Sono nato e cresciuto in Italia ed ovviamente sono stato esposto alla cultura musicale nostrana. Ho cominciato a canticchiare le canzoni da prima di andare a scuola. Cantavo anche le parti musicali, per il divertimento dei numerosi zii che mi ronzavano attorno. Poi ho cominciato a mettere le mani su una tastiera giocattolo per approdare infine alla chitarra attorno agli 11 anni. Ovviamente suonavo le canzonette italiane che ascoltavo alla radio. Ma una voce dentro di me mi diceva che avevo bisogno di qualcosa di più…
Nel tentativo di trovare questo qualcosa, un amico mi registrò su una cassetta alcuni brani dei Bee Gees da Saturday Night Fever (1977) e Spirits Having Flown (gennaio 1979). Ricordo ancora molto bene la sera in cui i miei rientrarono a casa con una sorpresa: il doppio album “La Febbre del Sabato Sera” del 77. Presto anche l’altro album dei fratelli Gibb arrivò e lo ascoltai a più non posso, tentando anche di suonare vari brani. Anni dopo mi resi conto che le cose che mi erano piaciute di più erano quelle un po’ più “rockeggianti” (per esempio, If I can’t Have You). Era vero lo stesso per il mio gruppo italiano preferito dell’epoca – i Pooh.
I chitarristi rock/blues come me di solito inorridiscono al solo nome. I Pooh sono famosi come autori di intramontabili melodie tipicamente italiane molto commerciali. In realtà sono dei musicisti eccezionali che hanno creato anche qualcosa di estremamente raffinato in particolare nella seconda metà degli anni 70.
Il chitarrista Dodi Battaglia a cui mi ispiravo è un vero fenomeno e la cosa è sotto gli occhi di tutti. Anche io non sopporto certi lirismi per cui i Pooh sono famosi ma conosco brani dimenticati o mai sentiti dai più che non hanno niente da invidiare a nessuno. A casa di alcuni zii trovai la cassetta dell’album Boomerang del 78. Se devo estrarne un solo brano che sia musicalmente meritevole devo sforzarmi e scegliere Quaderno di Donna. Devo sforzarmi perché ce ne sono parecchi altri altrettanto meritevoli. Nel 1979 l’album Viva anche contiene spunti musicalmente notevoli ma sceglierei il B-side del singolo che ne era stato tratto: Sei Tua Sei Mia. L’album Stop del 1980 anche contiene diversi pezzi non famosi ma suonati in modo eccezionale. Anche qui devo sforzarmi a sceglierne uno soltanto: Gatto di Strada. Questi ed altri brani che all’epoca mi colpivano più di altri erano il segnale che in realtà cercavo qualcosa. Ero i brani che per alcune caratteristiche si poteva dire che avessero qualcosa di Rock. Ma stava per succedere qualcosa che avrebbe dovuto farmi capire già da allora quale fosse la strada che stavo cercando senza riuscire a trovare.
Nel giugno del 1979 era uscito un singolo da far accapponare la pelle, My Sharona, del gruppo americano The Knack. Era la sigla di una serie di film horror classici (tra cui La Mummia e La Moglie di Frankenstein), Sette Passi nel Fantastico, che la Rai ha trasmesso il martedì sera tra novembre e dicembre 1979, con le immagini di una bambola che bruciava lentamente. La scoprii così. E mi prese un colpo. Il ritmo rock esaltante smuoveva qualcosa di profondo dentro il mio essere. Ero al secondo anno di scuola superiore e ricordo anche alcuni compagni di classe che ne parlavano: “avete sentito quel pezzo…?” Ho ancora il 45 giri. Non so come non si fosse consumato visto che avevo il “repeat” sul mio giradischi e la mettevo ad oltranza. Non mi stancava mai ed ancora oggi è così. Sognavo di suonare la chitarra in un gruppo identico ai Knack ma avevo dischi dei Bee Gees vecchia maniera (pre-falsetto) e dei Pooh. Se dovessi scegliere un singolo brano che mi abbia davvero colpito, influenzato o cambiato musicalmente direi proprio My Sharona. La trovo musicalmente perfetta per il suo genere. Un vero capolavoro – e poi la copertina per un teenager era…. fighissima! Sharona Alperin, oggi agente immobiliare a Los Angeles, si prestò ad apparire in copertina. Doug Fieger, leader e voce del gruppo, le dedicò il brano su musiche del chitarrista Berton Averre, scrivendo il testo in 15 minuti. Sharona era la sua fiamma del liceo e sono rimasti amici fino alla fine, quando il 14 febbraio 2010 Doug si spense dopo una lunga malattia. Con My Sharona ho capito che dovevo cercare altrove per trovare la mia musica. Avevo 15 anni, non ero in grado di suonare quei riff, non avevo ancora la tecnica, né una chitarra elettrica. Ma …che brividi! Che energia!
A settembre era uscita anche Message in a Bottle dei Police. Il reggae non mi attrae, con tutto il rispetto per i grandi artisti che lo hanno portato avanti. E’ solo una questione di gusti personali. Ma le influenze reggae che i Police avevano miscelato ad arte col Rock a volte suscitavano il mio interesse. Message in a Bottle fu un altro di quei brani che mi prendevano nel profondo e che mi facevano chiedere “come diavolo fa quel chitarrista a suonarla?”. Non avevo idea di come si potesse suonare Message in a Bottle, neanche da dove venisse quel suono particolare.
Il 79 era stato anche l’anno di Another Brick in the Wall, dei Pink Floyd, un po’ più facile da affrontare per un chitarrista alle prime armi in un’epoca in cui Youtube non veniva in mente neanche agli autori di fantascienza. Noi chitarristi in erba eravamo soli con il nostro giradischi e le nostre orecchie. Si riversava il brano sulla musicassetta per non rovinare il disco in vinile e si usava il registratore, play-stop-rewind, cercando di catturare le note di un veloce assolo o i suoni creati dai nostri eroi. Qualcosa potevi rubare dai rari video che la TV passava ma era poca roba. Anni dopo ho imparato, pian piano a suonarle tutte.
Nell’estate del 1980 mi fecero il regalo più bello della mia vita: i miei genitori comprarono per i miei 16 anni la mia prima chitarra elettrica, una imitazione Fender Stratocaster anni 70. Sognavo la Stratocaster da anni e sapevo che era inavvicinabile per il nostro livello economico. Non avevo idea che ci fossero imitazioni a buon prezzo. Quell’anno uscì Tunnel of Love dei Dire Straits, suonata con la famosa Stratocaster rossa ma della Schecter, non Fender (Mark Knopfler era già famoso per le sue Strato rosse del 61 e 62): ho ancora anche quel 45 giri, suonato ad oltranza persino mentre facevo i compiti, con la solita domanda nella testa: “ma come diavolo fa?”
Era anche difficile, in una piccola città di provincia come quella dove ero a quel tempo, trovare persone che avessero accesso a musica di altro tipo. Finivi per suonare le canzonette italiane anche perché in fin dei conti era quello che ti chiedevano ed era più facile sia cantarle che riprodurle. C’era una amico, anche lui sempre con la chitarra in braccio, che suonava i Beatles a oltranza. Ok, ma non era proprio quello che cercavo. Non sapevo che esistesse altro. Mi piaceva cantare in inglese, l’ho imparato bene perché non mi accontentavo di inventare le parole dei brani che mi piacevano, volevo pronunciarli a dovere. Ma non c’erano molte fonti, raramente i testi uscivano su delle riviste ma era poca roba. Insomma, era difficile scoprire nuova musica e non avevo amici che andassero oltre Beatles, Pink Floyd e Dire Straits. Così per qualche anno andavo avanti con un repertorio italiano e qualche innesto rock commerciale, anche Duran Duran e Spandau Ballet (sigh).
Nel 1982 uscì un singolo dei Toto che ho da sempre sognato di suonare con un gruppo e che ha una intro di batteria travolgente, un po’ come per My Sharona: Rosanna. E’ per me uno dei brani più belli di sempre, suonato magistralmente da ognuno degli strumentisti, musicisti di altissimo livello.
Qualche anno più tardi, mentre ero all’università, due miei cugini gemelli musicalmente affini mi fecero avere una cassetta che finalmente segnò la svolta definitiva: Born in the USA di Bruce Springsteen del 1984. Non un inno alla sua nazione ma una accorata critica, cosa che viene spesso fraintesa, persino nei paesi a lingua inglese. Fui letteralmente fulminato. Il 15 giugno 1988 andai a vedere il Boss con la E Street Band suonare allo Stadio Flaminio di Roma e quel giorno cambiò tutto. Mentre attendevamo sotto il sole cocente, dalla PA del palco mandavano l’intero album The Joshua Tree degli U2, uscito l’anno prima. Qualcuno diceva che il rock stava morendo e che U2 e Springsteen erano forse gli unici che lo suonavano ancora per davvero. L’immagine di uno stadio intero che canta With or Without You è indelebile nella mia mente. Ancora oggi ogni tanto, mano alla chitarra, suono e canto alcuni dei brani per me fondamentali di Bruce Springsteen e mi viene un groppo in gola tanto sono pregni di emozioni e di ricordi. Per un lungo periodo ho coltivato la musica di Bruce Springsteen. Poi ho avuto altri periodi in cui mi concentravo solo su alcuni autori, Dire Straits e Pink Floyd a seguire. Poi i Toto, in seguito gli U2 e a un certo punto i Pearl Jam. Questi ultimi mi hanno fatto capire che c’era bisogno di ritrovare le radici di quella musica, quindi ho intrapreso un dovuto percorso all’indietro riscoprendo Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Eric Clapton… ed il più grande: Stevie Ray Vaughan. Finalmente…
Quando nel 2016 ho ripreso a suonare seriamente la chitarra elettrica e rispolverato alcuni di questi miei miti, ho scoperto quanto sia importante il Blues per un chitarrista ed ho capito che il Blues-Rock era il genere che più mi si addiceva. Ci è voluta una vita a capirlo. E’ stato un viaggio forse un po’ anomalo rispetto ad altri chitarristi, dalla melodia italiana al Rock, al Blues. Si cresce, si cambia, i gusti musicali seguono i cambiamenti e si affinano; da i singoli fondamentali My Sharona, Tunnel of Love e Message in a Bottle, ai “campanelli d’allarme” Another Brick in the Wall e Rosanna, qualcosa cercava di farmi capire sin da allora di cosa avessi davvero bisogno. L’ho scoperto maturando così come ho riscoperto la passione per la chitarra elettrica dopo decenni in cui avevo ormai relegato al mio passato l’idea di suonare in un gruppo rock. Sono tornato a farlo e ho portato con me i miei sogni di ragazzo, dai brani indimenticabili alla chitarra che avevo sempre desiderato…