A volte provo una certa ansia per il fatto di voler essere sempre all’altezza dei miei studenti anziani o di riuscire ad ascoltare chi vuole praticare con me. E’ un’ansia più mentale che fisica; di lesioni ne so qualcosa per il fatto di averle ricevute, vissute, rifiutate ed infine accettate, dato che è l’unico modo, ne sono certo, per poter superare certe ansie. Nella nostra pratica, la lesione è parte dell’insegnamento. Senza lesioni non si può progredire, dato che esse sono il modo in cui il corpo apprende cosa può e cosa non può fare. Ma la lesione non può essere un motivo per interrompere la pratica, quindi bisogna preparare il corpo a subire un trattamento che non può sopportare troppo a lungo.
Quest’ansia è lì all’inizio di ogni allenamento. Perché torna sempre? E’ lo stesso nervosismo di cui parlano artisti ed attori prima di entrare in scena? A volte prima di iniziare l’allenamento gli allievi siedono in seiza (posizione che richiede di stare seduti sui talloni). Per quanto la memoria possa ricordare, mai e poi mai mi sono rilassato in quella posizione. Ciò viene dal fatto che prima di praticare Aikido ho praticato calcio ad alto livello abbastanza a lungo e soprattutto in un’epoca in cui mai si praticavano gli allungamenti necessari al benessere muscolare e corporale. Quindi questa è una posizione che più vado avanti nella vita, più diventa impossibile, tanto che ogni volta che ci provo mi procuro dolore. Per ovviare a questa sofferenza, mi inclino in avanti per mettere le mani a terra ed alleviare le ginocchia che soffrono di queste tensioni muscolari. Ed è forse questo dolore che ha fatto di me ciò che sono: mai, mai e poi mai far male ad un altro provocando lesioni fisiche e psicologiche.
Quindi, arrivato al terzo piano dell’Hombu Dojo, non fui sorpreso di apprendere che diversi maestri non potevano partecipare al corso per via di certe lesioni. E subito mi sono venute in mente queste domande: “Come mai questi maestri, col grado così alto, che non fanno più il lavoro degli allievi, si sono procurati queste lesioni? Come hanno potuto questi maestri farsi male visto che non fanno altro che il Tori? Come hanno fatto a procurarsi lesioni quando praticano solo con allievi che vanno da loro a lezione? Come possono essersi lesionati quando “l’attaccante” ha già accettato cosa sta per succedere? Come possono essersi fatti male quando “l’attaccante” ha già accettato di subire esattamente ciò che essi vogliono?”
Ho posto la domanda a diversi praticanti da scuole diverse. Perché le lesioni? E la risposta è stata automatica: “Si sono allenati troppo”. Per me è la più stupida delle risposte. Non avrebbero dovuto rispondere “allenati troppo” ma “troppo male”. In effetti, se il dolore arriva dopo del troppo, le lesioni che ostacolano o impediscono la pratica si producono quando non facciamo attenzione al nostro corpo e soprattutto a quello del partner. L’Aikido è un’arte intesa a sviluppare il corpo umano, che dovrebbe permettere al corpo di mantenere la libertà e, attraverso i movimenti che ci ha dato, dobbiamo aumentarne la mobilità e permettere il rilassamento delle tensioni corporali.
E’ per questo che il Tori (colui che guida l’Uke verso una caduta od una immobilizzazione) deve assolutamente rispettare l’anatomia e la fisiologia dell’altro. Ci sono posizioni che il corpo non può accettare. Non possiamo combattere contro il corpo ma piuttosto possiamo capire che un grande può mobilizzare un piccolo che a sua volta dovrà capire che il partner più grande non si può piegare in due e corrergli incontro per far piacere a lui.
Queste lesioni dei grandi maestri si sono secondo me sviluppate per voler fare assolutamente un certo movimento, senza ascoltare il corpo dell’altro. Si tratta di voler proiettare un Uke nella direzione e nella posizione corporale non adatte alla fisiologia naturale del corpo. Tori provoca al suo proprio corpo delle lesioni permanenti, dato che i tessuti hanno preso una piega che mai si potrà correggere. Io non faccio mai fare all’altro una tecnica che non può accettare. Non è contro che bisogna praticare, ma con. E’ questo “con” che fa l’Aikido. E’ questo “con” l’essenza stessa della nostra arte e non dovremmo mai violare questo principio.
E’ frequente che un Uke venga rimproverato da un Tori perché non si è mosso come lui voleva. Ma molto spesso è il Tori che ha messo il suo partner in una situazione così vincolante che l’Uke non ha più la libertà di poter seguire il Tori. Non potendo muoversi come vorrebbe, l’Uke si blocca e impedisce la fluidità del movimento; solo con uno sforzo impossibile potrebbe liberare il corpo da una tale situazione. Facendo così mette in pericolo le sue articolazioni e tutte le catene muscolari che le collegano. Ma succede anche, molto spesso, che il Tori forzi contro natura per superare il blocco e realizzando questo movimento mette il suo stesso corpo in pericolo. Questa è secondo me la causa principale delle lesioni croniche. E’ la ripetizione di movimenti contrari al benessere fisiologico all’origine di queste lesioni che spesso sono inguaribili, dato che i tessuti coinvolti hanno talmente sofferto che nono sono più in grado di rispondere con la libertà di movimento originale.
Ogni volta che insegno cerco di far rispettare ai due partner, con i movimenti che ci insegna l’Aikido, i diversi tessuti del corpo umano. Sono molto attento a fare in modo che i miei praticanti escano dal tatami meglio di come ci sono saliti. Come sentire esattamente ciò che l’altro sente nello stesso momento? Come capire cos’è che non distrugge l’altro? Come praticare per fare in modo che l’altro migliori? Per arrivare a tanto ci vuole una concentrazione totale ed una sensibilità molto fine. Questo è l’Aikido che vorrei sviluppare. Un Aikido che renda le nostre mani molto sensibili, capaci di ascoltare il corpo dell’altro. Un Aikido che faccia delle mani che costruiscano, che “impastino” il corpo del partner. E’ a questa condizione – solo questa – che i nostri praticanti ed i nostri partner continueranno a salire sul nostro tatami.
Faccio molta attenzione alle informazioni che le mie mani inviano ai miei diversi partner. Noi siamo degli artisti manuali e
solo il corpo dei nostri partner è in grado di testimoniare ciò che le nostre mani hanno fatto sui loro corpi. Non vi è alcuna prova visiva della nostra pratica. Un pittore lascia un quadro, un musicista una partitura, uno sportivo legge il risultato della sua prova sul giornale. Noi non abbiamo alcun supporto utilizzabile, solo il nostro partner può testimoniare cosa abbiamo fatto su di lui. Solo il nostro partner può affermare se il nostro lavoro è stato per lui corretto o traumatizzante. Ma spesso ci sono cose non dette. Nessuno si ribella sul tappeto, nessuno grida la sua rabbia; solo cambiando dojo o smettendo i praticanti ci informano sui traumi che l’allenamento ha loro procurato.
L’aikidoka non si ribella mai, smette o cambia posto.
E’ molto importante che noi, i graduati, abbiamo un’alta consapevolezza di ciò che facciamo con i nostri corpi e soprattutto non ci possiamo nascondere dietro il fatto che se un praticante si fa male è solo colpa sua, dato che siamo noi a portare i gradi, siamo quindi competenti e non possiamo farci trarre in inganno. Dobbiamo essere più chiari e più onesti con noi stessi e non possiamo più lamentarci che i nostri praticanti, dopo più di trent’anni sul tatami, non si rendono conto di quel che fanno. Il “sumimasen”, le scuse, i “non volevo farlo”, i “non ti ho visto”, sono cose che non dovremmo MAI pronunciare sul tatami.
L’Aikido è un’arte così bella che vorrei mantenerla tale ed assicurare che le generazioni future svilupperanno una pratica che permetta a tutti di fiorire in seno al proprio dojo.
Philippe Gouttard, Meylan, 21 giugno 2015
Originale in francese su aikido-gouttard.com
Traduzione a cura di Pasquale Robustini