Tra gli anni 60 e 70 avere l’auto simboleggiava l’età adulta, l’indipendenza economica e la libertà di spostarsi autonomamente. Ma era anche una novità: da privilegio per pochi è poi è diventata una possibilità per tutti. Cresciuto in quel periodo, ho sempre notato quale auto comprassero gli zii. Come per altre pagine di questo sito, le diverse auto esistite nelle vaie epoche sono per me un modo per ricordare i tempi andati.
La prima auto su cui ricordo di essere stato portato in giro da piccolo era la Fiat 500 bianca di un coppia di zii: lei una zia materna, non ha mai guidato, ma il mio zio acquisito lavorava per un famoso conessionario Jaguar ed ha avuto diverse 500 prima di passare ad auto più grandi. Ricordo una delle prime, bianca, con cui mi portavano al mare, e una delle ultime, una 500 L blu, che ho accidentalmente spostato mentre era parcheggiata in salita ed io ero seduto al volante sognandomi nel traffico: ho schiacciato la frizione, ma il freno a mano non era tirato a fondo; l’auto ha cominciato a muoversi lentamente all’indietro ed io mi sono buttato giù a schiacciare il freno. Con mia grande sorpresa la 500 si era fermata. Ma poi ho guardato dietro e ho visto mio padre che la teneva ferma con due mani.
Uno zio materno, con i primi stipendi di insegnante di scuola, realizzò il sogno di farsi la macchina: una splendida Fiat 850 Sport nera. Un coupé ancora oggi accattivante. La 850 Coupé del 1965 era un progetto guidato da Dante Giacosa che aveva dato disposizioni affinché fosse mantenuta l’impostazione generale, il pianale e buona parte della meccanica, impiegati per il modello “850 Berlina” (che a me non era mai piaciuta); si trattava, quindi, di operare modifiche, entro limiti rigidamente stabiliti. Il Centro Stile Fiat, guidato da Mario Boano, concretò una linea sobria ed equilibrata, riuscendo a ottenere un aspetto elegante e sportivo, pur adottando l’innovazione aerodinamica della forma K, mantenendo un abitacolo per 4 persone e un bagagliaio anteriore di sufficiente capienza. Unico neo l’altezza della calandra, dovuta all’impossibilità di sistemare orizzontalmente la ruota di scorta, che però fu visivamente attenuata da fari maggiorati.
Particolarmente curati gli interni con finiture in legno sul cruscotto, quadro strumenti di tipo racing a due tondi di grosso diametro che richiamava quello delle Ferrari anni cinquanta e sedili rivestiti in sky di tipo sportivo, ma anche abbastanza comode per i lunghi viaggi e con schienali reclinabili in entrambi i sensi per l’accesso al divanetto posteriore.
A confortare il felice risultato estetico-ergonomico, fu la buona riuscita della trasformazione meccanica fatta di molte piccole modifiche, cominciando dalle masse in movimento, migliorate dall’impianto frenante con dischi Bendix all’anteriore e da pneumatici di maggior diametro. Il piantone di sterzo venne dotato di giunto elastico e l’impianto elettrico completamente rifatto e ammodernato. Grande attenzione fu riservata al propulsore (Tipo 100 GC 000) con l’aumento di diametro delle valvole di aspirazione e scarico, dotate anche di doppia molla di ritorno, e con le varianti alle bielle, al profilo di cielo dei pistoni e all’albero di distribuzione, ora comandato da catena a doppia pista. Il sistema di alimentazione fu migliorato con l’adozione di un nuovo collettore di aspirazione e del carburatore Weber a doppio corpo con dispositivo superalimentatore. L’impianto di scarico vide l’eliminazione del collettore, sostituito da 4 condotti separati che convogliano i gas direttamente al silenziatore.
Ricordo che eravamo in giro per Roma con due giovani zii materni, di cui uno, il proprietario, alla guida e mio padre seduto dietro con me: per guardare una bella ragazza mio zio ha preso un palo! Purtroppo, dopo qualche anno la bella 850 Sport subì gravi danni mentre era in prestito ad uno zio acquisito che aveva la sua Alfa GT dal meccanico: ha investito un toro e si è ribaltato più volte con la 850 Sport del futuro cognato. La fece riparare a sue spese ovviamente, ma non è stata più la stessa.
L’altro zio materno, diversi anni dopo, ricordo avesse una Fiat 500 molto particolare, una 500 “My Car” grigio metallizzato, senza tettuccio apribile e con mascherina a griglia davanti. Era una serie speciale, sviluppata dalla carrozzeria vercellese Francis Lombardi tra il 1967 e il 1971. L’elemento più innovativo di questa vettura è in primis il muso, con calandra di diversa foggia e griglia in zama. Altra caratteristica peculiare è, nella versione con tetto chiuso, la conformazione del tetto che, con due nervature longitudinali (presenti solo da una certa data in poi) e un piccolo spoiler, conferiva un’immagine di sportività e ricercatezza, ne migliorava l’abitabilità e l’insonorizzazione (grazie al rivestimento interno fonoassorbente).
Putroppo gli fu rubata e prese da un mio zio paterno un’altra auto particolare: una Autobianchi Primula Coupé beige 2a serie. Molto bella per i tempi, rara e caratteristica, con le pinne caratteristiche dei fanali posteriori e la leva del cambio al volante. La Primula fu la prima auto del gruppo Fiat a sperimentare la trazione anteriore e motore trasversale. Il suo compito, quasi si trattasse di una vettura da laboratorio, era quello di legittimare questo tipo di soluzione tecnica, mal vista nel gruppo Fiat. L’ostracismo era dovuto ad un incidente di collaudo, verificatosi nel 1932, durante il quale prese fuoco il primo prototipo di vettura FIAT a trazione anteriore, coinvolgendo personalmente il senatore Giovanni Agnelli.
All’inizio degli anni sessanta, tuttavia, Oreste Lardone e Dante Giacosa riuscirono a convincere i vertici della casa a sperimentare nuovamente una soluzione tecnica che, su automobili di piccola e media taglia, dava vantaggi indubitabili. Nessuno però se la sentì di utilizzare il marchio FIAT per questa sperimentazione, preferendo il “collaterale” Autobianchi: iniziò quindi nel 1961 quello che in codice era il “Progetto 109”. Utilizzando un nuovo pianale e sistemando in posizione anteriore trasversale il 4 cilindri in linea 1221 cm³ a carburatore della 1100 D, accoppiato stavolta ad un cambio con sincronizzatore anche per la prima velocità, nacque nel 1964 la Primula a trazione anteriore.
A me piaceva molto e trovavo simpatico che venissi scarrozzato in Primula da uno zio paterno prima e da uno zio materno poi.
Parecchi anni dopo lo ricordo con una bella Lancia Fulvia bianca con cui trainava la roulotte per portare i figli gemelli al campeggio, passando spesso a trovarci lungo il tragitto. Qualche anno più tardi mi riporatava a casa con la Fulvia la sera, dopo avermi ospitato a cena mentre ero una matricola universitaria e stavo spesso con lui e i miei cugini.
Lo zio paterno che aveva venduto la Primula a quello materno aveva poi comprato una Citroen Dyane arancione. La sua forma strana, che oggi mi fa tanta simpatia come la sua antesignana 2CV, all’epoca mi sembrava ridicola. L’abbiamo presa in prestito tante volte per i viaggi, col suo volante ad una razza, con la sua strana leva del cambio e quella del freno a mano inserite nel cruscotto e le sue sospensioni esageratamente molleggianti che la facevano inclinare paurosamente ad ogni curva. Ricordo che mio padre voleva comprarla anche lui, ma cambiò idea quando vide che io la presi malissimo e scoppiai a piangere…
L’altro zio paterno aveva anche lui una Citroen all’epoca, una pratica e simpatica Amì 8 blu, anch’essa molleggiata, volante a una razza e con cambio e freno a mano al cruscotto. Era l’evoluzione della Ami 6, lanciata da Citroen come risposta alla Renault 6 (evoluzuine della R4) che era in diretta concorrenza con la Dyane. Rispetto alla Ami 6 si trattò solo di rivisitare il modello già esistente per renderlo ancor più pratico e fruibile. Il reparto design, diretto da Robert Opron, mise mano all’ultima fatica di Flaminio Bertoni (scomparso da pochi anni, nel 1964) con l’idea di ridisegnare specialmente la parte posteriore della vettura, con portellone posteriore che però rimase agganciato sotto il lunotto.
Lo zio passà poi ad una regale e spaziosa Opel Kadett B 1100 giallo oro (Sahara Gold). Era una bella edizione speciale Holiday prodotta solo tra l’autunno del 1973 alla primavera del 1974 per festeggiare il 20 anniversario di produzione della Kadett nello stabilimento di Brochum.
Frutto del progetto TL1090, avviato pochi anni prima dalla Opel, la Kadett B fu progettata pensando ad eliminare quei difetti della Kadett A come ad esempio l’abitabiità e le prestazioni migliorabili. Per questo, oltre ad utilizzare un pianale allungato, venne posta una particolare attenzione nella progettazione del motore, che venne rivisto e sottoposto a profondi aggiornamenti in maniera tale da ottenere un soddisfacente aumento di prestazioni, ma anche un soddisfacente calo dei consumi.
Con la splendida Kadett di mio zio ho tanti bei ricordi, tra gli altri quelle delle uscite a pesca lungo il fiume con lui, mio padre, mia sorella e nostro cugino. Non che ci piacesse la pesca ma era una scusa per stare all’aria aperta.
Negli anni 80 il primo a rinnovare fu lo zio delle 500: dopo essere passato ad una Mini 90 per qualche anno, decise di avere più spazio: una splendida Renault 14, una delle mie auto preferite dell’epoca assieme alla Ritmo Super. La stessa R14 che poi vendette a mio padre un paio d’anni dopo, per passare alla berlina Renault 9. Si affezionò al marchio e aggiornò con la Renaut 19, 19 Chamade (che anche passò a mio padre) e poi la Megane 1a serie che gli rubarono; passò poi a Ford Focus ed infine, oggi, di nuovo Renault con la Capture.
Gli zii paterni pure restarono ad auto francesi, mentre mio padre aveva la Renault 14 blu che era stata dell’altro zio. Facevo notare che i tre fratelli avevano fatto la bandiera francese con le loro auto: una Talbot Horizon bianca con cui lo zio della Diane si era “evoluto” ed una piccola Peugeot 205 rossa che con cui lo zio della Kadett si era ridimensionato. Per un periodo lo zio della Talbot passò ad Alfa Romeo: ricordo vagamente una Alfa 90 marrone con i comandi dei cristalli elettrici al tetto tipo aereo e la strana leva del freno a mano trapezioidale. Poi prese una Alfa 33 1.5 SportWagon Quadrifoglio che era un missile.
Dopo gli anni 90 ricordo meno delle auto degli zii, che comunque finivano per essere auto di famiglia. Finché ero piccolo memorizzavo le auto assieme ai ricordi. Sarà che ero stato cresciuto da una madre ansiosa che mi teneva protetto in casa, ma tra i miei più cari ricordi dell’infanzia ci sono le uscite con gli zii, che conoscendo la sorella (o per altri la cognata) quando potevano portavano in giro me e mia sorella con loro, spesso con le loro auto…