Prima di tutto ci tengo a sottolineare, anche se dovrebbe essere ovvio, che se l’Aikido è per tutti, non tutti sono per l’Aikido. Infatti, non è detto che a tutti debba piacere l’Aikido e che per tutti debba diventare un fatto di vita. Ognuno ha le sue caratteristiche, i suoi gusti, i suoi bisogni ed ha diritto di fare quel che vuole della propria vita.
Come esistono mille motivi per praticare Aikido ce ne sono altrettanti per smettere o almeno per saltare allenamenti. Se per chi smette è comprensibile che abbia capito che l’Aikido non fa per lui/lei, mi sorprende un po’ l’incostanza di chi invece avrebbe scoperto che l’Aikido è qualcosa che lo/la interessa. La motivazione più sorprendente è la stanchezza. Lo dico perché io uso l’Aikido per combatterla, quindi mi sembra strano sentire qualcuno dire che salta l’allenamento perché è stanco. Lo posso assicurare personalmente, si arriva stanchi al dojo e se ne esce ricaricati. Io ci vado per questo…
Ho sempre utilizzato l’Aikido per tirarmi su da uno stato di torpore, spossatezza, da un livello di bassa energia ad uno più alto. Sono certo che in molti hanno provato la sensazione: alla fine di una giornata dura e faticosa c’è l’allenamento – sembrerebbe più logico andare a casa a riposare. Invece cambia tutto non appena indossato il keikogi. Miracolo? Non lo so. Forse si. So sulla mia pelle che significhi dover saltare allenamenti e sentirne le conseguenze psicofisiche. Sembra una crisi di astinenza da qualche droga ed è vero, l’attività fisica genera endorfine: qualunque sportivo vi dirà che ha bisogno di allenarsi per questo motivo. Ma l’Aikido non è uno sport. È una lotta contro i propri limiti psicofisici. Attenzione, non è come battere il proprio record personale di velocità sui cento metri, di durata nel jogging, di sollevamento pesi alla panca. Per quanto tutto ciò abbia una sua dignità sportiva, i limiti prestazionali non hanno senso in Aikido. Ed è questo secondo me che dà all’Aikido quel qualcosa in più che gli permette di ricaricare un praticante distrutto a fine giornata, anche se ci vuole un’età adulta per comprenderlo.
È comprensibile, per carità, immaginare come una persona adulta non abbia voglia di salire sul tatami e continuare a faticare dopo una giornata già dura.
È un poi meno facile capire questo tipo di discorso da parte di un 15enne o ventenne. Come si possa essere stanchi a quell’età proprio non lo capisco. Non mi ricordo di esserlo mai stato quando ero così giovane. Sarà perché giocavo per strada, o a casa, ma non davanti a uno schermo? Qualcosa mi dice di si, i tempi sono cambiati, ma non è questo il discorso.
Il punto è che è troppo facile fare Aikido quando va tutto bene e siamo freschi e rilassati. È facile quando il lavoro non ci preoccupa, quando non abbiamo litigato con la fidanzata, quando abbiamo pochi compiti a scuola, quando non rischiamo la bocciatura, quando siamo sereni, felici, contenti e riposati. No – È quando si è in difficoltà che emerge l’utilità della pratica, nei periodi peggiori e più duri della vita.
Gli studi
Ad esempio, è tipico che lo studente che vede drammaticamente avvicinarsi la data dell’esame sparisca dal tatami: non ho tempo per la pratica, devo prepararmi all’esame. Sembra logico e razionale: è ben più importante superare l’esame che essere sempre presente sul tatami. Sarà…
Anche io ho fatto l’università, non avrò preso il massimo dei voti, ma faccio il lavoro per cui ho studiato, proprio quello che desideravo a quei tempi (e sono uno dei pochi). Non ho mai studiato dopo cena ed il migliori risultati li ho ottenuti quando, verso la fine purtroppo, ho scoperto che potevo aumentare il rendimento evitando di studiare il giorno prima dell’esame, svagando la mente, distraendola da ciò su cui si era concentrata per mesi, facilitando così, al momento dell’esame, il recupero delle nozioni apprese. Sono estremamente convinto che l’Aikido possa contribuire decisivamente a migliorare i risultati negli studi se si avesse la voglia e la capacità di programmare le cose in modo da accostarlo alla preparazione per un qualunque esame scolastico od universitario.
Il punto è proprio che se si avesse davvero voglia di praticare Aikido nonostante l’esame o l’interrogazione che si avvicina, si troverebbe il modo di studiare più efficientemente per poter avere anche quel paio d’ore da dedicare a se stessi la sera, che certamente non fanno la differenza nella preparazione dell’esame. È una cosa che si può imparare, ma bisogna volerlo. Non è solo un fatto di studiare e fare Aikido, ma soprattutto si tratta di imparare a organizzare la propria vita, i propri impegni, in modo da riuscire a fare il più possibile col meno stress possibile, in modo che questa organizzazione ci porti giovamento. Si tratta di educazione mentale e, badate bene, non è mica necessario l’Aikido. Se da studenti ci facciamo oberare dal nostro lavoro, non oso immaginare cosa ci succederà nella vita produttiva, tra problemi di lavoro, di famiglia, di salute, ecc. Finiremo per essere persone dedite al lavoro e basta, senza una vera vita. Sapete? Quelli che non hanno tempo da perdere con le attività sportive, con le cene con gli amici o, peggio, con le beghe di famiglia – devono lavorare.
Fidanzamenti e matrimoni
Un altro classico è il giovane o la giovane che, trovata l’anima gemella, non ha più tempo per la pratica – ha ben altro a cui pensare, voi continuate a giocare ai samurai! Bene, se già a 15-20 anni ci facciamo prendere totalmente dal nostro partner da non avere tempo per altro, posso immaginare in che matrimonio ci troveremo da adulti. Lo ripeto: il punto non è mollare Aikido per questi motivi, ma il farsi prendere totalmente da qualcosa, impedendoci di gioire di altre sfaccettature della vita. Si può anche invertire il problema: non ho tempo per la famiglia, per l’università, per il lavoro – faccio Aikido! Suona ridicolo vero? Perché non anche il contrario? La vita è dura e non c’è bisogno che ci sia io a dirvelo. Abbiamo uno strumento che può aiutarci davvero, se almeno gli diamo una possibilità. Utilizziamolo proprio quando sembra più difficile.
Io lo dico perché sono salito sul tatami anche quando ero depresso, disoccupato e single senza un soldo, perché trovavo il modo di preservare la quota dell’abbonamento sacrificando altro. Stringevo i denti anche quando praticare mi metteva ansia; sapevo che erano i miei problemi, messi in luce dalla pratica, a causare quell’ansia e che la pratica mi avrebbe anche aiutato a risolverli – e così è stato.
Quando poi era il lavoro a prendermi tempo, in qualche modo, appena potevo, salivo sul tatami, un tatami qualunque, in qualunque parte del mondo, nonostante la stanchezza e l’immenso stress causato da un lavoro duro dall’altra parte dell’oceano. Mi è capitato spessissimo di arrivare distrutto a fine giornata, ma non saltavo un allenamento neanche se per farlo dovevo guidare ancora per molto tempo, per tornare a casa tardi, sapendo che la sveglia era alle 6. Era molto meglio così che rientrare prima a casa per riposare – avrei avuto meno energia. La mattina dopo la sensazione non era “sono stanco perché ieri sera ho fatto Aikido e sono rientrato tardi” ma semmai “meno male che ho avuto l’allenamento ieri, altrimenti oggi sarebbe stata dura”.
Può sembrare che voglia portare acqua al mio mulino, visto che sono un fanatico dell’Aikido e che non so starne senza. Ripeto, non deve esser così per tutti. Mica tutti i praticanti devono diventare insegnanti! Solo chi è così “fanatico” lo diventa (e per fortuna qualcuno ancora c’è). Quello che vorrei far capire a chi pratica da relativamente poco è che proprio in quei momenti di difficoltà, quando la vita va male, che sia il lavoro, il divorzio, il rifiuto di qualcuno, la famiglia, la crisi, noi abbiamo un’arma che può aiutarci ad affrontare tutto questo al meglio. Una pratica che ci mette nelle stesse difficoltà della vita, costringendoci ad affidarci a persone più o meno forti di noi, più o meno grandi o giovani, e a turno a prenderci noi la responsabilità del loro corpo. Siamo sul tatami non per mostrare la nostra bravura, ma per aiutare l’altro/a, non per riuscire a metterlo/a giù con un trucco. E siamo sul tatami per essere aiutati. La pratica dell’Aikido ha mille allegorie con la vita, a partire dalla più banale: cadere e rialzarsi, pronti a ricominciare, ad andare avanti. Se non lo capiamo, se non realizziamo che farne a meno non ci aiuta nel momento del bisogno, perdiamo un’occasione.
Figli
Altro grande tema: nasce un figlio e smettiamo di praticare. E’ normale, anch’io l’ho fatto – per una settimana, 10-15 giorni, un mese o più. Ma poi sarebbe normale ricominciare, non smettiamo mica di lavorare perché siamo diventati genitori. Per le madri è diverso, ovviamente, ma nulla vieta, dopo il giusto lasso di tempo, di organizzarsi per riprendere la pratica. So di madri che portavano la culla o il box sul tatami per praticare. Voglio sottolineare che se la nascita di un figlio causa stravolgimenti tali da rivedere tutti i propri valori, questo può legittimamente portare a rivisitare le proprie convinzioni sulla pratica. Va bene così. Vorrei solo stimolare delle riflessioni su cosa è davvero l’Aikido per le persone che a un certo punto decidono di smettere. Se è perfettamente condivisibile lasciare la pratica per dedicarsi ai figli, è anche legittimo riflettere su quanto fosse allora la pratica una questione di vita – perché Aikido lo è, è un percorso che impiega tutta una vita. Non è per tutti così, ma chi è davvero su questo percorso non può affatto smettere. Io ho fatto un esame dan a due mesi dalla nascita di mio figlio, grazie anche ad una moglie aikidoka (quindi comprensiva) che ha ripreso a sua volta appena ha potuto. Non è che sia stato tutto rose e fiori, una volta genitori tutto diventa più difficile. Un amico mi disse che Seigo Yamaguchi, che aveva tre figli (quando gli altri insegnanti dell’Hombu Dojo, presi come erano dall’attività, si limitavano ad uno), dichiarava che non si fa davvero Aikido finché non si hanno dei figli. Capisco ciò che voleva dire. Una cosa è fare il grande maestro quando hai tutto il tempo libero – ben altro è dover riuscire a mantenere alta la qualità della pratica facendo anche i conti con i figli e con le mogli (o i mariti) che restano a casa con loro. C’è chi se li porta sul tatami, si organizza con babysitter, li lascia ai nonni, ma un modo lo trova. Quando in queste condizioni si riesce a strappare un’ora di pratica o di stage, la si deve assimilare al massimo, sarà tutto più intenso perché non possiamo contare sul tempo libero che avevamo prima. E saremo dei genitori più realizzati e sereni, cosa che giova molto alla crescita dei figli, che non dovranno soffrire di sensi di colpa perché hanno sempre sentito dire ai genitori che hanno dovuto abbandonare qualcosa a causa loro.
Tutto questo non vuole essere un’accusa a chi, per un motivo o per l’altro, non è riuscito a continuare la pratica dell’Aikido, ci mancherebbe! Ragioni per evitare di allenarsi ce ne sono molte e, per carità, chi non ha la possibilità davvero, capisco che possa decidere di smettere. Auspicherei però che chi fosse in questa condizione si fermasse un attimo a riflettere se è meglio tagliare il tempo ed il denaro da investire nell’Aikido piuttosto che altro, considerato quanto bene possa fare alla propria vita.
Non è che questo sia importante per l’Aikido in sé, o perché io ritenga che non vada abbandonato. Vale per qualunque altra cosa che faccia parte del nostro essere. E’ importante capire che se vogliamo qualcosa la possiamo ottenere. Se riusciamo ad organizzarci la vita per fare qualcosa che ci piace e ci fa bene, magari contro il parere comune, anche quando ci sembra di non averne tempo, quando la vita stessa non va proprio bene, forse potremo trovare il modo per organizzarci anche per far andare la nostra stessa vita un po’ meglio…