Ricordo bene il giorno che uscì l’Alfa 33 nei concessionari. Avevo 19 anni, guidavo da poco la Renault 14 di famiglia e sognavo le Alfa da anni. La nuova versione della piccola Alfa Romeo che avrebbe sostituito gradualmente l’Alfasud era un sogno ancora irraggiungibile, ma non sembrava così lontana dalle eventuali possibilità future come la Giulietta. Poi le sue dimensioni da piccola berlina (non 2 volumi come il modello precedente) la rendevano appetibile da un pubblico, se non della mia età, un po’ più grande. Infatti era proprio l’idea dell’Alfa, quella di attrarre un pubblico giovane, avvicinarlo al piacere di guida della casa di Arese con un’auto piccola disegnata come una grande. Quel giorno io ed un amico andammo a piedi al concessionario Alfa e cheidemmo di poter vedere la nuova 33. Accanto ad una gigantografia di Harry Ford che si toglieva il cappello davanti ad un’Alfa, il personale sposto a spinta la 33 esposta in modo da mostrarcela meglio, da farcela vedere bene, facilitando l’accesso all’interno. Il titolare rimarcò che eravamo i clienti del domani e bisognava trattarci col massimo rispetto. Appassionato anche lui capiva la passione di due giovani potenziali futuri alfisti…
L’Alfa 33 (progetto 905) deve il suo nome alla 33 Stradale ed è la diretta discendente dell’ Alfasud. Infatti, dalla sua progenitrice erediterà il motore boxer e alcuni dettagli meccanici e logistici: ad esempio, la disposizione della pedaliera che sopravviverà a lungo nella casa di Arese, nonché la divisione della vasca servizi dal vano motore, che allo stesso tempo conferiva robustezza strutturale all’avantreno, mentre la stabilità del retrotreno della nuova 33 continua ad essere garantita dal parallelogramma di Watt, che equilibra l’ormai consueto assale rigido posteriore. Viene invece razionalizzato l’impianto frenante, all’epoca raffinato, ma troppo esoso e ricercato; se ne adotta uno più pratico e convenzionale: i dischi anteriori che al centro fiancheggiavano il cambio ora si trovano più comunemente alle ruote, ai dischi posteriori vengono sostituiti i più tradizionali tamburi mentre il freno a mano, che prima comandava le pinze anteriori, ora agisce sulle ganasce posteriori; una soluzione che inoltre rendeva le manutenzioni più semplici e quindi meno onerose per l’utente.
Totalmente nuovo è invece il vestito che Ermanno Cressoni confeziona per la nuova Alfa che adotta una carrozzeria più dinamica ed in linea con gli allora moderni stilemi fatti di spigoli e linee più decise e quadrate: viene mantenuta la soluzione a cuneo, ma la rivoluzionaria coda tronca e spiovente di Giugiaro ora sembra quasi il baule di una 3 volumi, nel quale però si mimetizza il moderno portellone che tanto era stato invocato sull’Alfasud. Tuttavia rimane molto simile lo schema portante della carrozzeria: ad esempio il vano della ruota di scorta è identico, come altrettanto lo è il serbatoio e la sua ubicazione, uguale anche l’apertura del cofano motore ed il pianale nonché la dislocazione della presa di rifornimento.
Analogamente a quanto successo per l’Alfa 75, nonostante l’anzianità della base meccanica, la modernità del progetto originario permise alla neonata Alfa 33 di mantenere elevata l’immagine del marchio che la distingueva.
La proverbiale tenuta di strada, la brillantezza di guida fatta di agilità e accelerazione e, non ultimo l’inconfondibile e accattivante rombo che per più di un decennio diede voce all’Alfasud, facevano dell’Alfa 33 una vettura che aveva tutte le premesse di una sportiva. Così, come negli anni settanta accadde per la vecchia gloria di Pomigliano d’Arco che ogni tanto capita di veder sfrecciare in qualche pellicola poliziesca, a partire dal 1984 anche l’Alfa 33 fu adottata dalle forze di Polizia per la squadra volante nei grandi centri urbani, sia come vettura con le insegne ufficiali che come auto civetta.
Inoltre va detto che l’Alfa 33, come in primis l’Alfasud, era una vettura che a generose prestazioni coniugava una cilindrata relativamente bassa di soli 15 cavalli fiscali, ciò la incoronò come l’Alfa per tutti che avvicinò il pubblico giovanile all’Alfa e che diffuse il virus: molti ex utenti Alfasud e Alfa 33 furono poi felici possessori delle più costose Alfa 75 e Alfa 164. Sia sotto il profilo tecnologico sia sotto quello commerciale l’Alfa 33 assieme all’Alfasud sono state importantissime per il Marchio del Biscione più di quanto si pensava allora: ebbero un ruolo fondamentale nell’alfizzazione del popolo, per cui non solo le prestazione e un indovinato design, ma anche l’abbordabile cilindrata ne consacrò il notevole successo.
L’Alfa 33, disponibile solo in versione a 5 porte (berlina e wagon), veniva assemblata a Pomigliano d’Arco e fu un grande successo: tra il 1983 e il 1995 vennero prodotti quasi un milione di esemplari, il che ne fece la seconda vettura più venduta in assoluto nella storia dell’Alfa Romeo dopo l’Alfasud (la quale superò il milione di esemplari prodotti). Nei 12 anni di produzione subì molte evoluzioni, sia tecniche che estetiche, tuttavia si può dividere la carriera del modello in 2 serie.
Al momento della presentazione (1983) era disponibile in 2 versioni, la 1.3, spinta dal 4 cilindri di 1351cm³ da 79cv alimentato da un carburatore doppio corpo (lo stesso delle Alfasud 1.3 SC) e la 1.5 Quadrifoglio Oro che però, a differenza della poderosa Alfasud Quadrifoglio Oro da 95 CV che si muoveva agilmente con i suoi due carburatori Weber bicorpo, aveva un propulsore più parsimonioso di 85 CV ma altrettanto allegro, in pratica quello che equipaggiava le vecchie (oggi introvabili e ricercate) versioni a 4 porte dell’Alfasud Super 1.5, cioè la motorizzazione di punta della vecchia gamma Super. Le due varianti della 33 differivano anche per l’allestimento interno ed esterno. La più ricca Quadrifoglio Oro era riconoscibile per la mascherina color argento metallizzato, gli ampi fascioni neri laterali, i copricerchi integrali, i profili color oro nei paraurti, gli indicatori di direzione anteriori con trasparente bianco, i rivestimenti interni in tessuto pregiato, il volante in legno e la dotazione più completa. La 1.3, priva di fascioni laterali, aveva invece la mascherina nera, coprimozzi neri sui cerchioni, i trasparenti arancioni per le frecce anteriori, il volante in plastica, rivestimenti meno pregiati e una dotazione di accessori ridotta. Una delle particolarità della prima serie consisteva nel quadro strumenti solidale con il piantone del volante regolabile ispirato vagamente alla Lamborghini Miura.Nel 1984, con la definitiva uscita di scena delle Alfasud, la gamma della 33 si arricchì delle versioni 1.3 S, 1.5 4×4, 1.5 Quadrifoglio Verde e Giardinetta.
L’Alfa 1.3 S era simile alla normale 1.3, ma equipaggiata col 1351cc dotato di quattro carburatori accoppiati, capace di erogare 86cv (ex Alfasud Ti 1.3). La 1.5 Quadrifoglio Verde (spinta dalla versione da 105cv del boxer di 1490cc, anch’esso proveniente dall’omonima versione dell’Alfasud Ti) aveva una connotazione sportiva: paraurti e fascioni verniciati, mascherina specifica, cerchi in lega, bandelle sottoporta, sedili anteriori sportivi con poggiatesta traforati. La versione 1.5 4×4 berlina derivava dalla Quadrifoglio oro ma era dotata di trazione integrale inseribile manualmente e di motore dotato, nella versione iniziale, di un solo carburatore doppio corpo con potenza di 84 CV. Importante (e finalmente di successo) anche la riuscita versione station wagon a 5 porte, denominata Giardinetta. Disegnata da Pininfarina e dotata di un allestimento simile a quello della Quadrifoglio Oro, la Giardinetta era disponibile nelle versioni a trazione anteriore o 4×4, entrambe dotate di motore da 1490 cm³ e 95 CV nella versione con due carburatori doppio corpo. Le versioni a doppia trazione della prima serie venivano carrozzate dalla Pininfarina di Torino.
Il più evidente difetto delle 33 prima serie erano i consumi, legati al profilo abbastanza corsaiolo degli alberi a camme ed al sistema di alimentazione a carburatori. Anche il livello di finitura (non esaltante), l’impianto di ventilazione (poco efficiente) ed i freni (sottodimensionati su alcune versioni) non soddisfacevano.
Il 1986 fu l’anno della maturità per la piccola Alfa 33. Nell’autunno di quell’anno un intervento di natura commerciale ne cambiò la denominazione da “Alfa 33” in “33”, che si distinguevano per pochi particolari estetici: le nuove targhette di identificazione cromati, gli indicatori di direzione anteriori (bianchi) e posteriori (con trasparente bianco e rosso anziché arancio/bianco e rosso), la nuova calandra a maglie orizzontali più larghe e con il nuovo scudetto, i paraurti ritoccati e le sottili minigonne estese a tutta la gamma. Ma le vere novità erano all’interno, che era stato completamente ridisegnato: la tormentata plancia cedette il posto ad una più convenzionale, dal design lineare interrotto solo dal compatto cupolino fisso (nella prima versione era mobile con il volante) della strumentazione, identica a quella delle serie precedenti, ma meglio leggibile.
Cambiava anche il volante, che perdeva il curioso “cuscino” centrale, mentre i rivestimenti e i pannelli porta si facevano più “importanti”. La gamma ’88, razionalizzata negli allestimenti, ma non in alcuni difetti congeniti (non era più disponibile il computer di bordo e l’Alfa Romeo Control era a richiesta, mentre il climatizzatore rimase inefficace), era composta dalle 1.3 e 1.3 S, dalla 1.5 TI da 105 cv, che sostituiva le precedenti Quadrifoglio Verde e Quadrifoglio Oro, dalla 1.5 4×4 da 105 cv e dalle nuove 1.7 Quadrifoglio Verde e 1.8 Turbodiesel, dotata non di un 4 cilindri boxer ma di un 3 cilindri in linea, prodotto dalla VM Motori, derivato dal 4 in linea dell’Alfa 90.
Nell’estate del 1986 viene prodotta un’edizione speciale, basata sulla “1.3” denominata “33 1.3 Silver” caratterizzata dal bel colore “bianco metallizzato”, speciale targhetta identificativa rossa, interni specifici color crema con cuciture fantasia centrali nei sedili, tettuccio apribile in cristallo brunito e sottile striscia in due tonalità di rosso lungo tutta la carrozzeria. La Silver monta il motore Boxer da 1351 cm³ a un carburatore doppio corpo per una potenza di 79 CV. L’estate successiva la Silver, alla cui dotazione vengono aggiunti solo gli alzacristalli elettrici anteriori di serie, beneficia di un importante evoluzione passando al propulsore della “1.3 S” ovvero dal mono ai due carburatori doppiocorpo per una potenza di 86 CV. Prodotta in edizioni limitate (solo 1700 esemplari) oggi le Silver sono molto difficili da trovare (m.dieng). Alfa 33 Silver 86cv Il my 88 rispetto a quello dell’86 era riconoscibile per il diverso logo posteriore, dove la scritta 33 perdeva la lingua blu in cui c’era scritta la motorizzazione e per la prima lamella della calandra che diventava in tinta con la vettura. La versione Giardinetta era denominata, con una nuova targhetta cromata applicata sul posteriore, Sport Wagon.
Spot dell’88 Alfa 33 SW (fino a 0,35″)
< Giulietta anni 80 | Alfa 75 > |
La concorrenza italiana e tedesca
Per l’Alfa Romeo questo segmento, che oggi chiamiamo C, era una cosa relativamente nuova, iniziata con Alfasud. L’Alfa 33 era sicuramente una concorrente più agguerrita in questo settore, dove la VW Golf già spopolava da anni col modello precedente (il primo). la Lancia Delta era già ottima allora e sarebbe presto diventata un mito nella sua fersione HF. La Fiat Ritmo era la media utilie per tutti. La 33 incarnava ottimamente l’auto per tutti ma con la sportività nel cuore. Ma la concorrenza non stava a guardare, anche se ancora non c’erano Audi e BMW di fascia medio piccola.
Alfa Romeo 33 | Fiat Ritmo 2a serie | Lancia Delta 1a serie | Volkswahen Golf II | |