L’estate del 2012, al consueto stage estivo di Philippe Gouttard a Follonica, sono stato bocciato al mio esame da 3° dan Aikikai dal grande maestro francese. Per chi come me tiene un corso di Aikido, anche se solo da poco tempo, potrebbe essere un grosso danno di immagine, almeno secondo alcuni. E poi le sensazioni che si provano dopo una bocciatura sono disparate. Un po’ la voglia di praticare cala, si prova una certa stanchezza mentale nella consapevolezza che tutto ciò che si è fatto non è stato abbastanza, quando invece ci sembrava davvero tanto. Come in un incidente a cavallo o sulla bicicletta, l’importante è ricominciare subito! Grazie al cielo ero ad uno stage, quindi immediatamente dopo l’esame – pratica!
Qualcuno potrebbe chiedersi cosa mi cerchi a fare un insegnante francese per fare l’esame. Anche per i gradi Aikikai potrei tranquillamente trovarmi un sensei italiano di tutto rispetto e magari stare pure più tranquillo per il risultato finale (è noto come la federazione francese di cui Philippe Gouttard è parte, conceda pochi risultati positivi agli esami dan). Il fatto è che Philippe Gouttard è l’insegnante che frequento di più e che mi conosce di più, fatta ovviamente eccezione per Valter Francia, con cui ho iniziato la pratica nel 2001. E’ stato Valter a farmi conoscere l’Aikido e poi Philippe, che è un riferimento anche per lui. D’accordo con Valter (e ovviamente anche col maestro francese), decisi da tempo che il mio passaggio al 3° dan sarebbe stato ratificato da Philippe Gouttard e non altri. Perché?
Il Budo tradizionale presuppone l’esistenza di un Maestro che tramandi i principi della Via ai suoi allievi. Solo quando questo Maestro riconosce ad un allievo la completa trasmissione, questi può diventare a sua volta un Maestro, colui che tramanda le conoscenze ad altri e si preoccupa di trovare un “erede” a cui a sua volta lasciare le proprie conoscenze. Da tempo non funziona più proprio così, non almeno nell’Aikido come lo conosciamo oggi. Io ho iniziato l’Aikido con Valter Francia, che a sua volta aveva iniziato con Roberto Martucci. Le proprie origini non vanno mai dimenticate, queste persone mi hanno permesso di iniziare la pratica dell’Aikido, ma entrambi sono troppo giovani per essere per me Maestri di Via: ci vuole almeno una generazione di distanza. Per quel che riguarda l’accezione della parola Maestro in italiano siamo d’accordo, il Maestro è un esperto nella sua disciplina. Di due quarantenni, uno potrebbe essere un maestro in cucina, l’altro no. Quest’ultimo potrebbe tranquillamente andare a scuola dal primo e considerarlo il suo maestro (tecnico) di cucina. Non credo che accetterebbe mai che questi gli insegnasse la vita. Ricordando che la parola Sensei in giapponese si traduce in insegnante, capisco perfettamente che molti considerino propri Maestri di Aikido dei loro quasi coetanei, ma dal punto di vista tecnico. Il Maestro di Via, il Maestro del Budo, è tutt’altra cosa. Riconosco certamente che il mio insegnante è Valter Francia, ma un Maestro di Via purtroppo non ce l’ho, forse perché ho iniziato molto avanti con l’età. Però ho dei punti di riferimento, sia tecnici che non. Pur non essendo possibile che un mio quasi coetaneo mi faccia da Maestro nel vero senso del Budo, Valter Francia ha fatto la sua parte: quando lo ha ritenuto opportuno mi ha “lasciato andare”. Come a dire “adesso vai da solo”. “Dopo tanti anni con me che stai a fare qui, apri il tuo dojo, insegna, se è quello che vuoi fare, con il mio assenso.” E così ho fatto. Ed è degno di nota che Valter Francia non sia mai venuto a fare una sola volta lezione nel mio piccolo dojo, per rispetto mio e dei miei allievi. Non che io non l’abbia mai invitato. Ha semplicemente rifiutato, non lo ritiene opportuno, per rispetto della mia immagine di insegnante e per i miei allievi che hanno bisogno di credere in me prima di tutto. Insomma, una sorta di Menkyo Kaiden moderno…
Questo non significa che io abbia però concluso il mio percorso. Se il 1° dan del Budo rappresenta un “allievo all’inizio della Via”, il 2° dan è “colui che cerca la Via”. E’ qui che mi trovo io ora: sto ancora cercando. E nella mia ricerca ho scelto Philippe Gouttard come riferimento. Non sarà il mio Maestro di Via nel senso stretto del Budo, non lo sarà certo di vita quindi, ma risponde pienamente a tutto quello che io sto cercando sul tatami. Ognuno ha le sue personali motivazioni per la pratica di Aikido. Ognuno cerca qualcosa lungo la Via e spesso questo qualcosa è molto diverso da praticante a praticante. E’ giustissimo e bellissimo che sia così. Agli inizi qualunque insegnante sembra irraggiungibile ed inimitabile. Molti insegnanti continuano a sembrarlo anche dopo molti anni di allenamento. E’ bello e molto utile praticare con i Maestri più disparati, provando interpretazioni dell’Aikido a volte molto distanti tra loro. Ma dopo un po’ di tempo si arriva ad un punto in cui si sceglie.
Quando ho iniziato, i nomi di Christian Tissier e Philippe Gouttard incutevano un certo timore reverenziale. Partecipavo ai loro stage a Roma come pure a quelli di altri insegnanti tra cui apprezzavo particolarmente Roberto Martucci e Nino Dellisanti. Quando ero da poco 1° kyu, Philippe Gouttard mi riconobbe un miglioramento notevole e mi disse che ero “sulla Via”. Mi disse pure di non chiamarlo maestro, appunto per via della poca differenza di età, solo 10 anni – non potevo certo essere suo figlio. Apprezzavo molto Christian Tissier, la sua caratura tecnica, l’estetica del movimento. L’Aikido di Philippe Gouttard mi prendeva invece da dentro, provavo delle sensazioni particolari, degli stimoli a cui non ero abituato. Philippe Gouttard è in grado di portare sul tatami anche le sue sofferenze, i suoi tormenti di essere umano. Il suo Aikido è pregno di pathos, è intenso, viscerale. Ripete spesso che vuole insegnarci le cose che lo hanno aiutato a crescere, a vincere le sue paure, a superare i suoi limiti. L’essenza dell’Aikido, del Budo in genere. Per come sono fatto io, razionale, scientifico, col cervello sempre in moto a cercare di capire il funzionamento delle cose, un metodo didattico altrettanto cerebrale e razionale, oserei dire tipicamente occidentale, non farebbe altro che acuire questa mia tendenza ad usare troppo la testa. Per me non va bene. Per crescere ho bisogno di stimolare, con la pratica, l’emisfero cerebrale che uso di meno, quello deputato all’intuito, alla parte artistica, sensibile, emozionale. Non avrebbe senso praticare Aikido per incrementare l’emisfero razionale a scapito di quello già meno sviluppato. Aikido mi stimola proprio perché va a toccare quella parte di me con cui ho meno familiarità, dandomi la sensazione di accrescermi, di migliorarmi, di completarmi. Probabilmente all’inizio va benissimo analizzare i movimenti, scindere la tecniche per capire il movimento e poi ricrearlo. Va bene anche farlo ancora per puntualizzare certe cose di tanto in tanto. Ma se si prende l’abitudine a pensare a cosa si fa e la si porta con sé fino agli stadi più avanzati, la cosa non ha molto senso, almeno per quello che mi riguarda. Questo vale per me, che appunto ho il problema di pensare troppo. Come dicevo, ognuno fa Aikido per motivi propri, che possono benissimo essere diametralmente opposti ai miei.
E’ opinione diffusa che gli stage di Philippe Gouttard siano, dal punto di vista del dispendio di energie, un vero “massacro”. E’ strano ma a me questo “massacro” mi rigenera. Non che non senta la fatica, intendiamoci, la sento eccome, eppure dopo i suoi stage sto molto meglio di prima. E’ vero che la pratica è molto intensa, ma è altrettanto vero che nessuno viene mai spinto a fare cose che non può permettersi di fare. A certi livelli però, si è spinti verso i propri limiti, anche un po’ oltre. Ma non è proprio lo scopo del Budo esplorare i propri limiti? Chi l’ha conosciuto sa anche che essere nelle mani di Philippe Gouttard, essere proiettato da lui non è un’esperienza spaventosa, anzi. E’ molto forte e mette tutta la sua intensità nella proiezione. Ma chi viene proiettato non “sente” tutta quella forza sul proprio corpo, non ha sensazioni negative. Philippe Gouttard ci tiene molto ad esortarci a portare sul tatami le nostre frustrazioni, le nostre angosce, ma vieta tassativamente di scaricarle con le tecniche sui nostri partner. La tecnica, la pratica, deve essere usata per riconciliarci con noi stessi. Il partner è un mezzo per ottenere questo, non un punching ball su cui ci sfoghiamo. Philippe dice spesso che la sensazione che dobbiamo far provare al partner mentre lo proiettiamo è quella di un abbraccio protettivo. La proiezione deve equivalere ad una protezione, gioco di parole che riesce meglio in francese (projeter/protéger). L’Aikido non deve distruggere ma ricostruire. Da buon osteopata, Philippe tiene molto all’integrità delle articolazioni dei praticanti. Ogni movimento è da lui eseguito in modo tale che ogni articolazione coinvolta lavori come è stata progettata da madre natura per farlo. Se l’Aikido deve ricostruire, non ha senso torcere una articolazione nella direzione in cui si romperebbe. Anche se non lo facciamo mai fino al limite, negli anni di pratica e di ripetizioni costanti le lesioni si faranno sentire. Poi, come dice lui stesso, ci si meraviglia che abbiamo praticato Aikido per anni e siamo infortunati, con mal di schiena, cervicale, ecc. Eppure ce ne sono di grandi maestri con tutori, fasce protettive, problemi all’anca, al ginocchio e così via. Il problema è che sono pochi a praticare ed insegnare un Aikido “per rimanere giovani”, per ritardare il processo di invecchiamento. Ed anche se Philippe lo insegna, ripetendosi fino alla noia, non sempre riusciamo tutti a seguire i suoi consigli “fisiologici” ed i dolori fanno lo stesso la loro comparsa. Bisogna stare molto attenti. E’ molto più importante non assumere posture dannose durante l’esecuzione che la correttezza della tecnica stessa. Insomma, per me che ho iniziato alla veneranda età di 36 anni, è importante praticare per rimanere giovani! Devo anche dire che dopo tutti questi anni mai mi è capitato di infortunarmi sul tatami. Semmai è chiaro come l’Aikido mi ricarichi le pile ogni volta. A dire di chi mi conosce bene ho una “luce” diversa nei miei occhi al ritorno dallo stage. Effettivamente, sento il bisogno, la vera necessità di praticare con Philippe Gouttard periodicamente per ricaricare le energie consumate nella vita di tutti i giorni. Non è poco…
Ma non è tutto. Dove lo mettiamo il giusto atteggiamento? E’ noto che nel mondo delle arti marziali l’Aikido goda sia di grande rispetto che di fama di “roba da donnicciole”. Non esiste la competizione, nessuno fa gare, si eseguono a volte dei movimenti che in un combattimento sarebbero controproducenti. Tutto ciò fa sorridere o quanto meno sollevare il sopracciglio a chi pratica combattimento e si cimenta nelle gare sportive. Ad un aikidoka non dovrebbe interessare primeggiare su un avversario, ma interrogato a riguardo, Philippe Gouttard una volta mi rispose che mentre si pratica entrambi i partner sanno chi dei due è il più forte. Bisogna ammettere che è vero. Una delle cose che mi colpì particolarmente del maestro francese era che ogni volta che si esprimeva sull’Aikido mi trovava invariabilmente d’accordo. Philippe Gouttard è molto, molto diverso da me come persona. Sarà anche per questo che l’allenamento con lui mi stimola. Il mio atteggiamento con gli altri è spesso condiscendente, evito il più possibile lo scontro, a costo di evitare di esprimere un’opinione o un dissenso. Cerco sempre di essere molto gentile e cordiale con gli altri, sempre pronto al sorriso e all’autoironia. Questi ed altri atteggiamenti che possono essere utili in molte occasioni, non funzionano benissimo sul tatami, almeno su certi tatami, nel caso si voglia che l’Aikido ci insegni davvero qualcosa a parte vuoti kata, vuote “forme”. Sul tatami di Philippe questi kata vengono “riempiti” da ben altra sostanza, per poi distruggerli e liberarsene quanto più possibile. Per questo gli esercizi, le “tecniche” agli stage di Gouttard sono quasi sempre le stesse, cosa di cui molti si lamentano alquanto. Il punto è un altro, è l’allenamento dentro di noi, il combattere le false gentilezze, i sorrisi di circostanza, il dover/voler essere buoni con tutti perché vogliamo che siano buoni con noi. Bene, ho visto il filmato del mio esame. E’ proprio nell’atteggiamento che qualcosa mancava. Non ero lì, centrato, sicuro, al controllo. Proprio tutto quello che io cerco sul tatami di Philippe Gouttard non riuscivo a metterlo in pratica all’esame. Ecco il perché del risultato…
Se l’Aikido di Philippe Gouttard è per me quello giusto, nonostante egli non sia il più alto in grado nella nostra linea didattica, nonostante sia un personaggio a volte controverso nell’ambiente dell’Aikido, nonostante il suo approccio faccia spesso allontanare allievi più di quanti ne avvicini, ritengo più giusto, specialmente nel rispetto di quel che era il Budo in origine, che se raggiungerò un giorno lo status di “allievo riconosciuto” di Aikido, corrisponente al 3° dan, che sia lui a sancire il mio effettivo raggiungimento di questo gradino della via. Semplicemente perché tra quelli che possono farlo è quello che mi conosce di più, quello che seguo di più. Tutto qui. Se poi mi boccerà ancora mi fiderò del suo giudizio. Quello che voglio è qualcuno che certifichi per davvero la qualità del mio esame. So che Philippe, come ha già fatto, non avrà certo paura di respingermi se la mia preparazione non sarà adeguata, anche sapendo che potrei allontanarmi dall’Aikido o da lui come conseguenza. Non lo farò, come non l’ho fatto dopo l’episodio di Follonica 2012, come gli ho immediatamente chiarito. Sono stato io a volere fortemente lui come esaminatore. E che faccio? Dopo che mi boccia non lo seguo più? Ma andiamo! Sarà che ho 48 anni suonati e non ho bisogno di fregiarmi di un tiolo più alto possibile per i miei interessi di attività di insegnamento. Ho fatto l’università, so cosa significa fare esami, superarli ed essere respinti. Per me sapere che se non si è preparati non si passa è garanzia di qualità. E’ a me per primo che interessa sapere se il mio livello è quello che si confà ad un 3° dan Aikikai. So che Philippe Gouttard non mi “tradirebbe” mai in questo. Ho fiducia nella sua serenità di giudizio e so anche quanto sia dispiaciuto nel momento che è costretto a respingere un candidato che ormai conosce da diversi anni. Se poi alla mia età resterò ancora solo 2° dan, questo è un mio problema, non il suo. Anzi, non me ne farei un problema soprattutto io. Forse qualcun altro si?
Figuraccia davanti a tutti con Philippe Gouttard – Torino, 4 dicembre 2010: proprio non capivo… Ma ora la so bene, eh! ;-))
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Fonti:
Budo, di Werner Lind, Ed. mediterranee