Da giovane non mi sono mai appassionato alle arti marziali. Un tempo mi aveva sfiorato l’idea di imparare il Kung-fu, poi il Karate, ma non ho mai intrapreso una Via, neanche mai provato. Anche quando scoprii che un amico, il portiere dello stabile dove abitavo allora, praticava Aikido e Karate, non ne fui particolarmente interessato. Poi l’amico aikidoka cominciò ad insegnare ed io, ormai 36enne, iniziai ad allenarmi con lui nell’ambito della ADO/UISP. Si trattava di Valter Francia. Lo conoscevo da quasi 10 anni, proveniva dal dojo di Roberto Martucci. Quando provai l’Aikido, il 1 aprile 2001 (lo ricordo bene perché sembrava uno scherzo) rimasi letteralmente fulminato. Non ho smesso per quasi vent’anni. Poi la vita è cambiata a tal punto che qualcosa si è rotto e mi sono fermato. Aikido era diventato parte integrante del mio essere, ragione di vita. All’inizio neanche credevo sarebbe stato possibile arrivare alla cintura nera, vista l’età “avanzata” che avevo; e invece addirittura ho avuto un mio dojo nella zona nord di Roma! Ho seguito principalmente Philippe Gouttard anche all’estero quando potevo. Il suo approccio “viscerale” stimolava i miei lati più sopiti. L’allenamento è sempre molto intenso, ai limiti psicofisici di ognuno, poco legato alle modalità di esecuzione delle tecniche, ma oserei dire, passionale, sofferto, profondamente “sentito”. Per una persona naturalmente razionale come me era quanto di meglio ci potesse essere. Aikido è una continua lotta contro se stessi, contro i propri limiti, le proprie paure. Non potevo farne a meno. Fino a un certo momento…
Dopo circa 5 anni di fermo ho ripreso ad allenarmi per introdurre mio figlio alla pratica. Non ho un mio dojo, un mio corso, non reggerei più il peso di tutto ciò che comporta. Non devo seguire nessuno, aggiornarmi, fare esami, stage, mantenere qualifiche. Andiamo in un dojo di paese, molto bello, con un insegnante schietto e fisicamente preparato, che conoscevo da anni, l’unico al di fuori della “linea” che seguivo con cui mi trovassi davvero bene. Mi ospita volentieri quando ho voglia ed è contentissimo di come mio figlio recepisce la cosa. Ed il suo approccio è l’ideale per mio lui.
L’Aikido fa parte, assieme al Judo e al Karatedo, dei cosiddetti Budo moderni. Per Budo si intende di solito “arte marziale”. Bisogna precisare che il carattere con cui in giapponese si rappresenta la parola Bu, ossia marziale o guerriero, è formato dal simbolo di una lancia e un altro che significa arrestare, o fermare. In pratica, l’etimologia di Bu riporterebbe a qualcosa come “usare la lancia, o delle armi in genere, per fermare un conflitto”. Il tutto può essere inteso forse anche come fermare un avversario in combattimento. Ma questo è sicuramente vero quando questi stessi caratteri entrano nella parola Bujutsu. Mentre Do significa via, percorso, Jutsu rappresenta la tecnica o l’arte. Il Bujutsu era l’insieme delle tecniche di vero e proprio combattimento utilizzate sul campo di battaglia dai guerrieri giapponesi, i Bushi. Esse miravano all’annientamente più rapido possibile di un avversario.
Il Budo nacque in seguito, alla fine delle guerre civili in Giappone, dopo il 1600, quando non era più possibile praticare costantemente il Bujutsu visto che si era in un periodo di pace. Fu allora che nacquero le scuole (Ryu), con l’intento di preservare l’enorme bagaglio di conoscenze acquisite dai Samurai ed affinate in secoli di guerre. Col tempo, il Bujutsu si fuse con la dottrina Zen e gradualmente divenne Budo. Nel 1868 il Giappone fu forzatamente occidentalizzato e costretto ai rapporti economici col resto del mondo. Finiva così l’epoca dei Samurai e del Giappone tradizionale. Non molto più tardi sarebbero nati i fondatori del Budo moderno, in cui la particella Do, acquisisce una fondamentale importanza: nella visione dei tre grandi, Jigoro Kano per il Judo, Jichin Funakoshi per il Karatedo, e Morihei Ueshiba per l’Aikido, gli stessi sistemi che in passato erano usati per eliminare un nemico, venivano trasformati in qualcosa che invece potesse fare del bene. E’ il concetto della spada che può dare sia la vita che la morte: l’aggressività insita nell’uomo può portare alle guerre, ai combattimenti; se ben incanalata nella giusta via, può invece portare a qualcosa di ben più costruttivo, ad un accrescimento piscofisico e spirituale.
Questa è la più moderna accezione di Budo, parola che può essere tradotta in arte marziale o meglio via marziale; letteralmente, significa via della guerra, ma la sua etimologia è più vicina a “via della risoluzione del conflitto”. Infatti l’efficacia del Budo starebbe nel costruire persone migliori, sia nel fisico, che nella mente, che nello spirito, piuttosto che nel distruggere un avvversario. Il Budo è rivolto a sconfiggere un “nemico interno”, che limita il pieno sviluppo del Sé, piuttosto che un avversario esterno da eliminare. Le arti marziali sono invece spesso viste come scuole di violenza, di combattimento, atte a vincere in un conflitto. Forse la trasformazione in sport di Judo e Karatedo e l’esasperazione cinematografica hanno qualcosa a che fare con questo. L’Aikido non è mai diventato uno sport agonistico ed ha perciò conservato meglio le caratteristiche originali di mezzo per migliorare le persone. Judo e Karatedo sono ottime “vie”, ma bisogna fare attenzione a non porre troppa enfasi sulla vittoria. Ciò è impossibile nell’Aikido, sebbene oggi, anche a causa della troppa importanza data ai gradi, sia comunque difficile tenere a freno l’ego dei praticanti, che spesso cresce a dismisura, invece di diminuire con la pratica, che a sua volta diminuisce di intensità e sincerità.