Chiunque può comprare un chitarra, darsi un po’ da fare (basterebbe Youtube), prendere qualche lezione o consiglio da chi già suona e poi dire “suono la chitarra”. Io ho fatto così. Uno zio ha dato la sua chitarra a me e mie sorella quando avevamo rispettivamente 11 e 9 anni. Abbiamo sperimentato in base ai primi accordi fornitici dallo zio stesso. E siamo andati avanti. Io in particolare mi sono focalizzato sul ruolo di chitarrista, imparando anche degli assoli. Poi quando avevo 16 anni è arrivata la chitarra elettrica ed attorno ai 20 anni avevamo un gruppetto con cui replicare le canzoni dei nostri beniamini nelle sale prova. Quando si dice “io suono la chitarra” non significa molto. Io l’ho sempre detto di me stesso ma che significa davvero? La suono da solo? In un gruppo? Mi esibisco pubblicamente o suono a casa seduto sul divano? Anche un professionista può affermare “io suono la chitarra”. Basta un professionista di piccolissimo calibro ad umiliare uno come me che suona nel tempo libero. Ma esistono anche non professionisti con una tecnica micidiale. La stragrande maggioranza non è diventata famosa, neanche quelli che ci guadagnano qualcosa, neanche quelli che vivono di chitarra.
Se un chitarrista è diventato famoso lo deve a tutti noi che abbiamo comprato la sua musica. Noi stessi abbiamo cominciato per il desideri odi emulare delle celebrità. Ma le celebrità non sarebbero tali se non fosse per la gente che li vorrebbe emulare e comunque spende soldi per ascoltarli. Esistono chitarristi non famosi, professionisti o no, che sono più bravi di gente che è diventata famosa. Perché essere bravi con la chitarra non basta affatto. Troppo altro ci vuole, anche l fortuna, per poter “sfondare”, anche qualcosa di magico che consente di creare della musica che per qualche motivo tocca nel profondo milioni di persone che spendono volentieri soldi per ascoltarla. E’ l’arte. C’è chi ce l’ha, chi no. Io no. O almeno così credo perché non mi sono mai cimentato nella creazione di musica. Ho iniziato a suonare la chitarra perché mi affascinava la possibilità di riprodurre qualcosa che ascoltavo sui dischi o alla radio. Poi anche per imitazione degli idoli di gioventù: quel meccanismo di emulazione che scatta perché si vuole essere accettati e approvati dal più alto numero possibile di persone e se funziona per quel dio della chitarra magari funziona anche per noi. Fa parte di quel processo emulativo che fa si che oltre il 90% dei nostri comportamenti siano presi da altri. E’ la scienza a dirlo.
Uno su mille ce la fa. Ci vuole fortuna, magia, ma anche un ambiente giusto per quello che ti riesce di fare. Chi ce la fa ha secondo me una caratteristica rara. Quella di essere in contatto con quel qualcosa dentro di noi che ci accomuna. Ce l’abbiamo tutti ma pochi ne sono direttamente a contatto. Gli artisti. Essi sono in grado di produrre cose che ci toccano nel profondo. Si tratta di pochi “eletti” che riescono a comunicare a livello intimo con molti. Abbiamo tutti questa cosa dentro, solo che la maggior parte di noi la contatta solo quando è esposto all’arte. Pochi sono in grado di produrla, Io potrei scrivere tranquillamente un pezzo musicale a cui non manca nulla tecnicamente. Ma so già dall’inizio che non ha quel qualcosa che “prende dentro”. Non riesco a entrare in contatto con quella parte di me così, “da solo”. Ma quando un artista, nel mio caso un musicista, propone un suo lavoro può succedere che quella parte nascosta dentro di me venga “toccata” con forza scatenando emozioni inspiegabili e la voglia di riprovarle, ascoltando ripetutamente il brano. E cercando di riprodurlo con la chitarra, per avvicinarmi ancora di più a quel qualcosa che la musica di quell’artista è riuscito a toccare dentro di me. La mia musica non ci riesce. Probabilmente perché io non sono in diretto contatto con quel qualcosa. Ho bisogno di stimoli esterni che lo risveglino. Questa è la differenza fra chi fa arte e chi ne fruisce. Ed essendo un rapporto di pochi a molti, quando la cosa viene commercializzata, quei pochi possono diventare ricchi. Certo, bisogna essere anche nell’ambiente giusto: un chitarrista blues in Italia non farà mai soldi, non c’è quel mercato. Non mancano i grossi musicisti ma se non suoni le canzonette all’italiana c’è poco da commercializzare qui. Qualcuno ha detto che se Steve Jobs fosse stato in Italia, la ASL gli avrebbe chiuso il primo laboratorio Apple. Quanto è vero… e se Eric Clapton fosse stato italiano cosa avrebbe suonato? Il Blues sicuramente, ma a casa sua. Se voleva vivere con la chitarra doveva fare un provino per Zucchero. C’è poco da fare. E’ un fatto culturale. Noi veniamo da una grandissima tradizione di Lirica, che a livello moderno e commerciale è tradotta in melodia italiana. Nei paesi di lingua inglese è partito tutto dal Blues degli schiavi di colore, da cui si sono evoluti Jazz e Rock e tanto altro. E la chitarra elettrica è lì che è nata. Ripeto, c’è poco da fare. Qui di chitarristi Blues e Rock ce ne è a bizzeffe. Sono bravissimi ma se mettono su una Blues band riescono a fare poco più di quello che faccio io con la mia cover band rock. Qualche serata nei locali. Fine. Non basta essere bravi…
E io sono bravo? Chi lo sa. E’ sempre una questione di prospettive. Immaginate due persone che si dicono “io gioco a tennis” – “anche io”, e prenotano un campo. Poi si scopre che uno ha giocato in serie D e l’altro ha fatto solo tornei del suo circolo. Il primo vince 6-0 / 6-0 senza sudare, né divertirsi. L’altro tocca la palla solo al suo turno di servizio. Io posso essere soddisfatto di riuscire a mettere su qualcosa di ascoltabile in una band di gente come me, che durante la settimana lavora ed ha scarso tempo da dedicare allo strumento anche nei weekend. Facciamo quello possiamo con le conoscenze che abbiamo accumulato quando eravamo giovani ed avevamo più tempo e malleabilità per formarci. Andiamo avanti per inerzia grazie allo slancio iniziale. In queste condizioni, riuscire a mettere su degli spettacolini rock degni di essere seguiti da amici e parenti e qualche passante stupito di vederci sul palco è già un bel risultato. Perché lo facciamo? Suonare è appagante a qualunque livello e a qualunque età. Solo chi lo fa lo capisce. Perché esibirsi? Mah… fa parte del gioco. Suonare per se stessi va benissimo ed è possibilissimo. C’è da dire che un conto è suonare da soli a casa propria dietro una base, un altro è suonare con altri musicisti in sala prove (figuriamoci poi dal vivo). Non è detto che un ottimo chitarrista che si fa il video nel suo studio sia poi altrettanto in grado di esibirsi in collaborazione con altri musicisti in un gruppo completo. E’ un’altra storia. Un chitarrista può essere tecnicamente meno bravo di uno che risulta un campione in video. Magari il primo è capace di fare il suo sporco lavoro nel modo giusto al momento giusto nell’unisono di una band; l’altro, che so, conosce a menadito solo gli assoli più vertiginosi ma non è in grado di suonare una scaletta completa di brani facendo ogni volta il suo compito in armonia con gli altri. E’ possibile. Specialmente nel mondo di oggi dove tutti si esibiscono sulle piattaforme social. Io non mi registro in video quasi mai, anche se è utile per vedere dove si sbaglia. Molti si riprendono mentre eseguono prestigiosi assoli e pubblicano il video sui social. Io non me la sento. Forse non mi ritengo bravo (e bello) abbastanza per un video ma mi chiedo pure a chi possa interessare vedere me suonare un assolo di Jimi Hendrix. Forse ai miei amici più vicini, si, a qualcuno farebbe piacere. Ma pubblicare sui social significa avere il mondo come spettatore potenziale. Immagino un amante del blues che risiede a Nashville come possa essere sconvolto dalla mia interpretazione di Hey Joe! Un conto sono gli insegnanti che pubblicano consigli e guide su Youtube, non so come ringraziarli. Ho fatto un salto di qualità incredibile con i loro video gratuiti. Al velocissimo chitarrista Youtube della domenica dico bravo (mica no) ma ti vorrei vedere in una band dal vivo ad eseguire brani completi – non è la stessa cosa! Ovviamente moltissimi di quelli che pubblicano i loro video fatti in casa sono bravissimi, più di me, anche dal vivo. Ma non è sempre detto…
Chi ha voglia di esibirsi probabilmente ha comunque bisogno di approvazione, ma in età più adulta si tratta di più del piacere di condividere con più persone possibile quella musica che ti tocca nel più profondo del tuo essere sperando di riuscire a trasmettere quella sensazione anche a qualcuno dei presenti. E poi fare musica in pubblico è un’altra cosa, è ben diverso dalla sala prove. Non si tratta di “vi faccio vedere quanto sono bravo”, quello è il saggio degli studenti di musica giovanissimi. Chi suona uno strumento fin da piccolo trova naturale esibirsi ad un certo punto. Non è vanità; è condivisione. E’ anche il piacere di riuscire a far provare piacere a chi ti ascolta anche riproducendo musica non tua, un brano famoso e apprezzato. E’ suonare la musica dei Pink Floyd dove i Pink Floyd non andranno mai. Magari finisce pure che qualcuno ti chiede “che brano era quello?” e fai scoprire un artista (continuando a pagare la tassa SIAE per esserti esibito con la sua musica).
Siamo chitarristi della domenica. Non ce lo scordiamo. Facciamo quello che possiamo ma la cosa importante è proprio continuare a farlo, da soli, su Youtube, in sala prove, da vivo davanti a parenti e amici. Non importa. La cosa importante è continuare ad essere in contatto con quel qualcosa dentro di noi che ci accomuna. Ce l’abbiamo tutti fin dalla nascita, poi il più di noi, “crescendo” retrocede e perde il contatto. Chi riesce a praticare una qualche forma d’arte nonostante gli impegni quotidiani fa solo del bene alla sua persona, nutrendo quella parte che la società moderna sempre più vuole soffocare. Se per qualcuno questa attività coincide col lavoro, allora si tratta di persone estremamente fortunate. Non succede a tutti. Per noi altri non resta che farlo nel tempo libero ma è importante, oserei dire necessario. Si tratta di qualcosa che ci definisce di più del nostro lavoro, del nostro titolo di studio, del nostro nome o cittadinanza. E’ quello che siamo veramente. Non dobbiamo perderlo di vista.