David Lynch portò l’Aikido in Nuova Zelanda nel 1965 dopo un primo soggiorno in Giappone di tre anni. Negli ulteriori 15 anni passati in Giappone ha avuto modo di allenarsi con vari maestri tra cui Gozo Shioda, Koich Tohei, Kisshomaru Ueshiba. Per 18 mesi fu uchideshi (studente interno) nel Dojo di Yoshinkan a Tokyo. Nel 1967 ne fondò una filiale ad Auckland, di cui è tuttora direttore col grado di 6° dan.
Ha appena squillato il telefono; era un ragazzo che si è immediatamente lanciato in una serie di dettagliate domande sull’aikido. Come si pone rispetto alle altre arti marziali? Quanto mi ci è voluto per impararlo? E se fossi sfidato da una cintura nera di un altro stile? E così via. Era il classico elenco di dubbi che sembra tormentare molti aspiranti praticanti e, ogni qual volta non riuscivo proprio a trattenermi dal ridere, dall’altra parte del telefono restava solo un penoso silenzio.
Dopo aver chiesto scusa per la mia involontaria ilarità, gli ho rivolto le sue stesse domande, chiedendogli se gli fosse mai capitato di recente di essere attaccato di un esperto di karate, quanto pensava ci volesse per imparare una qualunque cosa, tipo il pianoforte, e perché si trovasse in una tale urgenza di diventare pressoché invincibile.
Naturalmente, non sono i soli novizi di aikido a nutrire queste preoccupazioni e non è difficile incontrare degli aikidoka di lunga esperienza che fuggono ad imparare arti marziali “più efficaci” per coprire qualcosa che percepiscono come dei “punti deboli” dell’aikido. Poi ci sono i fanatici che per compensare le loro profonde insicurezze diventano dei tritatutto e confortano se stessi ed il “realismo” del loro approccio ogni volta che sbattono sul tatami la testa di uno sfortunato uke o gli tirano un sankyo che lo lascia dolorante per giorni o settimane a seguire.
All’altro estremo ci sono quelli che citano O-Sensei su argomenti come “amore” ed “armonia,” senza, ovviamente, avere la stessa profondità di intuito, per poi arrivare al punto di negare addirittura che l’aikido sia un’arte marziale.
E’ come se O-Sensei soffrisse di disturbi da personalità multipla e fosse Arnold Schwarzenegger in certi momenti, per diventare Madre Teresa in altri, lasciando uno stuolo di seguaci schizofrenici, tutti pronti a citare frasi del Grande Maestro o fatti che supportino i loro contraddittori punti di vista.
Come qualunque aikidoka normale, suppongo, io tendo ad oscillare alquanto tra i due estremi, ma mi sforzo di ritrovare un percorso di riconciliazione coerente con la realtà che mi circonda. Sono grato di avere l’agio di contemplare questo problema, che non deve essere sottovalutato, dal momento che come esseri umani dobbiamo trovare una risposta alla violenza, o affrontare l’estinzione. Nel microcosmo dell’aikido noi affrontiamo problemi che, estremizzandone il significato, minacciano la vita del nostro pianeta. Pensate alla questione nucleare per un momento.
La Nuova Zelanda denuclearizzata
La politica di denuclearizzazione della Nuova Zelanda ha dimostrato di precorrere i tempi, con il collasso del blocco sovietico e quindi con la rimozione della principale minaccia che potesse giustificare la strategia occidentale del deterrente nucleare. Quando dieci anni fa siamo diventati per legge una nazione denuclearizzata siamo incorsi nelle ire degli Stati Uniti e, rifiutando di accettare le loro navi da guerra quando “non confermavano ne negavano” di trasportare armi nucleari, siamo stati ridicolizzati ed attaccati da più parti.
Ci fu anche un tentativo, fallito per fortuna, di forzare la Nuova Zelanda ad accettare proprio quel totalitarismo internazionale da cui eravamo pronti a difenderci. Che “la potenza è cosa buona” era dato per scontato, così come non c’è alcun dubbio, nella mente di qualcuno, che sia giusto ricercare un aikido efficace nel combattimento, senza contare altri fattori.
Sono davvero nobili i guerrieri?
Congenitamente più dubbioso che guerriero, non voglio mancare assolutamente di rispetto per questi ultimi quando dico che non vedo l’uomo combattente come epitome della civilizzazione. Sono abbastanza sicuro che se un samurai, sbagliando periodo di tempo, mi si ponesse di fronte, farei meglio a cambiare strada o sarei istantaneamente annientato.
Chiamatemi un debole o un realista, ma non mi aspetto che la mia carrellata di dan di aikido mi salverebbe da ignominiosa sconfitta o da morte prematura in un tale scenario. Allo stesso tempo non perdo certo il sonno a tormentarmi per le mie inadeguatezze come praticante di arti marziali, ma piuttosto sono grato di vivere in tempi civilizzati, dove non è necessario doversi difendere ogni minuto da attacchi fisici.
Forse la nobiltà del guerriero aveva un significato prima dell’avvento della polvere da sparo e l’allenamento per sviluppare quel tipo di spirito poteva avere un valore, ma non trovo nessuna ragione di orgoglio nella mera ricerca dell’abilità tecnica nel combattere od uccidere.
Può sembrare piuttosto estremo comparare il budo con “la Bomba”, ma sembra la conclusione naturale quando ci si fissa sull’efficacia. Anche se fosse possibile comparare una forma di budo con un’altra, senza considerare la questione delle capacità individuali, cosa difficile da immaginare, la ricerca della forma più efficace può solo portare ad un conflitto più grande, mentre l’aikido dovrebbe dirigerci verso la direzione opposta.
Quando al nostro Primo Ministro David Lange, all’apice del dibattito sulla denuclearizzazione, fu chiesto cosa sarebbe successo se l’URSS avesse lanciato una bomba sulla Nuova Zelanda senza l’ombrello protettivo degli USA, egli rispose immediatamente “Saremmo fritti”.
Ovviamente, in una guerra nucleare, saremmo tutti fritti ed è sicuramente vitale che ogni nazione, come ogni individuo, trovi una alternativa alla escalation di violenza che può solo finire con una sconfitta per tutti. L’aikido è uno dei modi di affrontare questo problema a livello individuale e solo quando saremo in grado di trovare la pace in noi stessi potremo crearla nella società.
Attenti a chi è privo di umorismo
Non ho intenzione di sembrare troppo frivolo o di offendere dei seri praticanti quando dico che “Il pene è più forte della spada!”, ma penso che ci siano ancora troppi aikidoka che confondono le loro priorità quando discutono animatamente dell’efficacia delle tecniche di aikido, rimandando al contempo ogni tentativo di comprendere la filosofia dell’Arte della Pace.
Spero comunque vivamente che i lettori perdonino le divagazioni che appaiono nei miei articoli. Confido altresì che nessuno si lamenterà se i miei occasionali tentativi umoristici potranno a volte alleggerire fin troppo un argomento ritenuto mortalmente serio o seriamente mortale.
Naturalmente, le parole possono essere fuorvianti ed è difficile scrivere liberamente se ci si preoccupa di continuo di possibili fraintendimenti, di violazioni dell’etichetta, di correttezza politica, per non parlare delle incomprensioni inter-culturali.
Tratto da Aikido Journal n. 109 (autunno 1996)
Traduzione a cura di Pasquale Robustini