Finalmente a novembre 2016 ho coronato il sogno di avere una Fender Stratocaster. Il caso ha voluto che mi imbattessi immediatamente in un annuncio per un modello che probabilmente avrei scelto così se avessi potuto acquistare nuovo. Si tratta di una riedizione degli anni 50 di colore Surf Green, il mio preferito dell’epoca, che ricorda molto quei tempi, in particolare le automobili americane da cui Leo Fender prendeva appunto le vernici per le sue chitarre.
Stratocaster Made in Mexico? Perché no!
Ammetto che se avessi avuto la disponibilità economica avrei acquistato una American Vintage 50s. Invece ho dovuto “accontentarmi” di una Classic Series, ossia una riedizione fatta in Messico anziché negli Stati Uniti. Che c’è di male? Assolutamente nulla. Molti snobbano le Stratocaster messicane: costando molto meno delle equivalenti americane, utilizzerebbero materiali di seconda scelta, più economici, e una lavorazione meno attenta. Probabilmente c’è persino un velato razzismo in certe affermazioni, che non tiene conto di alcuni fatti, come ad esempio quello che dagli anni 50 ad oggi un numero davvero considerevole di impiegati messicani ha lavorato alla Fender ed assemblato una marea di chitarre.
Il motivo principale del prezzo nettamente inferiore delle chitarre Made in Mexico (MIM) è dovuto alla sostanziale differenza del costo del lavoro rispetto agli Stati Uniti: un lavoratore messicano costa molto meno e di conseguenza la Fender messicana può vendere a ben altri prezzi le sue chitarre senza bisogno di risparmiare sulle capacità dei lavoratori o sui materiali.
Detto questo, alcune differenze ci sono anche nei materiali scelti. Dopo tutto si tratta di offrire delle chitarre abbordabili da molti (MIM) o degli oggetti più “preziosi” che utilizzano componenti più ricercati (MIA) ma che non necessariamente influiscono decisamente sulle prestazioni. Nelle mie condizioni la scelta sarebbe stata ovvia…
Cosa c’è davvero di diverso tra una Stratocaster riedizione anni 50 costruita in Messico ed una in America? Riassumendo, il corpo è verniciato in poliuretano e non in finitura nitro. Le parti in metallo (le meccaniche ed il ponte) sono più economiche. Lo sono anche le cablature interne e alcune parti elettriche. I pickup delle Classic Series sono molto buoni, di tipo vintage abbastanza simile a quelli dell’epoca, in Alnico V e con poli non allineati in altezza. Per il resto si tratta di qualità dei legni utilizzati – come qualcuno ha detto: un pezzo di legno è un pezzo di legno. Le Classic Series messicane (come le attuali Vintera) sono note come le AVRI dei poveri. Col tempo si possono aggiornare alle specifiche di quelle americane e alla fine uno può anche far riverniciare il corpo.
Vediamo quindi di chiarire un po’ le idee.
La mia Stratocaster è stata assemblata negli stabilimenti di Ensenada in Messico nel luglio 2006. Essendo la riproduzione del modello del 1956, porta il “badge” del 60° anniversario.
Corpo e verniciatura
La differenza principale tra le riedizioni Stratocaster messicane e americane è la verniciatura. Il corpo è in ontano e sembra che le messicane utilizzino più pezzi delle americane (che dovrebbero fermarsi a due pezzi). la verniciatura delle riedizioni americane è in nitrocellulosa mentre quella delle messicane è in poliuretano. E qui si comincia con le discussioni in rete che raggiungono l’assurdo: si dibatte sulle differenze sonore tra i due tipi di verniciatura! Diciamo subito che la cosa non ha alcun senso. A detta di tutti i membri del mio gruppo, ora ho un suono “da paura”!
Le due verniciature sono nettamente diverse: la nitrocellulosa impregna il legno ed è piuttosto sensibile al passare del tempo a all’usura. Con gli anni si consuma e le parti più “toccate” possono cominciare a perderla rendendo visibile il legno sottostante. Per molti è il bello della “nitro”. Dopo anni di uso la chitarra è personalizzata e acquista quell’aspetto vissuto che tanto piace agli amanti del vintage. La moderna verniciatura in poliuretano è un rivestimento di circa un millimetro o meno ed è pressoché indistruttibile, così è oggi e così rimarrà se non la si danneggia. Costa meno e quindi è la scelta intelligente per chitarre che devono essere più economiche.
Neanche un mese dopo l’acquisto agognato, ho lasciato la chitarra sul divano e mia moglie l’ha fatta cadere. Ho iniziato così immediatamente il processo di personalizzazione della mia Stratocaster. Magari un giorno deciderò per una completa verniciatura in nitro, in puro stile vintage. Anche se va detto che la nitrocellulosa degli anni 50 e 60 è oggi introvabile perché tossica e fuori legge ormai da tempo. La verniciatura in nitro delle riedizioni American Vintage (AVRI) non è la stessa degli anni 50, non può esserlo, è una sorta di misto tra la moderna nitrocellulosa sintetica e il poliuretano. Il feeling al tatto è diverso ma per ora non vale per quel che mi riguarda i circa 300 euro necessari per una tale riverniciatura.
Mascherina battipenna
Veniamo al resto della chitarra. A parte la scritta Made in Mexico sul retro della paletta, nulla ci dice che la chitarra è costruita ad Ensenada. Esiste anche il fatto che i legni vengono lavorati a Corona, in California, per poi spedirli al di là del confine, a 3 ore e mezza di viaggio, in Messico, dove vengono marchiati, verniciati ed assemblati in una fabbrica esemplare che i dirigenti tengono a mantenere tale ben sapendo i pregiudizi a cui sono esposti.
Alcuni parlano di assemblaggio meno preciso nelle Stratocaster messicane. Io non ho esperienza di AVRI ma vengo dalla Paul Reed Smith, chitarre di una qualità che nessuno mette in dubbio. La mia nuova Stratocaster MIM non sembra avere problemi di assemblaggio e finitura. L’unico neo da questo punto di vista dipende forse proprio dal fatto di aver riprodotto una Stratocaster anni 50: le prime mascherine battipenna erano in una plastica economica ad un solo strato fissata al corpo tramite 8 viti. Si rovinavano e rompevano facilmente. Già negli anni 60 Fender le cambiò con delle mascherine più resistenti a tre strati (quello centrale nero per evidenziare la cosa) e 11 viti (una curiosità: i materiali plastici venivano forniti dall’Italia, all’epoca all’avanguardia nel settore). Oggi esistono delle parti di ricambio apposite, delle mascherine battipenna a tre strati ed 8 viti, pensate apposta per chi volesse aggiornare le proprie riedizioni anni 50 con quello che forse era l’unico vero punto debole. Non so se è un problema anche per le riedizioni americane (oggi la Fender utilizza plastiche più moderne, ben più resistenti di allora), ma in effetti la parte alta della mia mascherina si solleva facilmente dal corpo nello spazio tra le due viti. Forse potrebbe essere il primo (e forse unico) cambiamento che potrei fare un giorno, ma magari prenderò una mascherina Callaham ad uno strato, per conservare il look degli anni 50, e la relativa schermatura interna metallica, che non fa mai male.
Forse dovrò cambiare le guide in plastica delle viti che regolano l’altezza dei pickup: si rovinano facilmente causando l’inclinazione del pickup in senso longitudinale; infatti il mio pickup centrale guarda un po’ verso il manico. Esistono dei ricambi a molla che non hanno questi problemi, tipici, pare, delle Stratocaster.
Lo stesso discorso vale per la mascherina sul retro, che copre le molle del tremolo. Ma alla fine anche io come molti ho deciso di non montarla, lasciando scoperta la cavità, per avere più rapido accesso alla regolazione del tremolo, per facilitare il cambio corde, ma anche per limitare le risonanze interne.
Le meccaniche Kluson
Negli anni d’oro Fender montava meccaniche prodotte dalla Kluson. La mia chitarra monta delle riproduzioni “vintage” di quell’epoca, caratterizzate dal taglio trasversale in cui inserire la corda. Le chitarre Made in Mexico montano riproduzioni della ditta taiwanese Ping; quelle americane utilizzano riproduzioni Kluson della ditta giapponese Gotoh. Differenze? Sembra che le Gotoh siano le migliori, usate anche nelle American Vintage. Quindi ho messo in conto un giorno di aggiornarle. Quando è venuto il momento ho scelto delle Kluson M6V0C, oggi fatte da Gotoh in Giappone. Rispetto alle Gotoh di cui sopra hanno anche la scritta Deluxe sul retro, al centro del coperchio dell’ingranaggio, così come erano quelle degli anni 50 (negli anni 60 riportano una scritta doppia Deluxe, cioè su due linee). Sono un ricambio quasi perfetto, il problema sono le boccole da inserire nei fori del manico. Quelle originali non lasciano entrare le meccaniche Kluson, quelle di ricambio Kluson sono leggermente più lunghe e appena più strette: i fori sono appena più larghi e le boccole non si fissano, vanno avvolte con qualcosa che faccia spessore e permetta di fermarle nei fori. Per il resto si tratta di smontare le vecchie e rimontare le nuove. Ho utilizzato le viti originali, quelle di ricambio sono più lunghe e non mi andava di forzarle nel legno. Poi avevo letto che fossero di pessima qualità… meglio lasciare quelle originali. Si percepisce una qualità superiore ed una maggiore precisione d’uso. E poi sono esteticamente più aderenti a come erano le Stratocaster di quell’epoca.
L’unica stranezza che ho notato è la posizione dell’abbassacorde, quel fermo metallico che guida le due corde più sottili e le abbassa al livello della superficie della paletta. Nella maggioranza delle foto di Stratocaster d’epoca e non, si trova all’altezza della seconda chiavetta; nella mia è quasi alla terza, appena prima. Raro trovarli lì. Un “errore” dei messicani o una scelta? O semplicemente una rarità? Non lo so, ma pare che una posizione più avanzata migliori la tenuta dell’accordatura imponendo alle corde una tensione inferiore. Una modifica in tal senso potrebbe riguardare delle meccaniche moderne “staggered”, ossia con altezze decrescenti verso le corde più sottili, cosa che rende l’alberello abbassacorde inutile. Certo, resterebbe un buco, infatti la cosa non mi interessa proprio – le Ping le ho sostituite con le Kluson e mi trovo benissimo.
Due parole sul capotasto (nut): gli originali d’epoca erano in osso, così come le attuali riedizioni americane. Le messicane ne hanno uno in osso sintetico. Beh? Che c’è? Più ecologico e sostenibile? Qualcosa in contrario? Io no. Al limite si potrebbe sostituire con un in ottone o in graphtek, materiale moderno studiato apposta. Ma nel caso andrei su quello in osso. L’importante è che sia fatto bene: che rispetti l’altezza di ogni corda sulla tastiera ed il loro spessore (la Classic Series monta le .010 – .046″ – in teoria, cambiando spessore delle corde si dovrebbe cambiare anche il capotasto).
Manico e tastiera
E qui se ne sentono delle belle! Innanzi tutto, le Stratocaster anni 50 utilizzavano tastiere dal raggio di curvatura di 7,25 pollici, basso rispetto a quelli più moderni che possono arrivare anche a 16 pollici. La mia PRS aveva una tastiera da 10 pollici di curvatura (più alto il numero, più bassa la curvatura). Si narra che con un basso raggio di curvatura il bending, tirare le corde durante gli assoli, risulti più complicato: la corda va a “scontrarsi” presto con la curvatura del tasto smettendo di vibrare (“fret out” in inglese). All’epoca le chitarre elettriche erano utilizzate molto di più di oggi per semplici accordi, specialmente sui registri bassi; la forte curvatura facilitava particolarmente i barré. Lo svilupparsi di stili più moderni per gli assoli ha fatto si che i raggi di curvatura delle tastiere si alzassero per consentire bending più comodi. Sta di fatto che una buona regolazione rende perfettamente suonabile anche una tastiera vintage… persino per me…
La mia Stratocaster ha uno splendido manico in acero con finitura lucida e profilo Soft V. Pare che la finitura satinata delle versioni americane sia ben più scorrevole. Si può sempre far fare da un liutaio. La tastiera è intagliata direttamente sul manico, non incollata. I tasti sono ovviamente di dimensioni “vintage”, ossia sottili. Anche qui le diatribe: migliore intonazione visto che sono sottili, ma bending più difficili e consumo più rapido. Vabbè, si possono un giorno sostituire…
Pick ups
Altro motivo di discussione: i pick up vintage erano “staggered”, ossia i poli magnetici avevano altezze diverse: quelli sotto le corde centrali erano più alti, probabilmente per seguire la curvatura della tastiera. Alcuni ritengono che oggi sia meglio utilizzare pick up con poli piatti per avere un migliore bilanciamento tonale. All’epoca si utilizzavano mute di corde che comprendevano un Sol anch’esso avvolto con spirale sopra l’anima, mentre solo Si e Mi cantino erano “nude”. Oggi anche il Sol è nudo e questo porterebbe a squilibri tonali in favore di quella corda con dei pick up con poli ad altezza differenziata. Sinceramente, io non me ne sono accorto. Sarà il mio orecchio, ma forse sarà anche che il particolare suono Stratocaster, tanto amato, che ha fatto la storia del rock, viene proprio da queste particolarità?
I pick up sono tranquillamente sostituibili. Di Marzio, Seymour Duncan, Fralin, la stessa Fender e tanti altri producono dei single coil fantastici. Le Stratocaster made in Mexico erano note per utilizzare pick up con magneti in ceramica, più economici. Sul loro suono esistono dibattiti in rete. La serie Classic invece monta pick up Fender con magneti in Alnico V (Alluminio-Nichel-Cobalto; V sta per 5 ad indicare il livello di magnetizzazione e quindi la potenza di uscita del pickup), così come erano quelli d’epoca. A differenza da quelli delle riedizioni americane, utilizzano cavi e particolarità più economici che pare non inficino il suono, tanto che molti dicono di aver cambiato immediatamente i pickup delle loro MIM per essere poi tornati indietro…
Notare che le parti in plastica che ricoprono i pickup e le manopole di toni e volume sono “invecchiate” di un giallo sbiadito, come se la chitarra avesse davvero 70 anni (lo stesso dicasi per il pomello della leva del tremolo). E’ un tipico ritocco “vintage” delle riedizioni, ma gli originali d’epoca erano bianchi, solo che oggi non lo appaiono più…
Ma si arriva anche a peggio: alcuni pick up vengono costruiti con Alnico II, che sta ad indicare una minore magnetizzazione, così da simulare il suono di una chitarra di 60-70 anni di età, che ha gli Alnico V …smagnetizzati col tempo! Magari poi i poli sono pure allineati…. 😉
Ok, ad onor del vero bisogna dire che pickup Alnico II, esercitando una attrazione magnetica inferiore, frenano di meno le corde, migliorando il sustain e la intonazione.
Il ponte tremolo
Il tremolo messicano, o meglio quello installato di serie nelle MIM, probabilmente prodotto da Ping, sarebbe a detta di alcuni di qualità infima. Sicuramente è di qualità inferiore a quelli montati sulle serie American Vinatge (che fino ad un certo anno utilizzavano i Gotoh). Quello che monta la mia Stratocaster, ovviamente in puro stile vintage con 6 viti, ha quindi sellette della forma originale tutte marchiate Fender. A detta di molti un serio upgrade è quello del blocco metallico interno, che fa da massa risonante. Uno in acciaio è quello che ci vuole! Ad anni dall’acquisto ho finalmente deciso di fare il passo (bisogna smontare tutte le sellette e rifare poi l’intonazione) ed ho preso un blocco in acciaio made in Italy, non ho speso molto. Spesso, come nel mio caso, bisogna acquistare anche la leva con la filettatura compatibile, l’originale è facile che non ci vada. Beh, la chitarra è rinata! la sento risuonare tra le braccia, non mi era mai successo prima! Immagino sia quindi la prima cosa da fare se si acquista una Stratocaster con blocco in zinco o altro.
C’è da dire che il tremolo di serie non è così male. Ma si può pensare di installare direttamente un tremolo nuovo come i Gotoh, di serie nelle più vecchie AVRI, o un Fender Pure Vintage. Diventerà un’altra chitarra! Un ulteriore passo sarebbe installare un kit della Callaham, il top, quindi più costoso…
Per un po’ ho montato sellette di ricambio Wilkinson perché nel tentativo di regolare l’intonazione ne ho spanate due delle originali (forse è il segno dell’economicità dei materiali). Poi ho preso delle ottime sellette Callaham, accompagnate da 6 viti sostitutive. Stranamente erano così schiacciate tra loro che divergevano in direzione del manico. Probabilmente erano un po’ troppo larghe per il mio ponte. Alla fine ho deciso di prendere delle Fender Pure Vintage, un po’ più strette. Così con la scritta “Fender Patented” rispecchia più da vicino l’aspetto vintage anni 50 a cui la chitarra si rifà.
Ad un certo punto ho deciso di abbassare il ponte fino al contatto col corpo, installando una quarta molla nel vano posteriore. Una mossa che che aumenta il sustain e che stia fermo lì quando si tirano le corde per eseguire i bending. Dovrebbe anche migliorare la tenuta dell’accordatura.
L’uscita jack
Davvero un particolare minore: pare che anche qui la Fender messicana abbia risparmiato in materiali. Possibile? Chi si è trovato male, lamentando rumore di fondo, assemblaggio traballante, ha cambiato il jack con uno Switchcraft, lo standard in pratica. A un certo punto l’ho fatto anche io, il jack inserito era un po’ traballante e la spessa davvero irrisoria. Devo dire che la differenza c’è, anche se in assenza di problemi non è certo un upgrade urgente.
Un’ultima nota: le Stratocaster American Vintage sono vendute comprensive di custodia rigida, il “flight case” in tweed che emula quelli anni 50-60 (che oggi costano quanto ho pagato io la chitarra). Le riedizioni messicane sono fornite di semplice (ma comodissima) custodia morbida a tracolla (“gig bag”). Un vero piacere per gli spostamenti rapidi nei giorni di prove (altro che staccarsi il braccio per portarla in giro col flight case!). Comunque sia, con poco più di 100 euro ho donato alla mia Stratocaster la custodia che merita, perfettamente appaiata al colore Surf Green.
Per ora la mia nuova chitarra è stupenda, suona in modo fantastico e me la tengo così. Del resto, mentre suonerò dal vivo, chi si chiederà se è americana o messicana, di che materiale sono i pickup, che spessore hanno i tasti, ecc.?
Come dicono i più sani di mente, non ho molto tempo per mettermi a smontare e rimontare la mia chitarra. Meglio investirlo ad esercitarmi. Sicuramente è un upgrade che la farà suonare meglio…