La nostra è un’arte di contatto ed il contatto rivela le nostre emozioni. Attraverso il toccarci sviluppiamo una certa sensibilità che ci darà ciò che noi chiamiamo la tecnica.
Durante i miei corsi amo molto ripetere queste frasi: “La tecnica è il nostro atteggiamento, il nostro modo di muoverci e di far muovere il nostro partner senza fretta, senza offenderlo; la tecnica è il modo in cui il nostro corpo si comporta con uno sconosciuto, è la nostra visione che si apre sul mondo dell’ignoto e per arrivare a tale maestria nella tecnica l’Aikido ci dà i suoi principi: ikkyo, shi ho nage… i mezzi per capire come il nostro corpo deve muoversi nel rispetto della sua fisiologia”.
Per me ogni presa di contatto con il partner deve essere piacevole per entrambi. Per piacevole intendo un contatto che i due partner accettino senza gesti di rifiuto o gesti parassiti. Da principianti questo contatto avviene tramite il palmo della mano e le cinque dita. Mi piace ricordare che le cinque dita della mano non sono solo quello che gli studiosi chiamano genericamente le falangi. Il dito mignolo, ad esempio, comprende le tre falangi più il quinto metacarpo, per finire su un piccolo osso carpale che si chiama pisiforme. E’ per questo che quando dico di incollare il mignolo al polso del partner è indispensabile mantenere tutto l’apparato anatomico in contatto intimo con esso.
Da principianti il contatto si effettua con il palmo della mano ma possiamo utilizzare tutte le sue superfici per prendere contatto con il partner. Potrebbe essere il dorso della mano o il suo bordo. Nella vita di tutti i giorni questi sono dei tipi di contatto che sono considerati piuttosto negativi se utilizzati con degli estranei. Sul tatami portiamo la stessa esperienza quindi le stesse sensazioni, di conseguenza non possiamo colpire un partner. Quando chiediamo ad un partner di darci un pugno, questi non lo sa fare, non può saperlo ed è abbastanza normale. “Attaccare” non è un’azione istintiva, bisogna imparare a colpire. Dare un pugno non è un gesto naturale, anche se ovviamente esistono persone che lo fanno, magari per rabbia o nervosismo. Ma colpire coscientemente è un gesto dall’alto profilo tecnico.
L’Aikido ci ha dato un mezzo per mobilizzare o controllare un partner, il tai sabaki (irimi tenkan). Se lo traduciamo letteralmente vuol dire “muovere il corpo”. Ma nel vocabolario della nostra arte indica irimi : prendere contatto con l’altro e tenkan : girare quando il Tori non può più andare avanti.
A me sembra evidente che non dovremmo utilizzare altri mezzi che l’Aikido non ci ha dato per realizzare i nostri movimenti.
Quando dico che l’aikidoka non dovrebbe utilizzare altro che i mezzi che la pratica gli ha dato, questo non lo dispensa dal saper fare tutti i gesti che il corpo può eseguire. E l’atemi (volgarmente tradotto come colpo o pugno) è un tipo di movimento che il praticante deve essere capace di materializzare, ma mai per uscire da una situazione difficile. Mi imbarazza sempre vedere gli alti gradi utilizzare l’atemi per allontanare o fermare un partner. E mi imbarazza ancor di più che questi gesti non siano mai eseguiti per davvero. Questi “atemi” sono spesso, per non dire sempre, eseguiti in modo meccanico, senza sapere se ciò è necessario o no. Ed è questo che mi preoccupa, perché non sono fatti con coscienza, ma perché si fa così, bisogna fare come ci ha mostrato l’insegnante a suo tempo. In effetti non si è mai visto un praticante della nostra arte che sia messo KO durante un allenamento.
Etimologicamente, atemi è l’unione di due parole: “ateru” e “mi”. “Ateru” vuol dire toccare e “mi” significa corpo. Ciò significa che ogni volta che tocchiamo un partner eseguiamo un atemi. Ancora più inquietante è che quando chiediamo ad un partner di darci un atemi, questi sembra sorpreso perché lo traduce come: “fammi del male, mettimi KO”. Per quanto riguarda tutti gli altri tipi di contatto è più facile controllare le proprie azioni. Non appena si parla di atemi non c’è più alcun ritegno, ci si chiede spesso “devo farlo per davvero?”. Non c’è risposta, perché vorrebbe dire che per tutte le altre prese di contatto il nostro partner non ha mai lavorato con sincerità ed onestà. “Atemi”: presa di contatto con il partner con la parte dorsale delle prime falangi – potrebbe essere una definizione di questo gesto nella nostra arte.
Nella mia pratica mi rifiuto decisamente di utilizzare l’atemi come mezzo dissuasivo od aggressivo; l’Aikido ci ha fornito tutti i mezzi necessari per mobilizzare un partner senza dovergli fare paura. Mi preoccupano di più tutti questi atemi mai davvero eseguiti, che abituano i praticanti a non muoversi più davanti ad un colpo.
Dal canto mio, utilizzo quella sensazione di “atemi” prendendo contatto col partner. In effetti, quando il partner viene a fare una presa con una certa forma, tipo il katate dori, nell’effettuare il tai sabaki entro in contatto col partner con la stessa determinazione che metterei nell’effettuare un atemi. Se decido di eseguire ikkyo, il primo contatto che ho con il partner è situato al livello del suo gomito e ci metto la stessa sensazione che darei se eseguissi un atemi. Per me un atemi non è inteso a fare del male o distruggere, ma nel primo contatto metto tutta l’intensità necessaria a permettermi di mobilizzare l’uke senza che esso rifiuti il movimento o blocchi la pratica. Un atemi, nella mia pratica, non significa distruzione o dominazione ma semplicemente un modo di utilizzare la mano per prendere contatto con il partner. E devo sapere all’istante esattamente che grado di forza e potenza devo utilizzare per prendere contatto col partner senza causare uno shock.
Vorrei a proposito ricordare semplicemente che la nostra arte ci ha dato un certo numero di mezzi per muoverci liberamente, per mobilizzare un partner senza usare la fretta, non c’è bisogno di fingere un colpo per avere l’illusione di essere invincibili. Per me l’Aikido è entrare in contatto con l’altro senza che uno dei due si senta aggredito o disturbato. Come ho già scritto in passato, le mani sono fatte per costruire, non per distruggere.
Scriviamolo ancora una volta – “atemi”: prendere contatto con il partner essendo allo stesso tempo dolce e potente. E non dimentichiamo mai che se siamo in difficoltà, solo le gambe sono la soluzione: il tai sabaki.
Philippe Gouttard, 21 aprile 2014
Un ringraziamento a Guillaume Erard per le sempre pertinenti osservazioni
Traduzione dall’originale in francese a cura di Pasquale Robustini