Pochi di noi hanno la fortuna di essere davvero se stessi. I più fortunati perlomeno “sanno” chi sono veramente, anche se in realtà non sono se stessi. Ho sempre ammirato le persone che hanno fatto della loro passione il proprio mestiere. E’ molto difficile riuscirci, a meno che la tua passione non sia lavorare per una banca o essere un impiegato statale: studi e ti impegni per trovare un lavoro e sei a posto. Ma se volessi fare, che so, il pittore? Il mondo intero ti dirà che è una follia, morirai di fame, hai bisogno almeno di un piano B, ecc. Ma quelli che continuano e riescono a farlo sono quelli che non hanno ascoltato…
Quando mi descrivevo non molto tempo fa, la prima cosa che dicevo era “Sono un geologo italiano”. Sottolineavo quindi due caratteristiche: 1-Italiano e 2-geologo. Sarebbe da approfondire. Forse più tardi. Per ora diciamo che la geologia è quello che ho studiato, quello che ho scelto per la mia formazione superiore, perché mi sono sempre piaciute le scienze e penso ancora a me stesso un po’ come a uno scienziato, anche se ho fatto ricerca solo per pochi anni. Mi piaceva anche sottolineare che avevo lavorato sia all’università che nell’industria. Poi ho cercato di diventare insegnante di scienze. Mi piace insegnare, è stimolante il rapporto che si instaura con gli studenti. E’ una sfida aiutarli a sviluppare un modo di pensare con il proprio cervello attraverso la scienza. Ma è durato solo un anno, il mio contratto non è stato rinnovato. Forse il ruolo di insegnante non faceva proprio per me. Non ho scelto la carriera d’insegnante. Ho solo pensato che fosse la strada giusta quando sono stato costretto a cambiare dopo aver perso il mio lavoro di geologo. Quando avevo 7 o 8 anni, qualcuno mi ha regalato il piccolo chimico e all’improvviso sono rimasto affascinato da tutti quei composti, provette, serpentine. Volevo davvero sapere come funzionava il tutto. In seguito ho sviluppato una passione per l’astronomia, che alla fine si è evoluta in una passione per la geologia. Sì, tutto è iniziato presto, quindi forse ero davvero sulla strada giusta per essere davvero me stesso.
Molto tempo dopo la laurea, a 36 anni, ho scoperto le arti marziali. In realtà solo una, l’Aikido. All’epoca non avrei mai immaginato che sarei diventato cintura nera. Ma ho sorpreso me stesso e alla fine sono persino diventato un istruttore di Aikido! Sono stato appassionato di Aikido per così tanti anni che spesso ho descritto questo rapporto come vivere l’Aikido, respirare l’Aikido, “essere” Aikido. Ricordo che quando praticavo durante un periodo difficile della vita, mi rendevo conto che mi sentivo veramente me stesso solo quando ero sul tappeto. Ma i giorni più difficili dovevano ancora venire.
La scienza mi è capitata quando avevo 7 o 8 anni. L’Aikido mi ha preso attorno ai 36 anni. Ma c’è qualcosa che mi è successo anche prima: cantavo prima ancora di imparare a leggere e scrivere, mimando con il suono della mia voce le parti strumentali delle canzoni. Ricordo ancora i miei numerosi zii che commentavano divertiti le mie esibizioni. Ho conosciuto la chitarra più tardi, a 11 anni, quando mia sorella, che ne aveva 9, ha iniziato a sperimentare su di una. Cantavamo già le canzoni di un duo che all’epoca era piuttosto famoso, Wess & Dori Ghezzi. Ho pensato che sarebbe stato bello sostenere il nostro cantare con la chitarra. E così è cominciato. La mia chitarra è diventata la mia migliore amica, la mia compagna, il mio rifugio, il mio scudo, la mia ancora di salvezza. Suonavo tutti i giorni, ma non ho mai davvero osato cercare di guadagnarmici da vivere. Perché nel momento in cui l’ho pensato, sapevo già che tutte le persone intorno a me, a partire dai miei genitori e dal resto della famiglia, mi avrebbero detto che ero pazzo; e sapevo anche che avrei considerato molto attentamente i loro consigli. Ma più semplicemente non avevo le palle – né il talento – per farlo.
Ho pensato di scrivere questo pezzo dopo aver iniziato a guardare lo spettacolo “Bruce Springsteen on Broadway”. Il Boss era stato il mio preferito durante i miei studi di geologia. Suonavo e cantavo molte delle sue canzoni, strimpellando pesantemente sulla mia copia Stratocaster. Non ho mai sentito tanta intensità da nessun altro interprete. Lo spettacolo mi ha anche rivelato uno Springsteen diverso, un intrattenitore avvincente e profondo sul palco anche quando sta solo parlando. E le parole che ha detto mi hanno colpito nel profondo, proprio come molte delle sue canzoni di quando ero più giovane e che ancora oggi suscitano qualcosa di intenso quando ne ascolto o ne canto una. Il Boss ha condiviso i ricordi della sua prima chitarra, la prima volta che ne ha vista una, in TV, appesa alla spalla di un “Adone umano” – che era chiaramente un certo Presley – mentre Bruce stesso si sentiva una schifezza. Ma fu colpito. La chitarra era la cosa giusta. Ne aveva bisogno. Da lì capì cosa voleva fare nella vita, cosa voleva essere. Ha anche detto che non gli è mai piaciuta la scuola e questo dovrebbe essere un segno. Neanche a me piaceva la scuola, ma facevo quello che mi veniva detto. A gente come quella invece non si può dire come comportarsi, come vivere la propria vita. L’arte non viene fuori da questo. Bruce raccontava di non aver mai visto l’interno di una fabbrica, di non aver mai lavorato dalle nove alle cinque, cinque giorni alla settimana. Non gli piaceva. Non piaceva anche a me, ma ho dovuto farlo quando è arrivato il momento. E mentre ne sto scrivendo ora, ricordo il dolore atroce che ho provato quando ho iniziato. Pensavo fosse perché ero inesperto e temevo il fallimento. Ma probabilmente non era quello che volevo nel profondo. Ho avuto la fortuna di fare lavori che mi piacevano molto per un po’ di tempo, quindi non posso lamentarmi…
IHo pensato di scrivere questo pezzo dopo aver iniziato a guardare lo spettacolo di Bruce Springsteen a Broadway. Il Boss era stato il mio preferito mentre studiavo geologia. Suonavo e cantavo molte delle sue canzoni, strimpellando pesantemente sulla mia copia Stratocaster.
Me ne stavo seduto lì ipnotizzato mentre il Boss raccontava dei suoi primi ispiratori. Ragazzi che suonavano in band nella sua città natale sconosciuta, così vicina a New York da scomparire. Persone irresistibili e piene di vita, troppo vive e vere per sentirsi dire che si sbagliavano o che cosa avrebbero dovuto fare. Il giovane Springsteen che sognava di diventare una rockstar ammirava i rocker locali – che non si sarebbero mai avvicinati neanche lontanamente a quello che poi lui è diventato – ma quei rocker del New Jersey sapevano davvero cosa volevano essere e quale era la vita che volevano vivere – e se altri pensavano il contrario “potevano anche andare a farsi fottere”.
Questa parte mi è piaciuta molto. Liberatoria…
Non ho mai osato pensare che le persone che volevano che io fossi quello che dovevo potessero andare a farsi fottere.
In un altro splendido passo, il Boss ha parlato della magia che si crea quando si forma una vera rock band: nella vita normale, che lui definisce “il tritacarne”, 1 + 1 fa 2. Nella sua vita 1 + 1 fa 3. Per essere una vera rock band non hai bisogno dei migliori musicisti, ma di una comunità di anime che si riuniscono con lo stesso intento – e la magia avviene: 1 + 1 fa 3.
Ho avuto molte “stagioni” diverse nei miei gusti musicali, che si traducevano in quello che suonavo e cantavo. Ho avuto il periodo di Springsteen, poi ho avuto un periodo Toto, un periodo Dire Straits/Pink Floyd, un periodo U2 e un periodo Pearl Jam. Naturalmente amo i Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Stevie Ray Vaughan e amo i Pink Floyd più oggi che ieri (sono italiano al 100%, ma quando si tratta di musica non lo sono più). Quando canto gli U2 di Steve Bono, o i Pearl Jam di Eddie Vedder, sento un’intensità irresistibile, paragonabile a quella che sentivo quando cantavo Springsteen in passato. Ma lo chiamiamo “The Boss” per un motivo. Anche solo perché era lì prima degli altri.
E Bruce Springsteen l’ha fatto ancora una volta per me nel suo recente spettacolo a Broadway: ha raggiunto il mio essere più profondo, probabilmente toccando qualche nervo in comune, qualche flebile filo conduttore che ci lega attraverso una sottilissima ascendenza comune nella madre di origine italiana, nel suo precoce amore per la musica, per le performance e per la chitarra. Ma questo è tutto. Lui è il Boss e io sono un “application manager”. Questo perché non ho mai osato nemmeno provare quello che ha fatto lui? Non lo sapremo mai. Bruce ha detto che sarebbe stato impossibile che qualcuno avesse notato un ragazzo che suonava la chitarra negli anni ’70 a Freehold, New Jersey. Qualcuno ne avrebbe notato uno che suonava a Campobasso, nel Molise che non esiste? Ancora peggio… Così sono andato a scuola, all’università, e non ho mai osato pensare di diventare un musicista, non ho mai nemmeno tentato di lavorarci su.
Bruce ha detto che sarebbe stato impossibile che qualcuno avesse notato un ragazzo che suonava la chitarra negli anni ’70 a Freehold, New Jersey. Qualcuno ne avrebbe notato uno che suonava a Campobasso, nel Molise che non esiste? Ancora peggio…
Più tardi ho conosciuto la mia compagna, ho trovato un buon lavoro, mi sono sposato, abbiamo avuto un figlio. Sono diventato l’uomo più felice del pianeta oggetto dei miei studi. Non era una vita ordinaria: avevo il lavoro per cui avevo studiato, ho incontrato la mia ragazza come avevo sognato, a New York City – in realtà era Jersey City, Bruce! – Ci siamo baciati davanti allo skyline di New York sotto la luna di dicembre. Ci siamo sposati nel municipio di New York qualche anno dopo e dopo la nascita di nostro figlio lo abbiamo portato a New York all’età di 7 mesi. Non suonavo più la chitarra come una volta, non ne avevo più il tempo. Ero tutto preso dalla geologia e dall’Aikido. Ma a volte mi immaginavo su un palco, con una band che non ho mai avuto, a suonare delle cover davanti a un piccolo pubblico. Pensavo solo che sarebbe stato bello aver raggiunto almeno questo. Quando mi è capitato di vedere qualcuno suonare dal vivo o di sentire parlare di un amico che lo faceva, provavo un po’ di invidia. Ero piuttosto dispiaciuto di non averci nemmeno mai provato…
Durante quei felici primi giorni d’estate a New York con il nostro piccolo, è successo qualcosa che un giorno mi avrebbe fatto pensare. Eravamo a Washington Square, un posto che amiamo molto. Stavo scattando un paio di foto di mia moglie e di nostro figlio vicino a una fontana. Ho notato alcuni ragazzi che suonavano la chitarra. Forse spinto dalla mia stessa attenzione verso di loro, uno di essi mi si è avvicinato e si è presentato come Mike Scala, un giovane musicista locale (chiaramente di origini italiane), con alcuni amici australiani. Avrebbero suonato in un posto lì vicino quella sera stessa e stavano pubblicizzando l’evento suonando per strada nel quartiere. Gli ho spiegato che ci sarebbe piaciuto molto, ma con il piccolo sarebbe stato impossibile, visto che eravamo a casa delle mie zie nel Queens. Così ci hanno suonato una canzone e Mike Scala mi ha regalato il suo plettro quando gli ho detto che anch’io suonavo la chitarra, anche se solo per divertimento. Ho comprato il loro CD e a volte lo ascolto ancora ricordando quell’incontro. Come mi manca New York…
Sei anni dopo ho perso il lavoro ed è iniziato il periodo più buio della mia vita. A cinquant’anni in questo paese sei troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per essere assunto di nuovo. Durante la crisi che ha colpito il mondo intero a partire da quando è nato mio figlio, ho sentito storie di persone sulla cinquantina che hanno perso il lavoro e non sono state in grado di riciclarsi, di trovare altri lavori (chi vuole assumere qualcuno a quell’età?). Almeno non nel mio paese. Pensavo fosse un incubo. Alcuni si sono suicidati. E poi è successo a me. Proprio a me! Non riesco nemmeno a pensare a cosa avremmo fatto se le nostre famiglie non fossero state lì ad aiutarci. Poco dopo mi è stato offerto di unirmi a una cover band che suonava della musica rock come quella che piaceva a me. Pensavo di non averne il tempo, che non fosse una buona idea, ero tutto per l’Aikido, la chitarra non era più tutto per me.
Mi sbagliavo. Ancora una volta…
Sei anni dopo ho perso il lavoro ed è iniziato il periodo più buio della mia vita. A cinquant’anni nel mio Paese sei troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per essere assunto di nuovo.
Mia moglie ha insistito perché ci provassi. Fu un crescendo di emozioni all’avvicinarsi del giorno delle prime prove. Cominciai a rivedere alcuni riff, ad ascoltare canzoni che non avevo mai suonato prima per essere di qualche utilità per gli altri attempati con la passione per la musica. Mi sono riscoperto. Suonare con quei “ragazzi” non è stato solo un sogno di gioventù che si è avverato. Essere di nuovo in contatto con il vero me stesso mi ha aiutato a non perdere la testa in quel periodo buio. Dopo tutti quegli anni mi sono ritrovato su un palco, a cantare e a suonare assoli che avevo solo sognato di suonare in pubblico. Era divertente, e sentivo una sensazione di libertà. E’ ancora così. È stata una cosa stupida, immatura? Davvero? Un uomo di famiglia sulla cinquantina, un padre, un ex geologo, che una volta a settimana salta la cena a casa per andare a provare con una band di vecchi strimpellatori come se fossimo ancora adolescenti? No. Non credo che ci stiamo comportando come adolescenti. Sappiamo esattamente chi siamo, qual è il nostro posto e cosa facciamo. Non siamo degli immaturi. Solo non abbiamo perso la capacità di sognare dopo tutto quello che è successo a ciascuno di noi. Soprattutto a me, oserei dire. E nessuno sogna di diventare un musicista mentre si avvicina all’età della pensione…
Ho contattato Mike Scala attraverso i social network. Sta andando alla grande, è diventato qualcuno. Ha seguito i suoi sogni e li sta realizzando. Lo ammiro per questo. Gli ho ricordato il nostro incontro a Washington Square e gli ho detto che stavo suonando di nuovo… usando il suo plettro. Ci terremo in contatto e gli auguro il meglio. È un bravo ragazzo italoamericano. Sono sicuro che ha mandato a farsi fottere tutti quelli che gli hanno detto che sbagliava a fare quello che sta facendo. Io non l’ho mai fatto ma ho comunque la fortuna di aver realizzato qualcosa che sognavo: fare lo scienziato per un po’, usare le mie conoscenze scientifiche per guadagnarmi da vivere, iniziare il rapporto con la donna che amo in modo così spettacolare, avere un figlio fantastico. Poi è successo qualcosa di terribile, ok, ma ci sono cose molto più terribili nella vita. Siamo in salute e ci amiamo ancora, anche se facciamo fatica ogni giorno. Ho ritrovato la musica, ho riscoperto il mio amore per la chitarra, il mio vero amore (naturalmente amo mio figlio e mia moglie più di ogni altra cosa al mondo, ma sapete cosa intendo!) Oggi so cosa sono veramente nel profondo. Sì, sono un geologo, sono diventato un application manager e ancora oggi sono un istruttore di Aikido; soprattutto sono un padre e un marito, ma se fossi cresciuto davvero libero di diventare quello che volevo diventare, avrei dovuto suonare la chitarra e occuparmi di musica. Non l’ho fatto e non me ne pento, considerato quello che ho ottenuto comunque. È solo triste riconoscere che probabilmente sono uno dei tanti che si sono conformati al pensiero comune e hanno fatto quello che ci si aspettava da loro. Almeno fino a un certo punto.
Non credo che ci stiamo comportando come adolescenti. Sappiamo esattamente chi siamo, qual è il nostro posto e cosa facciamo. Non siamo immaturi. Solo non abbiamo perso la capacità di sognare dopo tutto quello che è successo a ciascuno di noi. Soprattutto a me, oserei dire.
Perdere il lavoro è stato un incubo diventato realtà. Ma sono ancora vivo e vegeto e a questo punto è già qualcosa. Questo evento ha innescato qualcos’altro, qualcosa che mi ha fatto riscoprire il mio vero essere. Non ho mai osato perseguire la musica quando ero giovane, quando era il momento di rischiare e di vivere la vita completamente e di seguire la strada che volevo scegliere, non importa cosa avrebbero detto gli altri. Non ho avuto il coraggio di farlo e oggi sono cosciente che le cose stanno così, che se ne avessi avuto la possibilità quello è ciò che avrei voluto fare. Non ne ho avuto il coraggio allora e non saprò mai cosa sarebbe successo. Ma almeno oggi, meglio tardi che mai, suonare con i miei compagni di mezza età mi ha mantenuto sano di mente e continuerà a farlo, perché ora che ho finalmente ritrovato il mio vero essere, non ho assolutamente intenzione di fermarmi.
E se c’è qualcuno là fuori che pensa che questo non sia appropriato, che non sia un comportamento accettabile per un padre di famiglia con delle responsabilità, un application manager con un background scientifico, un uomo maturo e un marito che non dovrebbe suonare assoli di chitarra come un adolescente, beh, a questo punto della mia vita credo fermamente che anche io debba finalmente dire che possono davvero andare anche a farsi fottere!