Torniamo all’analogia con le masse. Se siamo al 6° piano di un palazzo, anche se ben immersi nel campo gravitazionale della Terra, non cadiamo, c’è il pavimento che ci ferma. Se qualcuno ci togliesse il pavimento da sotto, andremmo giù. Il nostro cadere è allo stato potenziale: cadremmo, ma solo se ci togliessero il pavimento. Se fossimo al primo piano ci preoccuperemmo di meno: il potenziale di cadere è più basso (cadremmo lo stesso se togliessero il pavimento, ma solo di 3 metri, non 18!). Insomma, che cade dal 6° piano arriva a terra con una velocità ben maggiore di chi cade dal primo. Si dice che la sua energia potenziale, legata al campo gravitazionale, è molto più alta rispetto a chi è solo al 1° piano. Il potenziale è molto più alto per chi è in aereo, figuriamoci…
Allo stesso modo, una palla posta su di un piano, non rotolerà finché il piano non viene inclinato abbastanza: sostanzialmente, succede che inclinando il piano, una parte finisce molto più in alto dell’altra e la palla rotola, passando da una zona a potenziale più alto ad una zona a potenziale più basso: lo scopo della natura. Per gli atomi in un filo di rame, ben noto conduttore elettrico, è lo stesso: se non si applica una differenza di potenziale elettrico ai due capi del filo (creando così un campo elettrico al suo interno) gli elettroni non hanno motivo di spostarsi. Quando si spostano abbiamo una corrente elettrica.
Alessandro Volta nel ‘700 notò che un motivo per spostarsi le cariche ce l’hanno se si strofina con un panno di lana un materiale non metallico: le cariche elettriche (elettroni) vi si accumulano generando potenziale negativo; avvicinandogli una piastra di conduttore le cariche vi si spostano generando un flusso di corrente. Più avanti pensò di mettere a contatto due piastre di conduttore con un materiale non conduttore (che viene chiamato “dielettrico”) ed inventò il condensatore (schematizzato a sinistra), un accumulatore di energia elettrica che “stagna” dentro il dielettrico immerso nel campo elettrico che si genera tra le due piastre caricate una negativamente e l’altra positivamente.
Sempre il geniale fisico comasco, nel 1800 capì che alcuni metalli come rame e zinco, messi a contatto tramite un panno umido di acido, accumulavano cariche negative su uno dei due, lasciando l’altro con cariche positive (esemplificando molto: lo zinco perde elettroni: in chimica si dice che si ossida; il rame li acquisisce: in chimica si dice che si riduce – processo di “ossidoriduzione”); in questo modo si generava una differenza di potenziale (i primi tempi era detta “tensione” elettrica – facile immaginare la “tensione” gravitazionale se ci sporgiamo dal balcone di un grattacielo!) tra il blocco di rame e quello di zinco (in realtà ne erano diversi, alternati): sono i poli della batteria, o pila voltaica, positivo (zinco ossidato) e negativo (rame ridotto).
Collegando un filo di materiale conduttore ai due poli della batteria, si genere il flusso di corrente elettrica: la batteria porta gli elettroni che gli giungono al polo positivo ad un potenziale più alto (quello del polo negativo), così che possano riprendere a girare nel filo elettrico. Ogni volta che tornano al polo positivo, aumentano di energia potenziale, sempre più, finché a un certo punto il filo si surriscalda e brucia (se non brucia pure la batteria): è il “cortocircuito”.
Se inseriamo nel circuito un materiale poco conduttore che faccia “resistenza” all’avanzamento degli elettroni, in modo che arrivino meno “carichi” di energia al polo positivo della batteria, otterremo di non bruciare nulla: l’energia accumulata dagli elettroni che escono dal polo negativo della batteria, sarà dissipata in calore lungo la resistenza. Una applicazione di questo principio è la stufa elettrica, o anche l’asciugacapelli.
Ma a Thomas Edison venne in mente un’idea: se il filo brucia lo fa perché c’è l’ossigeno che glie lo permette; e se lo metto sotto vuoto? Creò così la prima lampadina, in cui il filo non brucia per l’assenza di ossigeno, ma rimane solo incandescente, emettendo energia anche sotto forma di luce. In onore di Alessandro volta, l’unità di misura del potenziale elettrico di pile e generatori viene detto Volt. Il tedesco Georg Ohm capì che la corrente elettrica che scorre in un conduttore è proporzionale alla differenza di potenziale applicata, tramite un fattore costante che è una caratteristica del conduttore: la sua “resistenza” ad essere attraversato dagli elettroni, proprietà tipica del materiale di cui è composto, che va sotto il nome di “resistività”. In suo onore l’unità di misura della resisitività è stata chiamata Ohm Ω (quella della resistenza è Ohm x metro). La legge di Ohm esprime quindi la relazione diretta tra potenziale e corrente: V = RI, ossia 1 Volt applicato ad un conduttore che abbia una resistenza R di 1 Ohm al metro genera una corrente dell’intensità (I) di un Ampère (in onore del francese André-Marie Ampére, precursore dell’elettromagnetismo).
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