Per circa 30 anni l’Aikido mi ha permesso di evolvere e andare avanti nella vita. All’inizio consideravo la pratica solo come una necessità del corpo, un bisogno fisico, come la pratica della maggior parte degli sport. Non mi sentivo pronto a soddisfare le richieste della pratica individuale, che mettevano il mio corpo in situazioni di grande sofferenza: stare seduto in seiza, le cadute, le immobilizzazioni. Dopo diversi anni di difficoltà e infortuni, il mio corpo si era abituato a rispondere alle diverse sollecitazioni e provava anche piacere nel muoversi con un partner. In quel periodo ho incontrato diversi insegnanti che hanno saputo modellarmi fino a farmi diventare quello che sono ora. Devo ringraziare tutti gli insegnanti che mi hanno aiutato, particolarmente Christian Tissier, che mi ha consigliato nella mia ricerca di una nuova visione della pratica. Così ho avuto la possibilità di andare in Giappone e di comprendere una forma diversa di Aikido. Tuttavia diventò per me molto chiaro che, per capire un insegnante ed apprezzarlo davvero, bisogna incontrarne molti altri. Ho scelto di seguire Christian Tissier, ma per me era molto importante migliorare la mia pratica stando in contatto con altri insegnanti. Dato che non vivevo a Parigi, ero costretto a sforzarmi di memorizzare quello che vedevo durante i corsi.
FISICAMENTE POTENTE
Questa per me è stata una buona opportunità, dato che mi ha permesso di sviluppare una memoria tale da poter riprodurre con un altro partner quello che vedevo durante i diversi corsi. Durante le mie varie permanenze in Giappone ho potuto migliorare questo tipo di allenamento e ho continuato ad imparare prima di rientrare, così da poter riprodurre al mio ritorno tutte le tecniche che avevo appreso. Cercavo di tenere integra la migliore immagine dei diversi insegnanti e provavo a comunicarla, cambiando le cose quanto meno possibile. Ma presto mi fu chiaro quanto la mia pratica fosse limitata. A lungo ero stato in conflitto con me stesso: cos’è più importante, dominare un partner od imparare da esso?
Per lungo tempo il pensiero di essere fisicamente forte era per me stato abbastanza. Poi, a forza di essere corretto fisicamente e verbalmente da vari insegnanti, mi è apparsa una nuova visione dell’Aikido. Come potevo insegnare ad un partner quello che sapevo e, soprattutto, come potevo imparare da lui? Da quel momento, ho rifiutato tutto ciò che consideravo negativo per l’Aikido ed ho cercato di far entrare nella pratica tutto ciò che consideravo positivo: non parlare al partner, non comunicare verbalmente, ma lasciarlo esprimere e fare la propria esperienza. Il problema era: come posso combattere contro le mie paure, ansietà, frustrazioni e contro me stesso senza finire per provare al mio partner che la cosa più importante era di essere il più forte? L’Aikido cominciò allora. Come toccare il partner, come usare il proprio corpo per comunicare con il partner, e come permettergli di affrontare altri senza frustrazione alcuna?
L’Aikido stava diventando un esercizio per imparare ad essere liberi, a rispettare le scelte e le direzioni di chiunque. Solo ora capisco quanti partner devo aver scioccato o annoiato con la mia pratica. A quel tempo non ero aperto alla loro pratica, pensavo semplicemente che dominare fosse la cosa più importante. Attraverso la presa impariamo come usare il palmo della mano e tramite ciò che chiamiamo atemi, impariamo ad usare il resto della mano. Per me, un atemi è il modo di toccare il partner, di dare una informazione. Causare dolore portando una tecnica con forza non mi disturba più di tanto. È causare dolore con una tecnica sbagliata che mi da davvero fastidio. Sentire la rabbia o la perdita di attenzione della persona con cui sono in contatto, 3 Sakitama Zasshi N. 6 – Dicembre 2005 quello si che è il vero dolore. E’ per questo che le scuse che seguono tutti quegli atemi che non arrivano, o quando arrivano troppo forte, mi infastidiscono così tanto. Penso che questo sia il nostro problema con l’Aikido, lo sogniamo, ma non osiamo mai realizzare il sogno.
LA SCOPERTA DELL’ALTRO
Sul tatami avviene un conflitto: come lavorare con qualcuno che non si conosce, o con una persona che non ci piace, come se fosse un amico o qualcuno con cui ci si diverte a praticare? Tutti i problemi sono qui. Sul tatami le persone sono complementari, ma fuori dal tatami ci si critica l’un l’altro. Così, penso che l’unica cosa che importi sia la pratica. Dopo di che tutto quel che si dice sembra sbagliato, così come accade nella vita. A volte potrei vergognarmi della mia vita privata. Non è proprio quello che sognavo. Sono andato in troppe direzioni diverse e nella nostra disciplina la vita privata e quella professionale tendono ad intrecciarsi troppo. Gli amici degli inizi sono scomparsi. Ne sono arrivati di nuovi, ma col tempo queste relazioni sono diventate puramente professionali. Adoro l’Aikido per la possibilità che ci da di conoscere altre persone. Ma poi la domanda è: come riuscirà questa persona a realizzare se stessa attraverso lo sforzo costante? Potete percepirlo in me e nella mia pratica. Per me la tecnica deve essere corretta fisicamente e mentalmente. I modi per raggiungere questo si chiamano Ikkyo, Shihonage, Kokyunage e così via.
Non fatevi fuorviare, queste tecniche sono solo il nostro linguaggio (le tecniche base sono come la grammatica per il linguaggio) tramite cui esprimiamo i nostri sentimenti che in quel momento trasmettiamo al nostro partner. Quando proiettate il partner non lo fate solo fisicamente, lo proiettate con tutti i sentimenti buoni o cattivi che vi attraversano in quel momento. Anche proiettare duramente o bloccare qualcuno con forza, causando dolore, non è troppo importante, fintanto che il sentimento che si mette è buono. È il contrario che mi infastidisce e che distrugge la pratica. Non conosco uno studente che abbia lasciato l’Aikido per un kotegaeshi fatto male, ma ne conosco molti che hanno lasciato a causa di cattivi sentimenti sul tatami. Veniamo nel dojo per diventare più forti ed accettiamo la sofferenza, se è giustificata.
Quello che dobbiamo sempre chiederci è: perché siamo qui? Perché siamo ancora sul tatami dopo 20 anni di sforzi diretti a nient’altro che evolverci e capire meglio la vita? Anche per gli studenti questa sensazione di libertà ed indipendenza è importante. Allora come facciamo ad insegnar loro questo? Permettete loro di andare e fare esperienza altrove. Nel mio caso, se ho potuto raggiungere questo livello, è stato perché ho preso la strada che volevo, grazie alla persona che ha lasciato che io andassi. È questa sensazione che io voglio comunicare. È per questo che io ora preferisco un dojo con tanti insegnanti, piuttosto che uno solo. Questo permette allo studente di essere indipendente. Ad un certo stadio della vostra pratica potrete decidere di limitare il numero di insegnanti con cui lavorare.
Per me, insegnare in diversi dojo ed in diverse lingue è il vero Aikido. Dare tutto quello che so a chi viene per questo mi da una ricchezza che non sono riuscito a trovare altrove. L’Aikido appartiene alle persone che lo praticano, ma anche a quelle che ci scioccano con la loro pratica. Non sono sicuro che se i grandi maestri tornassero dall’aldilà sarebbero contenti di come pratichiamo oggi. Ma quando illustriamo delle tecniche, diamo anche libertà ed intelligenza ed è per questo che trovo giusto e normale che gli studenti possano praticare e pensare l’opposto di come crediamo di aver insegnato loro. Imparare come dare libertà attraverso il rispetto, questo è ciò che cerco di comunicare a chi viene a vedermi. È anche quel che cerco di capire dalla gente che mi da il suo tempo e la sua energia. L’Aikido mi ha insegnato la solitudine, ma una solitudine che ci permette di essere liberi, di fare o di non fare, di dire o di non dire. Ciò nonostante non abbiamo mai una risposta. Noi non proiettiamo nessuno, è la persona che accetta di essere proiettata.
Penso che dovremmo cambiare il nostro vocabolario; prendere il centro, usare la forza, sono per me concetti di dominazione e frustrazione. È l’uke che ci da il suo corpo; è l’uke che accetta di cadere per me. Nella mia opinione, dopo la pratica, uke e tori dovrebbero essersi scambiati le reciproche qualità. Dovrebbero aver invertito i ruoli, il più debole dovrebbe esser diventato il più forte ed il più forte aver capito il più debole. Dobbiamo ridurre le diversità tra noi stessi. Noi afferriamo, attacchiamo un partner perché ci sta simpatico, lo proiettiamo perché sappiamo che tornerà. Dobbiamo sviluppare i nostri sensi. La presa va fatta con gli occhi, con le orecchie, con il naso. Questo ci attira verso di lui e per afferrarlo dobbiamo usare le ginocchia ed i gomiti. La mano confermerà o meno la sensazione che abbiamo avuto tramite gli occhi, le orecchie, il naso. La mano ha la conoscenza dell’altra persona, è il nostro futuro, che per noi è sempre dubbio.
Quando ho delle domande, le risposte non vengono sempre dal partner. Infatti, da studenti, l’insegnante sembra essere la chiave verso il successo. Quando si è insegnanti le risposte vengono per la maggior parte dagli studenti. Essi sono il nostro specchio, amplificano le nostre qualità ma anche i nostri errori. Ecco perché non dovrebbe mai giudicare un allievo, ma bisognerebbe permettergli di essere libero. Lasciate la porta del dojo aperta in modo che lo studente possa essere libero di andare via, come pure di tornare, se vuole, per poter verificare i progressi ottenuti allenandosi con altri insegnanti. Questo è ciò che cerco di dare nella pratica quotidiana.
di Philippe Gouttard, originale in inglese su guillaumeerard.com