L’Aikido è duro lavoro – Seigo Yamaguchi

bazylkoA volte un incontro può cambiarti tutta la vita. Lascia dentro di te un’impressione indelebile fino alla fine. Per me un tale evento straordinario fu l’incontro con il maestro Seigo Yamaguchi (1924-1996). Ho partecipato solo a due stage da lui condotti, di cui a quel tempo capii molto poco. Ma la sua facilità di esecuzione e la non cumune bellezza di quei movimenti accesero dentro di me un irresistibile desiderio di seguire lo stesso percorso, anche se non sarei andato poi molto lontano. Ad oggi ancora non so bene che tipo di proposito sia mai questo, ma sento dentro di me la profonda mancanza di questo insolito fenomeno che era l’Aikido di Seigo Yamaguchi.
Sono fortunato ad essere un allievo di Christian Tissier, uno dei migliori studenti del Genio giapponese. Ho anche incontrato alcuni dei suoi migliori allievi, come Seishiro Endo (classe 1942) e Masatoshi Yasuno (classe 1948) e ne ho scritto in altri articoli (Budojo n. 1). L’Aikido di Seigo Yamaguchi vive nei suoi allievi, anche se essi sono molto diversi gli uni dagli altri. seigo-yamaguchi-finishing-throwRiusciva a tirar fuori il meglio da ognuno, ma allo stesso tempo non voleva che lo imitassero. Quando gli allievi tornavano nel proprio paese ad insegnare Aikido, non erano nella posizione di insegnare il suo. Come è certamente ovvio, il suo Aikido li impregnava, ma ciò non li rendeva capaci di riprodurlo. Essi possedevano le fondamenta su cui costruire il loro proprio edificio, potevano parlare solo per se stessi. Yamaguchi voleva che fossero se stessi. Non sopportava l’idea di seguire la folla. Dava valore alle persone che avevano le proprie opinioni ed in questo le supportava. Non si è mai appoggiato all’autorità di O’Sensei. Diceva: “O’Sensei è O’Sensei, io mi chiamo Yamaguchi”. E ciò non significava certo mancanza di rispetto per il suo insegnante, anzi. Yamaguchi credeva profondamente che ognuno dovesse prendersi la responsabilità delle proprie azioni, di ciò che poi si tramanda agli altri. Per lui, appoggiarsi costantemente all’autorità di un altro insegnante era segno di mancanza di maturità. Se qualcuno vuole insegnare ad altri, deve prima crescere se stesso, per poter poi passare il sapere ricevuto ad altre generazioni. Deve prima imparare ad allontanarsi dall’ala protettrice del maestro e guardare con occhio critico quello che ha imparato. La tecnica del maestro Yamaguchi non era trasferibile, era un dono esclusivo che gli permise di costruire qualcosa di suo. Ognuno è diverso e pratica un Aikido diverso, ma per arrivarci bisogna comunque avere una guida. Il maestro Yamaguchi era una guida. Non voleva avere imitatori, ma successori che avrebbero seguito ognuno il proprio percorso.
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La relazione insegnante-allievo è qualcosa di speciale, che si basa su profonda fiducia. Il maestro Yamaguchi divenne allievo di O’Sensei nel 1950. All’inizio voleva diventare un dipendente pubblico, superò anche il concorso di impiegato governativo, voleva interessarsi di affari pubblici o lavorare nell’ambito delle relazioni internazionali. Considerò anche la possibilità di lavorare in una grossa azienda di costruzioni. Alla fine decise di emigrare, forse per l’Europa, probabilmente in Francia. Nyoichi Sakurazawa (George Ohsawa, 1893-1966), il creatore della macrobiotica, amico di suo padre ed anche di O’Sensei, gli consigliò di familiarizzare con qualche forma di arte tradizionale giapponese, prima di partire. Fu lui a dare a Morihei Ueshiba una lettera di raccomandazione. L’incontro con una figura così straordinaria fu decisivo per il resto della vita di Seigo Yamaguchi. Divenne uchideshi di O’Sensei e si concentrò esclusivamente sull’Aikido. Ai tempi questa era una scelta piuttosto insolita, quelli del dopoguerra erano tempi difficili, la gente non era interessata al Budo, aveva ben altri problemi vitali. Il maestro Yamaguchi divenne il primo insegnante professionista di Aikido. Non aveva altre occupazioni. Col tempo le cose cambiarono, la gente cominciò a praticare arti marziali sempre più, nacquero sempre più club e l’Aikido divenne più popolare. Ma quando Yamaguchi prese quella decisione le cose andavano diversamente. Bisogna avere una visione della vita che si vuole condurre. Il maestro Yamaguchi decise di seguire la via indicata da O’Sensei. Certamente, saper prendere decisioni mature non significa scegliere il percorso più facile. La capacità di distinguere cosa è importante da ciò che non lo è aiutò Yamaguchi a sopravvivere alla guerra. Era arruolato in uno squadrone kamikaze e molti suoi amici rimasero uccisi. Era preparato a seguirne le orme e lo avrebbe fatto certamente se la guerra non fosse finita prima. La sua missione non ebbe mai luogo, ma è impossibile che questa cosa non abbia lasciato un segno per tutto il resto della sua vita.
Il maestro Yamaguchi aveva una memoria fotografica. Era capace di ripetere facilmente ogni movimento che osservava. O’Sensei non spiegava le tecniche, le mostrava e basta. Tutto deve essere poi scoperto da soli. E’ certamente più difficile, ma ci rimane impresso per sempre. Il movimento che non è imposto da nessuno diventa poi il nostro movimento. Il maestro Yamaguchi afferrava tutto alla velocità di un fulmine. Dopo due anni aveva già iniziato ad insegnare. Andò per la sua strada ma mantenne un fortissimo legame ed un profondo rispetto con il suo maestro. Divenne egli stesso un insegnante molto popolare con molti allievi non solo in Giappone ma anche all’estero. Tenne diversi seminari in Europa (prima in Francia e a Parigi, ma anche in Germania a Mannheim, in Gran Bretagna a Oxford, in Svizzera, Belgio, Danimarca), negli Stati Uniti e in Canada, in Sud America (Brasile, Argentina, Uruguay). Dal 1958 al 1961 insegnò Aikido a Burma. Presso lo Hombu Dojo dell’Aikikai di Tokyo teneva lezioni speciali per praticanti di alto grado. Nessuno capiva la sua tecnica, anche gli insegnanti di primo piano dello Hombu Dojo non riuscivano ad immaginare come col minimo sforzo egli riuscisse ad eseguire qualunque tecnica su chiunque attaccasse con qualunque tipo di attacco. Era a gli occhi di molti studenti della seconda generazione di O’Sensei un genio del Budo. Non era facile che insegnanti dell’Hombu Dojo seguissero lezioni dei loro stessi colleghi. Ma alcuni andavano a lezione da Seigo Yamaguchi, un segno di rispetto molto raro. Tra di essi: Masando Sasaki (classe 1929), Mitsugi Saotome (classe 1937), Yoshimitsu Yamada (classe 1938) e Kazuo Chiba (classe 1940). Molti pensavano che il maestro Yamaguchi, grazie alla sua grande popolarità e alla sua tecnica elevatissima, avrebbe dovuto creare una sua scuola di Aikido. Ma non lo fece mai, riteneva inutili le divisioni ed era fedele alla memoria di O’Sensei.
yamaguchi1Il maestro Yamaguchi aveva un grande carisma ed il dono della didattica. Era un vero maestro di arti marziali. Finché non si incontra una persona di questo tipo non si può capire cosa ciò significhi veramente. È questo che spesso si dice di vari personaggi famosi del mondo delle arti marziali. Molte volte si tratta di valutazioni alla leggera, basate su leggende piuttosto che sulla realtà, la quale rimane ignota. A volte si parla in questo modo di insegnanti ancora in vita, forse per via del divario che ci separa da loro dal punto di vista tecnico o per l’esperienza in un dato campo. E comunque succede che si etichetti in tal modo qualcuno come se non si potesse dubitarne. Era questo il caso del maestro Yamaguchi. Nessuno si preoccupava del grado che avesse, l’importante era che fosse Yamaguchi. Alcuni erano affascinati dalla rara efficacia, anche se non sembrava ci fosse dietro niente di particolare. Era come se nell’eseguire le tecniche di Aikido non obbedisse ad alcuna regola: non controllava la distanza, manteneva un baricentro alto, sembrava si muovese in modo strano, stando inclinato. Faceva tutto ciò che si sconsiglia ai principianti. All’osservatore esterno dava l’impressione che non eseguisse tecniche reali: uke finge e tutta l’azione consiste in un gioco di attacco e risposta. Ho sentito spesso opinioni del genere, anche da aikidoka presenti alle sue stesse lezioni. Ma le cose stavano in modo diverso. Chiunque avesse mai avuto l’onore di attaccare il maestro Yamaguchi ne è convinto. A prescindere dalla potenza, dalla velocità, dal tipo di movimento e da altri aspetti dell’attacco, il risultato era sempre lo stesso: si finiva al tappeto più velocemente di quanto ci si aspettasse, spesso senza neanche capire come fosse accaduto. Il maestro Yamaguchi non correggeva mai un attacco, ogni modo era accettato, qualunque fosse l’attaccante. Questa era piena armonia, in accordo coi principi dell’Aikido. Attaccare il maestro non era cosa ovvia. Nell’attaccante c’era sempre ansia per il risultato dell’attacco. Il maestro Yamaguchi appariva davvero potente nel dojo. Fuori si mischiava con la folla. Ma chi è stato così fortunato da poterlo attaccare più volte, non aveva ansia; il maestro Yamaguchi pensava a tutto. Solo chi ha potuto sperimentare l’esecuzione di una tecnica senza sforzo in risposta al migliore attacco possibile, può forse capire che insolita arte sia l’Aikido. Pochi aikidoka possono vantare una simile esperienza. Gli allievi del maestro Yamaguchi hanno avuto questa fortuna.

Il maestro di arti marziali insegna per tutta la sua vita. L’insegnamento non avviene solo sul tappeto, la sua arte impregna ogni aspetto del suo essere. Ha una forte individualità ed è strettamente connesso ai suoi allievi. Il maestro Yamaguchi amava due cose: caffè e sigarette. Con il primo riuscì a smettere, ma non con le altre, sfortunatamente. Lo si poteva trovare seduto in un locale in qualunque momento. Spesso ci andava dopo l’allenamento mattutino e vi rimaneva fino al pomeriggio. Era molto facile che i suoi studenti si unissero a lui. Yamaguchi era una persona di cultura, suo padre era direttore di una scuola pubblica ed in casa c’erano molti libri che suo figlio amava leggere. Storia, letteratura, filosofia erano le aree di interesse. Era ben in grado di intrattenere conversazioni su questi argomenti e, se qualche allievo poi decideva di unirsi, stava bene attento non fare brutta figura. Erano conversazioni che formavano e accrescevano i suoi studenti. Le conversazioni con il maestro, le storie raccontate davanti ad un caffè, avevano per gli allievi almeno la stessa importanza di ciò che imparavano sul tatami. Per coloro che passavano il tempo con lui era chiaro che ciò che Yamaguchi amasse di più fosse stare in mezzo alla gente, essere in compagnia di altri. Spesso riflettiamo su quello che abbiamo fatto di importante nella vita, su cosa lasceremo a questo mondo. Ci ricordiamo di diversi fatti o avvenimenti, ma spesso scopriamo che ciò che conta davvero sono le persone che abbiamo avuto la fortuna di incontrare. Al maestro Yamaguchi non importava molto delle cose materiali, ma trovava sempre il tempo di incontrare persone.
Trattava l’Aikido molto seriamente. In uno degli allenamenti per persone con almeno il 4° dan, dopo un paio di sessioni particolarmente faticose, chiese ai partecipanti cosa fosse per loro l’Aikido. Molte furono le risposte: filosofia di vita, arte del movimento, risoluzione del conflitto, arte del combattimento o anche un modo per migliorarsi. Il maestro Yamaguchi disse: “l’Aikido è duro lavoro!” In ogni risposta vi era una piccola parte della verità, ma il maestro voleva sottolineare come l’unico modo per arrivare ad una risposta fosse un allenamento intenso. Aikido è il linguaggio del corpo. Non può essere appreso teoricamente. D’altronde non dipende unicamente dallo sforzo. Il punto non è stancarsi, ma anche, e forse più, essere sempre pronti ad accettare qualcosa di nuovo. Ci vuole una concentrazione costante per imparare nuovi movimenti, non per ripetere quelli vecchi. Di solito non ascoltiamo quello che dice l’insegnante e non facciamo quello che egli mostra. Ci basta afferrare una frase chiave ben nota e ci inseriamo quello che già sappiamo, a completare. Ci adagiamo sulle vecchie abitudini. Il maestro Yamaguchi combatteva questo atteggiamento molto comune tra gli aikidoka. Esigeva attenzione. Ripeteva costantemente che l’esercizio “deve contenere lo spirito del principiante”. Percepiva sempre la mancanza di concentrazione dei suoi allievi. Tutti quanti desideravano essere presi come uke, chiamati a dimostrare una tecnica, o più tecniche, visto che Yamaguchi raramente ne eseguiva una soltanto. Alle sue lezioni presso l’Hombu Dojo erano presenti molte persone ed il maestro Yamaguchi utilizzava di solito sempre gli stessi due o tre uke. Di solito eseguiva le tecniche col maestro Yasuno, che aveva un quarto della sua età. Ma se qualcuno ad un tratto perdeva concentrazione, veniva istantaneamente chiamato in mezzo. Gli uke potenziali si tenevano ovviamente sempre pronti, ma Yamaguchi li chiamava sempre nel momento in cui non lo erano. I suoi allenamenti erano pieni di passione. L’attenzione era richiesta non solo durante le spiegazioni, ma anche nella pratica. Il maestro Yamaguchi non faceva distinzioni tra le tecniche, non le analizzava. Era piuttosto un processo che avveniva fra i due partner, piuttosto che una serie di movimenti che costituiscono una tecnica. Ogni tecnica fluiva nell’altra ininterrottamente. Essa non era lo scopo, ma il mezzo per comunicare con il partner. L’esercizio era in contatto costante, ogni movimento di un partner causava la reazione dell’altro. Una conversazione non può essere interrotta.

Il maestro Yamaguchi era molto severo con i suoi studenti migliori. Da essi esigeva il massimo. Dovevano lavorare più intensamente, era molto duro con loro, ma si preoccupava del loro futuro. Il maestro Endo racconta come dopo 10 anni di allenamento di Aikido si procurò una brutta contusione alla spalla destra. Un giorno incontrò Yamaguchi in un caffè e questi gli chiese: “Hai praticato Aikido per dieci anni, ma ora puoi usare solo una mano. Che hai intenzione di fare?” Colpito dalla domanda, il maestro Endo prese ad allenarsi quasi esclusivamente con Yamaguchi. Solo allora capì che Yamaguchi praticava in modo molto diverso dagli altri insegnanti e che era esattamente quello che serviva a lui. Il maestro gli disse: “Anche se non comprendi quello che ti suggerisco, fidati di me e sacrifica i prossimi 10 anni”. Sembravano un’eternità, ma il maestro Endo si fidò di lui ed il suo Aikido subì una trasformazione completa.
yamaguchi2Il posto più importante dove Yamaguchi insegnava, a parte l’Hombu Dojo, era il dojo Zoshukan di Shibuya, a Tokyo. Era un dojo per il Kendo, quindi non vi erano tatami. Solo gli allievi più importanti praticavano lì. L’assenza di tatami costringeva ad una notevole concentrazione durante le cadute. Ciò nonostante, le tecniche venivano eseguite a velocità normale, riducendo solo l’accelerazione al momento della proiezione. Così si permetteva all’uke di rallentare all’ultimo momento, prima di eseguire la caduta. Questo tipo di lavoro rendeva essenziale ogni momento dell’azione, la concentrazione non poteva essere interrotta nemmeno per un istante. Il lavoro duro accomunava le persone e creava forti legami. Anche i più grandi maestri di Aikido guadagnavano poco, così alla fine dell’anno gli studenti più vicini a Yamaguchi facevano una colletta per lui. Era un gesto simbolico, ma con una dimensione materiale.
Il risultato del regime di vita del maestro Yamaguchi fu un’ulcera intestinale. Il suo medico gli raccomandò una operazione, affermando che così sarebbe rimasto attivo per altri venti anni. Ma Yamaguchi credeva fortemente nell’ordine naturale delle cose, non prendeva decisioni radicali, sentiva di poter andare avanti da solo. Si dice che alla vigilia della sua morte partecipò ad una dimostrazione di Aikido, attaccato da tre uke. Dopo la dimostrazione il maestro aveva difficoltà respiratorie e si sentiva poco bene. Rientrò a casa a piedi. Lì morì nel sonno il 24 gennaio 1996.
Il suo Aikido, sebbene fugace, ebbe grande influenza su molti eccezionali insegnanti oggi in attività e sull’immagine attuale dell’arte. E’ stato uno dei pilastri dell’Aikido moderno, anche se questo non gli è universalmente riconosciuto. Le sue conquiste sono considerevolmente superiori alla sua popolarità. Anche se non conosciamo l’autore, spesso gli siamo vicini attraverso il suo lavoro. Dopo tutto le sue tecniche sono impossibili da tramandare… Perché non sono morte con lui? Perché hanno lasciato un marchio indelebile su chi è stato così fortunato da essere in contatto con lui e con la sua arte.


Questo articolo è apparso sul numero 10 di Budojo (6/2004), rivista online. L’originale in polacco è su aikidochoszczowka.pl
Traduzione dall’inglese a cura di Pasquale Robustini
La pubblicazione in italiano è stata autorizzata da Andrzej Bazylko: sensei@aikido-ab.waw.pl.