti. Rispondo sempre che anche se i nostri caratteri e il colore della nostra pelle sono diversi, dato che siamo tutti umani non è certo un caso che ogni razza o cultura sia incapace di capirla. Sebbene io non sia sicuro che l’Aikido abbia un qualcosa che possa essere classificato come filosofia o no, parlo ai miei studenti degli insegnamenti di O-Sensei e delle mie impressioni su di lui per quello che io stesso posso capire. Ciò può significare che quello che essi capiscono può essere limitato dalle mie conoscenze. A causa di ciò può anche significare che ci vorrà molto per gli stranieri per capire il pensiero di O-Sensei. Dato che l’Aikido si basa sull’assunzione che mente e corpo sono una cosa sola, se si eseguono le tecniche di Aikido correttamente, la mente seguirà il corpo. D’altra parte, se la mente non funziona secondo i princìpi dell’Aiki, non si è capaci di eseguire delle vere tecniche. Penso che sia possibile capire lo spirito di O-Sensei un po’ alla volta attraverso la pratica quotidiana. Quindi, io pratico nella speranza che il mio spirito si avvicini al livello di O-Sensei anche se di poco. Egli spesso lamentava: “Ho lavorato molto duramente per aprire la Via dell’Aiki, ma quando mi fermo a guardare indietro, vedo che nessuno mi ha seguito.” Questo era probabilmente vero. Ciò significa che la via dell’Aiki è estremamente lunga, non solo per gli stranieri ma anche per i giapponesi.
Quando andò in Francia per la prima volta, qual’era la situazione lì?
A quel tempo, intorno al 1964, i praticanti di Aikido in Francia erano circa quattro o cinquecento persone. Pare che ce ne fossero solo sette od ottocento in tutta Europa. In Francia c’erano il Maestro (Mutsuro) Nakazono e (Masamichi) Noro, uno dei miei amici dagli anni da uchideshi, ed il Maestro (Aritoshi) Murashige operava in Belgio. Durante lo stesso periodo Kawamukai andò in Italia ed il Maestro Tada lo seguì subito dopo. Più o meno nel periodo del mio arrivo in Francia, il Maestro Nakazono e Noro tenevano stage non solo in Francia ma anche in altri paesi come il Belgio, la Gran Bretagna e la Svezia. In altre parole, era necessario considerare l’Europa come una cosa sola piuttosto che come nazioni separate.
Il Maestro (Tadashi) Abe era già rientrato in Giappone?
Masamichi Noro lasciò il Giappone per la Francia nel 1962. Prima della sua partenza il Maestro Abe tornò in Giappone. Ricordo ancora bene di essere andato con Noro a trovare il Maestro Abe per sentirlo parlare della sua esperienza in Europa.
Cosa faceva Nocquet a quel tempo?
Era il primo francese a venire in Giappone per allenarsi in Aikido e restò per due anni (1955-57). Sembra che a quel tempo (circa il 1962) fosse molto attivo nel diffondere l’Aikido a Parigi dalla sua base di Bordeaux, dov’era nato. Il suo gruppo apparteneva alla FFJDA (Federation Francaise de Judo et Disciplines Assimiles – Federazione Francese di Judo e Discipline Correlate) ma riteneva offensivo che l’Aikido fosse messo sotto il patronato del Judo. Sebbene Nocquet avesse acquisito autorità nell’amministrazione dell’Aikido in Francia dal Maestro Abe, i maestri giapponesi venivano ad insegnare senza permesso. Di conseguenza, aveva intentato un’azione legale contro l’Akikai. Non ebbe alcun contatto con i giapponesi.
Tratto da Aikido Journal
Traduzione a cura di Pasquale Robustini