Aikido e chitarra

dimarzio_powered_b&wLe due mie più grandi passioni attuali avranno pure qualcosa in comune visto che albergano in una stessa persona? Esistono esempi ben più brillanti di me di aikidoka-chitarristi, quali Steven Seagal, William Gleason e sicuramente chissà quanti altri. Chitarristi-aikidoka? Non ne sono a conoscenza ma immagino che qualche buon chitarrista che si sia cimentato nella via dell’Aiki ci sia stato. Forse poi smette per paura di danneggiarsi le articolazioni tanto utili ai virtuosismi del proprio strumento. Ma qui intervengo io e dico: e perché? Aikido dovrebbe migliorare le condizioni delle nostre articolazioni a meno di non usare le nostre amate leve in modo improprio (a proposito di leve, molte chitarre, tipo la Fender Stratocaster, hanno la leva del tremolo – farci nikkyo è un po’ difficile ma già abbiamo trovato un punto in comune).

Ripartiamo da qui: una volta, quando ero 1° kyu, incontrai una persona che mi disse “anch’io sono primo kyu di Aikido, ma ho smesso anni fa: due spalle lussate” – e lo disse quasi con orgoglio. Gli chiesi “ma che razza di Aikido facevi?”. Ora mi vanto un po’, dai: ad oggi ho all’attivo più di 15 anni di Aikido senza il minimo infortunio o problema alle articolazioni dovuto alla pratica. Anzi, dirò di più: sono certo che l’assenza di miei problemi articolari sia dovuta perlopiù alla pratica dell’Aikido – se qualche problema ce l’ho è precedente all’Aikido o dovuto a miei errori durante i primi anni di pratica, quando certe cose non le sapevo ancora. Questo mi ha permesso di riprendere in mano la chitarra con soddisfazione dopo anni di inattività chitarristica e di attività aikidoistica. Oggi le due cose corrono insieme…

11406107_10203008090882671_4829292903315749676_oQuando insegno Aikido amo riferirmi (sicuramente senza averne le basi e senza vera cognizione di causa) alle tecniche che fanno male, ma funzionano una meraviglia se voglio distruggere un avversario, come tecniche – semmai – di Aikijutsu. Ripeto: io non ho mai studiato Aikijutsu ma insisto sempre, e molto, sulla differenza tra Budo e Bujutsu. Il secondo serve a distruggere l’avversario in guerra, a difendersi in battaglia, per la strada, dove vi pare; il primo no: serve a costruire persone migliori, sia fisicamente che non ed è derivato dal secondo. Purtroppo noi abbiamo tradotto entrambi i termini giapponesi in “arti marziali” e ciò ha generato e genererà sempre molta confusione. Quando introduco dei nuovi praticanti alle prime leve articolari o proiezioni, faccio vedere come potrebbero far male se eseguite senza rispettare il movimento naturale a cui le articolazioni sono preposte. In quel modo tutto sarebbe più facile: grazie al dolore provocato è più semplice poi prendere i controllo del partner e potremmo mostrare una tecnica molto “efficace” secondo l’accezione che i più si aspettano. Ma cosa succede dopo migliaia di ripetizioni così fatte durante anni ed anni di pratica? Non credo ci ritroveremmo articolazioni più in salute di prima. Ricordiamoci che se le articolazioni non vengono ben utilizzate invecchiano rapidamente limitando sempre di più l’estensione della loro azione. Io insisto a seguire un insegnante straniero di Aikido che ha studiato pure osteopatia, esattamente per questo motivo. Ci tengo alla mia salute – devo suonare pure la chitarra! Beh, c’è altro in quello che mi piace di questo insegnante ma secondo me il messaggio più importante è quello di preservare il partner. E non è questo il punto fondamentale dell’Aikido? Annullare un attacco senza danneggiare l’aggressore? Viene da chiedersi come mai, appena cambio tatami, i praticanti cercano di farmi male per portarmi giù, praticamente ovunque. Forse alla gente piace sentire i dolore quando si allena, fa sentire più duri, marziali? Non so. Non dico che il dolore non sia necessario alla pratica per poter crescere, ma dipende da che tipo di dolore.

aikido-homeInsomma, tutto questo discorso l’ho fatto per dire come e perché la pratica dell’Aikido non mi preoccupa minimamente per quel che riguarda la salvaguardia delle mie articolazioni rispetto alla ripresa attività chitarristica. Anzi, aiuta eccome! Inoltre, qualunque musicista (non io, sono strimpellatore) sa benissimo che prima di far venire fuori dell’arte dal propri strumenti bisogna sudare costantemente ogni giorno nello studio della tecnica. Esercizi apparentemente con niente a che fare con una esibizione artistica vanno costantemente applicati, così come ogni giorno ci esercitiamo noi sul tatami in cose apparentemente inutili. In qualunque arte marziale, che sia Budo o Bujutsu, agli inizi bisogna imparare dei movimenti, delle forme (kata) a volte apparentemente sterili. Bisogna però ricordare che il sistema dei gradi del Budo prevede un certo numero di livelli, prima di conseguire la cintura nera, che prevedono il mero studio della tecnica. Si comincia a studiare davvero il Budo da quando si ottiene la cintura nera e si diventa finalmente allievi. Da qual momento si dovrebbe avere un bagaglio tecnico tale da poter dimenticare durante la pratica e cominciare a sperimentare davvero cosa sia il Budo.

Se studio un assolo di chitarra, un assolo famoso come quello che sto ascoltando per caso mentre scrivo (Stairway to Heaven – Jimmy Page dei Led Zeppelin), all’inizio dovrò prima capire dove mettere le dita sulla tastiera in ogni sezione dell’assolo. Tutto quello che tenterò di fare lo farò piano piano, per abituare il corpo, le dita, ai nuovi movimenti, lentamente, lentamente ripetendolo più e più volte, sezione per sezione. Mi ricorda molto la pratica dell’Aikido durante una tecnica poco familiare magari. Alcune scuole dividono la pratica in Kihon (si esegue la tecnica lentamente, analizzando i movimenti punto per punto) e Kinonagare (la tecnica scorre fluida dopo che si sono interiorizzati i movimenti del Kihon). Anche chi non usa queste definizioni, comunque necessita di praticare lentamente per abituare i corpo a movimenti nuovi. La velocità arriverà col tempo, ma non è quella la cosa essenziale. Come negli assoli di chitarra o nell’esecuzione di qualunque altro strumento, non è la mera velocità che fa del pezzo qualcosa che tocchi l’anima. A volte si può fare con poche note ben “posizionate”, eseguite col giusto effetto e passione. Lo stesso vale per le tecniche di Aikido o del Budo in genere. Quando il corpo ha interiorizzato i movimenti e finalmente ci vengono, per così dire, “naturali”, possiamo eseguirli senza pensare: quello è il momento in cui pian piano possiamo metterci qualcosa di nostro, una sorta di interpretazione, di variazione sul tema che è possibile sia con l’Aikido che con la chitarra: non devo rifare l’assolo di musica-pasq_guit06Stairway to Heaven così come è, sia perché non sono Jimmy Page (e non solo perché lui è certamente più bravo di me, ma semplicemente perché siamo due persone diverse), sia perché sarebbe solo la copia (facile che sia pure quella brutta) dell’originale. Poi l’assolo lo ha inventato lui, io lo posso ricopiare passo passo e già avrei ottenuto un buon risultato (mica è facile, eh!); mi divertirei moltissimo già così. Però poi di solito succede qualcosa a forza di suonarlo. Capita di alterarlo leggermente, di aggiungerci qualcosa che ci viene più spontaneo, qualcosa di nostro. Al limite potremmo suonare tutto un altro assolo che poco ricorda l’originale. Certo, per fare qualcosa che tocchi i cuori delle persone ai livelli di quello originale ci vuole un “quel qualcosa” che pochi hanno (quando lo ascolto ancora oggi inevitabilmente mi si accappona la pelle, sento l’energia scorrermi nel corpo e mi si inumidiscono gli occhi). Inevitabilmente. E non è impossibile che anche un chitarrista come me riesca e “rifare” quell’assolo generando sensazioni quasi paragonabili in chi lo ascolta (ed in me che lo suono).

Provate a cambiare il soggetto del paragrafo precedente con l’Aikido, mettendo una qualunque tecnica eseguita in modo sublime da Morirei Ueshiba, Seigo Yamaguchi o qualunque altro grande dell’Aikido che vi piaccia. Bisogna studiarla pian piano magari per mesi e mesi se non anni, prima di ottenere qualcosa di confrontabile. Non dobbiamo rifarla identica, nessuno di noi è Ueshiba o Yamaguchi e non per questo ci si può impedire di praticare. Nessuno di noi, lasciatemelo dire, è all’altezza di quei due ma possiamo imparare da loro e da chi li ha conosciuti meglio di noi a fare le cose in un certo modo, dapprima imitandoli – è necessario per apprendere la tecnica. Poi però a forza di eseguirli, i movimenti dovrebbero diventare naturali, ossia dovremmo eseguirli in un modo che ci è più proprio. Altrimenti saremmo solo gli imitatori, degli ottimi esecutori – va anche bene – ma non andremmo mai oltre, a scoprire il vero significato profondo della tecnica, quello che emerge quando la ripetiamo per mezzora senza pensare, quando sembra non abbiamo più fiato per andare avanti ed invece siamo ancora lì, quando abbiamo avuto una giornata pessima e siamo arrabbiati e frustrati e riusciamo a mettere questa energia nella tecnica trasformandola da negativa in positiva. Come? Senza che il partner si accorga (sul proprio corpo!) che si trattava di energia negativa. Mettiamo nella tecnica tutta la rabbia e la frustrazione, trasformiamola in energia durante l’esecuzione, ma solo per rendere la nostra tecnica più passionale, viva, sentita. Il partner deve sentire solo tanta energia, una bella sensazione, tale da chiedere di farlo ancora. Difficile, eh? Sì. Non sono parole mie, l’insegnante a cui mi riferivo continua a ripeterlo in ogni occasione. Bisogna allenarsi tanto per arrivare a poter fare questo. Finché siamo presi nel pensare a dove mettere mani e piedi e a come non piegare la schiena per non danneggiarla, non ci si riesce! Quindi siamo calmi: inutile cercare di inventarsi un assolo live quando ancora non sappiamo bene su che scale va costruito e dove esse sono sulla tastiera della chitarra. Finiremmo per fare un figuraccia, così come sul tatami potremmo far male a qualcuno.

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Qualche sera fa ho ripreso a suonare col mio gruppo dopo la pausa estiva, esattamente il giorno dopo la ripresa della attività aikidoistica. Mi prudevano le mani, non vedevo l’ora di provare con loro i nuovi brani che ci eravamo studiati durante l’estate. Il problema è che non tutti si erano applicati come me e quindi non abbiamo potuto suonare molto di nuovo. C’è stata frustrazione in chi si era applicato durante le vacanze per poi arrivare preparato alla ripresa. La stessa di quando ti ritrovi dopo un lungo viaggio per arrivare ad uno stage a praticare con una timorosa cintura bianca che non sa bene cosa deve fare. Che fai? La massacri con la tua splendida tecnica da 3° dan o la aiuti a progredire?

Alla fine abbiamo dovuto suonare alcuni brani della vecchia scaletta, tanto per riprendere le prove. Finito il tempo, abbiamo concluso col nostro pezzo forte (che è anche il mio). Beh… ho pensato all’Aikido. Ci ho messo dentro tutta la mia frustrazione anche un po’ di rabbia. Quando è arrivato l’assolo finale mi sono scatenato. Non ho spaccato la chitarra sull’amplificatore – ho solo quelli – ma ci ho messo dentro tutta l’energia che avevo, non pensavo, facevo andare le dita quasi con rabbia. E’ stata la mia migliore esecuzione di quell’assolo con loro. Mi hanno detto “Bravo! Tu e il batterista vi siete caricati a vicenda”. Esatto. Proprio come quando trovi la giusta sincronia col partner sul tatami e le tecniche vengono belle, anche da vedere dal di fuori. Anche se sei arrabbiato e frustrato, invece di spaccare i polsi al partner cerchi la sintonia con lui per non sfogare le tue sensazioni negative e costruire qualcosa di positivo.

E’ musica per l’Aikido!