La distribuzione di terremoti (punti gialli nella figura della NASA in basso) e vulcani (triangoli rossi) segue abbastanza bene i margini di placca (delimitati da linee blu). Le placche possono essere di tipo oceanico, continentale o misto. Vulcanismo e sismicità sono l’espressione dell’interazione delle placche ai loro margini. Le zone di rift oceanico, sede dell’espansione del fondale, sono zone di margine divergente, margine da cui le placche si allontanano. Anche le catene montuose sono ai margini delle placche.
L’eminente geologo inglese Arthur Holmes (1890 – 1965), ritenuto tra i padri della moderna geologia, fornì una prima ipotesi plausibile sul movimento delle placche litosferiche. Holmes, che iniziò gli studi in fisica per poi lasciarli per la geologia, fu il primo a proporre una scala dei tempi geologici basata sulle recenti scoperte sulla radioattività. La sua stima dell’età della Terra, 4 miliardi di anni, fu la prima ad avvicinarsi a quelle moderne. All’età di 23 anni era già una autorità nel campo della geologia.
Prima che la comunità scientifica accettasse le teorie di Wegener, egli fu il primo a proporre l’idea che moti convettivi nel mantello trascinerebbero le sovrastanti porzioni di litosfera (in basso). L’ipotesi di Holmes è notevole, ma presenta il problema che le forze in gioco nel movimento convettivo sarebbero troppo basse per spostare una placca.
In realtà oggi si guarda alla litosfera come parte integrante della cella convettiva, semplicemente la parte più esterna e fredda della cella, quindi non trasportata. Sul punto in cui il materiale caldo, espandendosi, risale, avremo emissione in superficie di materiale fuso (vulcanismo di rift oceanico e continentale) e creazione di nuova litosfera. In questo modo i fondali oceanici si espanderebbero nella zona di rift, sollevata per la risalita di materiale caldo astenosferico; i rift continentali indicherebbero il formarsi di un nuovo oceano. L’espansione dei fondali oceanici allontanerebbe così i continenti (come Wegener suppose per Sud America e Africa), ma se si sta formando nuovo materiale litosferico, dove finisce quello in eccesso?
A questo punto torna in ballo la curva ipsografica, la cui unica porzione rimasta da spiegare è quella riguardante l’esistenza di pochi minimi di elevazione, quelli relativi alle fosse oceaniche. Ancora una volta ci viene in aiuto la sismologia. Nel 1935 il sismologo giapponese Kiyoo Wadati (1902 – 1995), un cui articolo del 1928 aveva portato Charles Richter alla creazione dell’omonima scala di magnitudine per i terremoti, osservò come in corrispondenza delle fosse oceaniche i terremoti profondi si estendano lungo un piano inclinato fino ai vicini archi di isole vulcaniche come il Giappone.
Nel 1949 il sismologo americano Hugo Benioff (1899 – 1968, a destra), professore del California Institute of Technology, osservò che gli ipocentri dei terremoti registrati lungo una fascia larga 50 km della costa pacifica dell’America settentrionale, diventavano progressivamente più profondi, con una inclinazione di 33° per quelli con ipocentro fino a 300 km, per raggiungere i 60° per quelli più profondi.
Questi piani inclinati rappresenterebbero porzioni di litosfera che sprofondano nel mantello, causando gli allineamenti di ipocentri sismici. Questi piani hanno preso il nome di zone di Benioff-Wadati (in basso) e sono il punto più plausibile del pianeta dove porre la distruzione di litosfera oceanica in eccesso (se si assume che la Terra non si stia gonfiando!). In corrispondenza delle fosse oceaniche ci sarebbe quindi litosfera oceanica in “subduzione”, ossia in immersione nell’astenosfera.
Il piegamento della porzione di placca che si immerge (slab) causa la formazione delle fosse oceaniche. Gli archi insulari che accompagnano le fosse sarebbero così formati da materiale vulcanico proveniente dalla fusione parziale della litosfera in subduzione come pure dal cuneo astenosferico sopra di essa. Queste zone, dove troviamo le catene montuose, sono quindi margini di placca convergenti, le uniche possibili zone di discesa della porzione fredda della cella convettiva. Il “peso” stesso dello slab in subduzione sarebbe in realtà l’innesco dei cicli convettivi, il risultato di forze quali lo “slab pull” e il “ridge push”: la dorsale espandendosi spinge lateralmente la placca, che ricade giù di peso nelle zonedi subduzione “tirando” verso le profondità del mantello superiore l’intera placca.
A completare il quadro contribuì il canadese John Tuzo Wilson (1908-1993), professore di geofisica presso l’Università di Toronto. Verso la fine degli anni 30, Wilson aveva conosciuto Hess, che insegnava all’Università di Princeton dove il canadese lavorava al suo dottorato. Le idee di Hess lo affascinarono molto ed egli stesso contribuì allo sviluppo della tettonica delle placche confermando gli studi di Dietz sul punto caldo della catena hawaiana.
Ma Tuzo Wilson è noto per aver individuato un terzo tipo di margine tra placche che connetteva le dorsali oceaniche alle fosse di subduzione: quello trasforme. Le dorsali appaiono dislocate da lunghe fratture sub-perpendicolari all’andamento dell’asse delle dorsali stesse.
Wilson speculò che si trattasse di un tipo particolare di faglie trascorrenti, ossia a movimento orizzontale. La loro particolarità, oltre ad essere un margine di placca, è di essere attive sismicamente solo nella porzione compresa tra i due segmenti di dorsale da esse dislocati. Questo perché si tratta dell’unica zona lungo le faglie trasformi in cui la litosfera si muove in senso opposto.
Ad essere quindi precisi, la faglia trasforme è solo il tratto tra i due segmenti di dorsale. All’esterno si tratta di zone di frattura, ossia senza movimento relativo.
A Tuzo Wilson è stato intitolato anche il cosiddetto Ciclo di Wilson, che descrive il continuo aggregarsi e disaggregarsi dei continenti della Terra a causa dei movimenti tettonici.