Negli anni sessanta c’era un’altra auto che popolava i miei sogni di bambino, anche se non intensamente come la Giulia.Si tratta della francese Citroen DS seconda serie (non che la prima serie, quella coi fari rotondi. oggi mi dispiaccia), un’auto dal profilo avveniristico, da molti definita “ferro da stiro”, ma secondo me bellissima ancora oggi. A quei tempi mi affascinava per la linea all’avanguardia, per i fari che ruotavano assieme al volante per illuminare la curva e per il fatto che una volta in moto il retrotreno si sollevasse per prepararsi alla marcia. Ricordo che l’unica volta che potei salirci fu in un concessionario romano. Forse neanche andavo ancora a scuola, ma volli vederla e sedermici dentro: mi sembrava di essere sul divano del salotto…
La DS (che letto d’un fiato in francese suonava come déesse, che significa “dea”, ma che è anche una sigla che sta per Désirée Spéciale), partiva da un progetto che risale a prima della seconda guerra mondiale, successivamente rielaborato e migliorato, che includeva innovazioni tecnologiche che rimasero attuali sino al termine della produzione nel 1975. Alcune di esse sono state riscoperte da molte case automobilistiche solo diversi anni dopo la sua uscita di produzione. La prima serie era facilmente ditinguibile dai fari anteriori circolari. La seconda, quella dei mie sogni di allora, aveva i tipici fanali allungati molto attuali nella auto di oggi.
Se la linea della DS lascia incantati ancor oggi, facile immaginare quale sia stata la reazione del pubblico a metà anni cinquanta. André Citroen ingaggio personalmente l’ingegnere André Lefebre e i ldisegnatore Flaminio Bertoni per creare un’auto del tutto innovativa, fortemente controcorrente sia come estetica che come tecnologie impiegate. Il motore da 2000 cc fu presto accompagnato da una versione da 2300 cc, oltre che a un diesel 1900. Servosterzo e sevofreno erano di serie, allora riservati solo a vetture di élite, così come la frizione automatica ed i freni a disco, che allora avevano solo le Jaguar da competizione. Le sospensioni idropneumatiche furono una autentica rivoluzione.
Il primo aspetto che colpì gli occhi dei visitatori del Salone di Parigi del 1955 nell’osservare la DS fu la sua linea estremamente anticonformista e innovativa. Una silhouette allungata, con linee tese all’indietro, la coda corta e rastremata, le ruote posteriori carenate. La vettura sembra rannicchiata sul retrotreno, pronta a scattare in avanti. L’intera carrozzeria, sebbene di indubbio impatto estetico, nasceva però principalmente per soddisfare quelle che erano le esigenze dei progettisti di ottenere una vettura dotata del miglior coefficiente di penetrazione aerodinamica possibile. L’impatto visivo, notevole anche oggigiorno, era quindi solo una conseguenza. Anteriormente, le DS della prima serie presentavano gruppi ottici circolari senza carenature, che sarebbero comparse solo nel 1967, con l’arrivo della seconda serie. Più in generale, il frontale riusciva ad essere imponente e slanciato nello stesso tempo.
Lateralmente, la linea era sempre molto slanciata, grazie soprattutto alla linea di cintura non molto alta, che lasciava spazio a superfici vetrate piuttosto ampie, ma anche ai passaruota posteriori semicarenati, una caratteristica stilistica già vista qualche anno prima con il lancio della 2CV e che avrebbe caratterizzato nei decenni seguenti anche molte altre vetture della Casa del “double-chevron”. La coda era invece caratterizzata da piccoli fari circolari che sarebbero stati sostituiti da fari rettangolari in occasione del restyling. Sempre posteriormente erano molto particolari gli indicatori di direzione situati sopra i montanti posteriori, nell’angolo in alto, in corrispondenza del tetto.
Anche internamente, lo styling lasciava il suo segno, per esempio nel design del volante, munito di un’unica razza. Questa particolare configurazione del volante nasceva da esigenze di sicurezza perché riduceva il rischio di danni alla cassa toracica del conducente in caso di forte impatto. Il cruscotto era ad illuminazione regolabile e comprendeva tachimetro e contachilometri, ma non il contagiri. In compenso vi erano altri strumenti: l’indicatore del livello carburante, amperometro, la spia dei fari, quella degli indicatori di direzione e quello di insufficiente pressione dei freni e l’orologio. Vi era un pomello per l’azionamento manuale dei tergicristalli in caso di guasto del dispositivo elettrico che li azionava automaticamente e infine una catenella, posta lato frizione, che permetteva, tirandola, di coprire con una tendina il radiatore dal gelo notturno.
Come già detto, oltre che per il suo impressionante impatto visivo, la DS era rivoluzionaria anche per molte soluzioni tecniche adottate, come quella delle sospensioni idropneumatiche (o più precisamente oleopneumatiche). Nate da dieci anni di progettazione, queste sospensioni sono a ruote indipendenti con quadrilateri e permettono di mantenere costante l’altezza da terra della vettura. Ciò permise alla delinquenza organizzata di utilizzarla, caricando oltremodo il portabagagli, senza destare sospetti alle forze dell’ordine. Tale sistema consisteva in quattro sfere di acciaio, una per ruota. Ogni sfera era riempita per metà di olio e per metà di azoto. Le due sostanze sono separate tra loro da una membrana. Caricando molto la vettura o anche in caso di fondo stradale sconnesso, l’olio va a comprimere l’azoto (posto nella metà superiore della sfera). Maggiore è l’impulso a comprimere il gas, minore risulta la morbidezza delle sospensioni, poiché è impossibile ottenere una compressione completa. Ciò permetteva un’ottima azione ammortizzante proprio in caso di sconnessioni stradali. L’autolivellamento del corpo vettura avviene tramite una pompa a sette pistoni che aumenta o diminuisce la lunghezza della colonna d’olio. L’anno successivo al lancio, tale dispositivo poteva anche essere regolato manualmente su 5 posizioni, arrivando ad un’altezza che permetteva la sostituzione di una foratura senza l’ausilio di un cric (considerando che l’auto era, appunto, autolivellante).
Questa caratteristica consentiva alla DS di marciare anche senza una ruota, in caos di emergenza. Successe al Generale Charles de Gaulle, che nel 1968 aveva voluto una DS speciale come auto presidenziale: riuscì a sfuggire un attentato grazie alla capacità della DS di procedere anche con due gomme forate dai colpi di mitragliatrice. Famosa fu pure una gare di rally in cui il pilota della Citroen DS, forte di un assetto alto ed di un comfort molto adatti allo sconnesso, perse una ruota in uno scontro e tagliò comunque il traguardo per primo davanti alle telecamere con solo tre ruote. Un grande pubblicità…
Il circuito idraulico, che andava ad azionare le innovative sospensioni idropneumatiche, serviva anche per il funzionamento del servofreno, del servosterzo, della frizione idraulica e del cambio. Questi ultimi facevano parte del sofisticato sistema di trasmissione semiautomatica, che non prevedeva alcun pedale della frizione. La frizione poteva essere comunque regolata tramite una vite, in maniera tale da addolcirne l’intervento durante i cambi di rapporto. Inoltre, il cambio è stato progettato in modo tale che in caso di brusche frenate la marcia innestata si disinnestasse automaticamente così da fare in modo che il motore non si spegnesse. Anche la sincronizzazione avveniva sfruttando il circuito idraulico.
Sempre a proposito del circuito idraulico, va detto che i primi anni di carriera della DS non furono affatto facili, proprio a causa dei frequenti inconvenienti cui andava incontro il circuito idraulico stesso. Inizialmente, nei primissimi esemplari, si utilizzava un olio di tipo vegetale, che però era soggetto ad ossidazione. Dopo poco tempo dal lancio, questo olio è stato sostituito da un olio rosso sintetico denominato LHS, il quale però presentava il grosso problema che alla lunga tendeva a corrodere le guarnizioni di tenuta e a far arrugginire le parti metalliche che venivano a contatto con l’olio stesso. Nonostante gli sforzi dei tecnici, le perdite continuavano, sia pur in misura minore. Fu solo nel 1967 che il problema venne definitivamente risolto grazie all’utilizzo di un nuovo olio di tipo minerale e di color verde, denominato LHM.
L‘impianto frenante era a dischi anteriori. Più in particolare, la DS è stata la prima vettura europea a montare questo tipo di freni all’avantreno. Posteriormente si scelsero invece i più tradizionali tamburi. I dischi freno vennero realizzati in ghisa ed erano montati entrobordo, direttamente all’uscita del diffrenziale. Tale soluzione era volta alla riduzione delle masse non sospese. Il pedale del freno era sostituito sulla DS da una sorta di pulsante a forma di fungo situato sul pavimento e azionato con il piede. Tale pulsante aveva una corsa molto corta e richiedeva molta sensibilità per dosare opportunamente la frenata.
Anche nella carrozzeria la DS innovava in maniera radicale: i pannelli erano imbullonati a vista al telaio sottostante, rendendo la loro sostituzione un gioco da ragazzi.
Fu nel 1968 che comparvero i fari carenati, ma con un’ulteriore “chicca” tecnologica degna di un’auto come la DS che mi colpì molto da bambino: i fari orientabili con lo sterzo, soluzione che permetteva al conducente di avere più visuale nelle manovre di svolta compiute al buio. Questi fari furono battezzati “occhi di gatto” per il loro inconfondibile design. Solo negli USA i fari orientabili non erano permessi, pertanto per quel mercato erano previste versioni con fari fissi. In ogni caso, con questa innovazione tecnico-stilistica, la DS divenne vistosamente più aerodinamica, con una linea piuttosto da pesce che non da felino. Pertanto, ancor oggi, la DS è nota a molti con il soprannome di “squalo”.
Una curiosità: a causa delle sue particolari sospensioni idropneumatiche, quando l’auto è spenta non è possibile applicare alle ruote le “ganasce” della polizia.
Fonte: Wikipedia