Io speriamo che me la “cavo”…

Mai avrei pensato che avrei sentito il bisogno un giorno di scrivere di cavi Hifi! Certo, è importante non connettere i propri preziosi componenti con una “piattina”, ma non ho mai speso cifre importanti per i cavi. Ritengo una follia spendere più di 5e al metro e sinceramente è così facile costruirsi ottimi cavi da soli che il mio ultimo acquisto come cavo Hifi risale al 2014: 40e per dei cavi di segnale TNT Ubyte-I preassemblati da un appassionato che uso dal pre fono all’amplificatore; avevo già dei Monstercable Interlink 300 che uso ancora tra Dac e amplificatore. Per il resto ho fatto da me seguendo sempre i suggerimenti di TNT-Audio.

Allora perché questo articolo? Perché io che sono scettico sulle performance dei cavi ho avuto una sorpresa che mi ha lasciato a bocca aperta. Sia chiaro: sono certo che un impianto Hifi meriti dei cavi buoni; preoccuparsi di quale cavo suoni meglio di un altro sinceramente lo vedevo come un capriccio audiofilo.

Ma qualcosa di vero c’è. Me ne sono accorto la prima volta quando ho sbagliato cavi per il mio giradischi Thorens. Avevo già costruito un paio di TNT-Shield e li usavo come ottimi cavi di interconnessione. Ho provato a installarne una coppia sul giradischi e non è stato bello. Al tempo avevo usato un buon cavo microfonico coassiale per sostituire i vecchi cavi di uscita del Thorens e il risultato mi piaceva. Il TNT-Shield, che prevede un cavo a due conduttori, non andava bene. Morale: i cavi possono pregiudicare il risultato finale.

Me ne meravigliai quasi quando anni dopo, avendo ripreso a suonare la chitarra elettrica in un gruppo, acquistai dei cavi per chitarra di qualità. I miei vecchi cavi jack funzionavano ancora, ma era tutto quello che facevano. Spendendo 15-20e di cavo per gli italianissimi Reference “Ultimo Cavo”, il suono è migliorato enormemente.

Ancora qualche anno dopo e acquisto il mio attuale amplificatore integrato: un Naim Nait 5i. Ricapitolando, il mio impianto era stato costruito attorno a dei diffusori a linea di trasmissione inglesi, i TDL Studio 0.5, acquistati nel dicembre 1991. Li volevo fortemente.


“Piccola” digressione sulla linea di trasmissione e sull’opportunità di avere dei veri “bassi” in un impianto Hifi.

TDL Studio 0.5 Loudspeakers

Avevo scoperto da poco che pochi diffusori Hifi estendevano la gamma riproducibile verso l’estremo inferiore di frequenze udibili. Se l’udito umano può percepire suoni che vanno dai 20 ai 20.000 Hz non capivo perché delle vere casse Hifi spesso non scendessero sotto i 60 Hz mentre invece i 20.000 del limite superiore erano anche superati. In realtà i motivi sono diversi, primo fra tutti il fatto che pochissimi strumenti musicali si avvicinano ad emettere i 20 Hz: basso e batteria sono ben sopra i 60. Poi, se la stanza di ascolto non è abbastanza grande, le frequenze più basse vengono smorzate. Morale: in una stanza 5×4 m i 30 Hz te li sogni. E poi si tratta di frequenze che si percepiscono più in pancia che con il timpano.

Insomma, gran parte dell’informazione musicale registrata sui dischi e sui file audio è ben sopra i 40 Hz. A che scopo costruire casse complicate che scendano più in basso? Beh… anche qui i motivi ci sono: riprodurre dei colpi di grancassa da 50 Hz con un diffusore che scende fino a 50 Hz non è come farlo con un diffusore che scende fino a 20 Hz. Le armoniche più basse verrebbero tagliate o attutite nel primo caso. Quindi i suoni ci sono comunque tutti, anche con mini diffusori da stand che scendono solo fino a 60 Hz. Solo che con casse capaci di far sentire anche i 20-30 Hz, i 60 sono tutta un’altra storia…

Ed è questo il punto. La linea di trasmissione, un labirinto interno al mobile, consente di incanalare l’energia emessa posteriormente dal woofer per farla uscire in fase con l’onda emessa anteriormente rinforzando certe frequenze. Si narra che i bassi della linea di trasmissione siano unici, non paragonabili anche ad ottimi sistemi “bass-reflex”, che usano un tubo canale opportunamente dimensionato allo stesso scopo. Il problema è che la progettazione e la costruzione di una linea di trasmissione è ben più complicata e quindi il risultato finale era di norma costoso. In più, il progetto costringeva di solito a costruire dei diffusori enormi. Nel 1991 la TDL era riuscita nel miracolo: il nuovo diffusore Studio 1, capace di una risposta in frequenza estesa in basso fino a 20 Hz (!), non arrivava la metro di altezza! Il costo si aggirava attorno ai 2 milioni dell’epoca, che per il risultato ottenuto non era affatto molto. Era troppo per me comunque. Poco dopo la TDL ripete il miracolo e propone un diffusore ancora più piccolo: le Studio 0.5, che scendevano solo (!) a 30 Hz! Le volevo a tutti i costi!

Sì, perché il progetto era così valido da non aver compromesso la gamma media ed alta della riproduzione, cose che spesso accade quando si cerca di riprodurre tutta la gamma bassa (uno dei motivi per cui quasi tutti i costruttori preferiscono non perdere tempo per frequenze che neanche sono registrate su molti dischi). Le TDL avevano bassi da far paura ma medi ed alti non erano da meno! E quando si parla di bassi da paura non si intende quelli gonfiati, esagerati ed innaturali, ma quelli giusti, realistici, ben controllati e profondi.

Gli sbocchi anteriori del labirinto interno della linea di trasmissione delle mie TDL

Volevo le TDL a tutti i costi ma ho dovuto poi prendere un amplificatore in grado di pilotarle, dato che il rovescio della medaglia di un sistema così fatto è la difficoltà di pilotaggio da parte dell’amplificatore, costretto a dover emettere picchi di notevole potenza su un carico di 6 Ohm nominali (lo standard è 8 e più è basso il numero, peggiore è la situazione) per una sensibilità di 86 dB (lo standard è 90 dB ed anche qui più basso è il numero peggio è). Vuoi la gamma estesa? L’amplificatore deve essere impeccabile. Così acquistai all’epoca l’Unison Research Mood, che quasi 30 anni dopo aggiornai con un Naim Nait 5i. Ovvio che una piattina rossa e nera non fosse adatta al rango dei componenti. Le TDL sono ancora con me e non me la sento di cambiare impostazione.

Fine digressione…


Quando il Naim è arrivato, stavamo già impacchettando tutto per traslocare in una nuova (ennesima) casa. Velocemente, l’ho connesso al posto del vecchio Unison con i cavi di potenza che avevo: dei semplici TNT Star rimediati con un cavo quadripolare di bella sezione preso a due soldi dall’elettricista. Connessi i 4 conduttori a stella, li ho brutalmente infilati nelle uscite del Naim che sarebbero state pensate per dei conduttori a banana che non avevo. Non avevo neanche tempo. Quindi ai primi distratti ascolti non mi sono neanche strappato i capelli al cospetto del Naim, 10 anni di progresso avanti nell’amplificazione Hifi. C’è da dire che forse necessitava pure rodaggio visto che il venditore dichiarava un uso di poche ore all’attivo, nonostante fosse un modello di 10 anni di età.

Il mio Naim Nait 5i, uno dei più grossi colpi da me messi a segno i campo Hifi – NOS: un upgrade a costo zero!

Ma stiamo parlando di cavi, no? Ebbene, Naim era famosa per consigliare un certo tipo di cavo per i suoi amplificatori. Bassa capacità e una lunghezza minima di 3 metri erano spesso necessari a far funzionare bene (se non a preservare!) gli amplificatori Naim precedenti al mio. Per fortuna questo non è più richiesto a partire dal Nait 5i. Ma nel frattempo mi ero procurato dei cavi Qed che sembra rispettassero almeno il requisito di bassa capacità. Altrimenti la cosa migliore sarebbe (condizionale obbligatorio) stata acquistare dei cavi Naim Nac A5. Ma spendere 100-200e per cavi di potenza non è nel mio essere. Avrei preferito prendere un ampli che costasse 100e in più ma che reggesse cavi normali. Con 20e invece (di cui 15 di spedizione dall’Inghilterra!) ho preso questi bei cavetti bianchi a bassa capacità e li ho impacchettati per il trasloco.

Il mese dopo, fatti i bagagli, ci installiamo nella nuova casa. Nuova sala di ascolto, nuova disposizione. Nuovo amplificatore. Nuovi cavi. Roba da allarme rosso. Faccio girare un po’ il Naim per rodarlo. A volte lo lascio acceso giorni: il consiglio della casa madre è di non spegnerlo mai. Qualcosa non mi convinceva. A volte ero contento di quello che sentivo ma allora perché mi stufavo rapidamente degli ascolti? Uso l’impianto Hifi anche per film e serie TV in streaming sulla Apple TV connessa all’onesto convertitore Pro-Ject DacBox E. Non suonavano male ma non ero appagato.

La memoria mi richiamava un basso enorme, una spinta notevole che cominciavo, nella mente, a legare al vecchio Mood. Il Naim non mi dava questa sensazione. Possibile? Il Nait 5i dichiara 50W RMS, mentre il Mood ne aveva almeno 60 di cui i primi in classe A. I finali del Nait lavorano in classe AB e il grosso trasformatore toroidale è anch’esso capace di elevate correnti di picco. Insomma, si sa che il Naim non teme carichi e pilota con disinvoltura qualunque diffusore. Perché i miei no? Ho cominciato a valutare alternative. Atoll, Audio Analogue, ancora Unison Research (porca miseria, avrò fatto male a dar via il Mood?), Vincent, Electrocompaniet, Copland… le alternative possibili erano davvero troppe. Ma è un Naim! Avrà dei problemi? Condensatori da sostituire? Unità difettosa = fregatura presa da eBay? Non stavo nella pelle, cercavo in continuazione informazioni sulle prestazioni del Nait 5i e eventuali sostituti papabili sul mercato.

Una domenica mattina mi alzo quasi deciso a contattare un tipo che vendeva un ottimo Audio Analogue Puccini 70 SE a buon prezzo. Ma prima di farlo mi è venuta un’idea. Mi sono ricordato di non aver buttato i vecchi cavacci dell’elettricista. Ho ragionato: cosa è cambiato oltre l’amplificatore? Solo i cavi. Certo, anche la stanza, ma non è una stanza peggiore, anche questa è abbastanza grande da riprodurre i bassi che non sentivo più e mi mancavano più di ogni altra cosa in ciò che ascoltavo. Pesco i cavacci da un busta di plastica nel ripostiglio. Stacco i Qed, connetto i vecchi e metto un CD…

Sono letteralmente rimasto a bocca aperta! Una estensione in basso da paura, di una pulizia e dinamica da brivido. Tutta la scena musicale ne ha giovato, si è aperta, dettagliata, raffinata, estesa. Non so come descriverlo, ma il piacere dell’ascolto lo avevo quasi dimenticato. Una differenza enorme quanto inaspettata! Ora capisco tutto l’apprezzamento per Naim. Le TDL cantano eccome! Non ha certo problemi a pilotarle. Che fesseria avrei fatto a cambiarlo! Aveva solo dei cavi che non gli rendevano giustizia, lo inibivano.

I cavi hanno la loro influenza sul suono. Diciamo che non possono aggiungere nulla, possono solo togliere se non sono di qualità o non sono adatti. I Qed che ho preso a 5e forse rispecchiavano il loro valore. Se penso che quelli che ho adibito a TNT-Star senza il minimo sforzo, attorcigliando i poli tra loro senza tanti complimenti (ah, poi ho preso delle bananine per le uscite del Naim!), senza alcun altro accorgimento particolare (gli anelli in ferrite ad esempio gioverebbero) fanno andare così bene il mio impianto, allora cosa potrei ottenere da dei progetti TNT un po’ più prestazionali?

Cambiare amplificatore non se ne parla più – a meno di non potersi permettere un upgrade in casa Naim (nell’ordine un Nait 5i-2, un 5si o un XS se non una coppia pre-finale Nac+Nap). Le casse? Mah… adoro le TDL ma hanno pure 30 anni. Magari sostituendo i condensatori dei crossover e le sospensioni dei woofer potrebbero ancora migliorare. E chissà, delle Studio 1 o 1m usate potrebbero non costare troppo. Purtroppo TDL non esiste più e se succede qualcosa non è facile reperire i componenti Elac con cui sono assemblate. Oggi delle ottime linea di trasmissione sono prodotte da PMC ma i costi sono elevati. Altrimenti il Naim si sa che suoni bene con Thiel, ProAC, Dynaudio, KEF… l’imbarazzo della scelta ci sarebbe. Ma il suono della linea di trasmissione mi mancherebbe? Non lo so…

Alla fine ho fatto l’upgrade dei cavi con un modello francese OFC a 4 conduttori che ho potuto incrociare per farne un TNT-Star di qualità maggiore, con morsetti dorati da entrambi i lati, perché forse Naim e TDL se li meritano!