All’avvicinarsi dei 18 anni cominciai a sognare di avere un’auto mia, in modo più concreto. La mia auto preferita dell’epoca rimaneva un’Alfa Romeo, la Giulietta (1977-1985), ma anche altre auto, per lo più a carattere sportivo, stuzzicavano la mia fantasia. Non ho mai sognato Ferrari o Porsche. Mi piacevano i modelli di tutti i giorni, un po’ perché erano quelli che, osservandoli quotidianamente in giro per la città, avevano stuzzicato la mia attenzione sin da bambino, un po’ perché forse sentivo che un giorno sarebbero stati sogni realizzabili.
Una di queste era una grintosa francese, la Renault 5 nella versione Alpine: montava un 4 cilindri da 1397 raffreddato ad acqua, lo stesso motore utilizzato sulle R5 TX e TS, ma rivisto in profondità, in modo da arrivare ad erogare 93 CV a 6400 giri/min, in luogo dei 63 CV erogabili sulle due versioni più tranquille. Tale motore era dotato di testata emisferica in alluminio, e riusciva ad erogare una maggior potenza grazie ad interventi come l’aumento del rapporto di compressione e l’adozione di un carburatore invertito doppio corpo Weber. Con tali rivisitazioni, anche la coppia motrice aumentò in maniera considerevole, arrivando ad 11.8 kgm di picco massimo a 4000 giri/min. La distribuzione era del vecchio tipo ad asse a camme laterale mosso da catena, e distribuzione ad aste e bilancieri. L’impianto frenante era di tipo misto, cioè con dischi anteriori da 228 e con tamburi al retrotreno. I cerchi erano da 13 pollici, dimensioni ridotte che permettevano alla Alpine uno scatto bruciante, tale da coprire in circa 9 secondi l’accelerazione da 0 a 100 km/h da garantirle un allungo di 175 km/h, considerevole all’epoca per una piccola vettura pepata.
Tra le piccole italiane ero molto affascinato dalla Autobianchi A112, in particolar modo nella versione “Abarth”. La A112 era la risposta italiana all’inglese Mini. Il nuovo modello Autobianchi, che dal 1968 era nel gruppo FIAT, era apprezzato per la facilità di guida, l’eleganza delle finiture e la versatilità d’uso, anche determinata dal portellone posteriore. Dopo aver verificato l’impossibilità di proporre un nuovo modello in tempi brevi, la Innocenti, che produceva delle Mini italiane su licenza della British Motor, corse immediatamente ai ripari presentando il modello “Cooper MK3” che si rivolgeva ad una clientela prettamente maschile, disposta a sopportare un rilevante aumento di spesa pur di sfoggiare una prestigiosa immagine sportiva.
L’idea per fronteggiare la “Cooper MK3” venne dall’opera di Carlo Abarth che, in occasione del “Saloncino dell’auto sportiva” del 1970, aveva realizzato un prototipo su base “A112”, con potenza di 107 CV e distribuzione a testa radiale, espressamente pensato per le corse, ottenendo il corale consenso della stampa specializzata. Ultima realizzazione autonoma di Carlo Abarth, il prototipo era il tentativo di convincere la FIAT a fornire le basi meccaniche per realizzare, in piccola serie, autovetture destinate ai piloti privati, risollevando economicamente il glorioso marchio dello scorpione. Così non fu. Il colosso torinese scartò subito l’ipotesi di mettere in cantiere una costosa automobile da corsa, ma le soluzioni di Carlo Abarth vennero accolte per realizzare la versione sportiva della “A112”, con la quale contrastare la “Cooper MK3”. Due prototipi di costruzione FIAT, uno con 63 CV a testata convenzionale e l’altro di 74 CV a testata radiale, svolsero i primi test su strada nel gennaio 1971, proprio mentre la FIAT stava concludendo la trattativa per l’acquisizione della Abarth.
Può sembrare strano, ma c’era un’altra piccola italiana in versione sportiva con cui sognavo di andare a prendere la mia prima ragazza (che devo dire, questi erano i sogni dei giovani appassionati di auto dell’epoca). Era la Fiat 127 Sport 70 HP. La 127 era uscita nel 1971 segnando una svolta nel mondo delle “piccole”: presentava la trazione anteriore, la linea a due volumi disegnata da Pio Manzù e il motore di 903 cc, rivoluzionando il concetto di utilitaria da famiglia. Il successo che arrise al nuovo modello, di gran lunga superiore alle previsioni, fece pensare che ne sarebbe stata derivata subito una versione sportiva. Invece la variante “cattiva” arrivò soltanto nel settembre 1978, una volta messi da parte i timori post-crisi energetica. La nuova 127 Sport 70 HP non era però sportiva nel senso tradizionale del termine. Non era un coupé né una cabriolet o una spider: era più un “allestimento sportivo” della berlina base, con la personalizzazione estetica e il motore potenziato, secondo tendenze diffuse all’estero, dove era di moda derivare, da auto di grande diffusione, una versione caratterizzata in modo vistoso e con prestazioni intonate alla brillantezza e al piacere di guidare. Questa strategia catturava nuovi clienti e aveva un effetto di traino sulla vendita delle versioni base del modello. Da noi, invece, le “derivate sportive” incontravano qualche resistenza, tuttavia la Fiat non si era del tutto estraniata da questa realtà: l’aveva però seguita indirettamente, lasciando alla sola Autobianchi (con la A 112 Abarth), una volta tramontata la 128 Rally, il compito di dare una risposta efficace. Ma la VW Golf GTI, e poi la Renault 5 Alpine, avevano ormai ampiamente mostrato che le versioni sportive di normali medie da famiglia rappresentavano un’importante presenza nella gamma di qualsiasi grande Casa.
Fonte: Wikipedia