Una volta facevo il geologo ed ero pure abbastanza bravo. Solo che me ne rendo conto oggi, a quei tempi non ne ero coscente e forse questo è uno dei motivi per cui oggi non lo faccio più. Magari ci si è messa anche la sfortuna e qualche scelta poco oculata. Sta di fatto che oggi faccio altro e che all’epoca mi sentivo circondato da colleghi ben più esperti di me soffrendo a volte di un leggero complesso di inferiorità. Non che fossi un genio della scienza (o almeno non ho mai avuto l’opportunità di provarlo) ma diciamo che per quel che riguarda la capacità di capire e risolvere alcuni problemi geologici non sono stato niente male.
Il primo grosso errore è stato forse quello di non capire che mi sarebbe convenuto continuare a lavorare alla ricerca della mia tesi anche dopo la laurea. Non avevo idea che quello fosse il modo per restare “nel giro”. Sapevo che restando avrei dovuto scordarmi uno stipendio per un bel po’, è così mentre si fa gavetta per la ricerca e si va avanti a borse di studio. Pensavo che la mia famiglia avesse già dato abbastanza per portarmi alla laurea ed ora dovevo lavorare. Ma il lavoro non lo trovavo e se avessi saputo che ci avrei messo anni, tanto sarebbe valso rimanere in quel dannato “giro”.
Comunque la prima occasione geologica venne dopo diversi anni: avrei eseguito rilievi geologici durante gli scavi di una importante galleria per un nuovo tratto autostradale in Appennino. Ma ero arrugginito e la notte prima dell’inizio dei lavori dormii pochissimo visti i crampi allo stomaco. Invece andò bene. Non solo, nel tempo feci pure un paio di figuroni: ad esempio, ci si apettava ormai da un po’ di dover passare a fresare delle rocce argillose dopo serie di alternanze di arenarie e siltiti (roccia derivante dal limo) ben più resistenti. Le argille esercitano una enorme pressione sui rivestimenti della galleria e vanno quindi gestite opportunamente. Una sera scatta l’allarme argille in una delle gallerie e mi chiamano per andare a verificare. Già dai detriti che vedevo uscire dal tunnel nei carrelli non mi sembravano altro che le siltiti di cui sopra e verificando sul fronte di scavo si trattava infatti di uno strato siltitico particolarmente più spesso che lo scavo stava attraversando “di lungo”. Il giorno dopo arrivò il geologo senior, richiamato con urgenza, che confermò la mia “diagnosi” – ricordo ancora gli sguardi delle persone, come fossi una specie di mostro (in senso positivo).
In un altro caso mi chiamarono per una “allarme faglia” sul fronte di scavo. Attorno ad una faglia la roccia è ridotta piuttosto male dalle enormi tensioni generate dalla dislocazione dei due blocchi di roccia che scorrono nel tempo gelogico lungo il piano della faglia generando terremoti. Ma si trattava semplicemente di una superficie di strato che divideva le solite bancate di arenaria da quelle siltitiche, ma attraversandola anche in questo caso “di lungo” aveva dato dei problemi – anche qui ci fu la conferma del geologo senior ed un aumento di stima nei miei confronti.
Ebbi anche modo di verificare che forse di geologia “ci capivo qualcosa” quando ebbi la netta impressione di riconoscere certe strutture sedimentarie nelle solite siltiti che mi facevano pensare che la serie fosse capovolta, quindi eravamo sul lato rovescio di una piega. Ricordo un collega più giovane che era lì per una tesi di dottorato sulle gallerie che rideva della mia ipotesi (non conosceva la sequenza di Bouma) chiedendomi come facessi a dirlo, ma alla fine la prosecuzione dell scavo confermò la mia ipotesi. Insomma, c’ero…. ma non lo sapevo (una nota di colore: la persona che rideva ora è geologo in un’ottima posizione statale).
Dopo quel lavoro finii per avere un assegno di ricerca presso una univeristà della mia città, il culmine della mia carriera, la realizzazione dei sogni. Tanto che nei viaggi all’estero che seguirono fui pure invitato a fare un dottorato presso una università americana che aveva notato le mia capacità sul terreno. Intendiamoci, li ho accompagnati in una escursione didattica lungo la costa atlantica del Canada, dove portavano gli studenti di master e dottorato a esercitarsi sul terreno, ad usare la bussola da geologo. Era il mio lavoro ormai da qualche anno, quindi non poteva esserci paragone con gli studenti, magari forse con quelli di dottorato sì, ma sta di fatto che ebbi un certo ….successo.
In un caso il professori mostrarono delle immagini satellitari della costa dove eravamo sulle quali si vedevano bene dei lineamenti riconducibili ad importanti faglie regionali. Quando ci hanno mandati in coppie a rilevare la geologia delle pareti rocciose che costituivano la costa, notai un piccolo piano di faglia con delle chiare strie orizzontali e lo feci notare anche alla giovane studentessa con cui dovevo “esercitarmi” in coppia. Le feci anche notare che proseguendo idealmente a immaginare quel piano di faglia lungo la sua direzione, si poteva notare un avvallamento su una parete montuosa diversi km più ad est seguendo la direzione del piano che osservavamo da vicino. Quell’avvallamento all’orizzonte poteva essere la traccia di uno dei lineamenti che osservavamo dalle immagini satellitari. Più tardi venne la sua professoressa (con cui siamo tuttora amici e ci scriviamo ogni tanto) a spiegarci esattamente quello che avevo anticipato io alla sbalordita studentessa.
In un’altra occasione ci chiesero di riportare su delle sezioni geologiche le misure degli strati che avevamo preso in mattinata. Anche questo era per me il pane quotidiano e misi giù molto rapidamente una sezione con i miei dati. Però avevo potuto notare che gli studenti non avevano proprio idea di cosa avrebbero dovuto fare. Rimasi in silenzio per non intereferire. Poi i loro professori mi raccontarono che avevano esaminato sconcertati i risultati dell’esercitazione, assolutamente da rifare tranne che per un caso: il mio. Ovviamente ho sottolineato che per me era il mio normale lavoro, chiaro che mi risultasse semplice. Così mi hanno chiesto di seguire gli studenti per aiutarli a rifare l’esercizio in modo corretto. Da lì scaturì l’invito a tornare l’anno dopo per un dottorato presso la loro univeristà. Erano convinti che sarei stato un importante contributo al loro dipartimento (cosa che il dipartimento italiano non mi aveva mai fatto sospettare, anzi, semmai l’esatto contrario). Purtroppo era il settembre del 2001 e a una settimana dal mio rientro vennero giù le Torri Gemelle che da poco avevo visto per l’ultima volta. Il modo sembrava sull’orlo della terza guerra modiale e gli USA non sembravano esattamente il posto più sicuro dove cercare un futuro migliore. Quindi lasciai correre e col tempo l’opportunità svanì.
Voglio solo sottolineare che una delle studentesse che aiutai nella creazione della sezione geologica, che mi incoraggiava a tornare per il dottorato, perché col mio livello di preparazione non avrei certo avuto problemi, ora non solo è professoressa universitaria ma è anche a capo del suo dipartimento. Cosa che alla mia amica italiana con cui lavoravo all’epoca all’università, enormemente più preparata ed esperta (mia coetanea, più anziana della allora studentessa americana), non succederà mai (e glie lo hanno anche detto in faccia).
Verso la fine della mia collaborazione con l’università fui convoolto in un grosso progetto voluto da ENI a cui partecipavano diverse università. Lo scopo era di studiare nel bel mezzo dell’Appennino delle strutture geologiche omologhe a quelle che normalmente loro studiano indirettamente perché sepolte. Ad un certo punto ci fu una mega riunione con tutti i partecipanti. Professori, ricercatori, tecnici ENI. C’era pure il grafico che si sarebbe occupato della presentazione dei dati. Ma ad un certo punto ci accorgemmo che i dati erano incompatibili tra loro: esistono due modi per misurare con la bussola da geologo la direzione e la pendenza delle supefici (strati, faglie, fratture…); uno consiste nel misurare la direzione rispetto al nord di una delle infinite rette contenute dalla superficie dello strato e poi prendere l’angolo di pendenza, perpendicolare a questa direzione; l’altra “scuola” di pensiero prende direttamente la direzione rispetto al nord della pendenza dello strato. Nel risultato grafico in mappa o in sezione non cambia nulla, è lo stesso. Ma i numeri sono ben diversi, sfalsati di 90 gradi. Metà dei geologi coinvolti aveva usato un metodo, metà l’altro. E adesso? E adesso basta decidere quale metodo “tenere” e creare una formula in Excel per trasformare i dati presi con l’altro. Io ed un collega rilevatore, le ultime ruote del carro industrial-universitario, ci siamo messi davanti a un computer e nel giro di poco tempo abbiamo normalizzato tutti i dati. Il grafico ci guardava stupefatto: “Ma fatemi capire… tutti questi professori, tecnici, ricercatori, capoccioni, ma voi due siete i meglio, avete risolto voi il problema! Questi che facevano senza di voi?”. Morale? Io faccio tutt’altro lavoro e quel collega insegna nella scuola media.
Dopo l’esoerienza univeritaria passai all’industria, nell’esplorazione per la ricerca di idrocarburi. Credevo fosse la mia svolta della vita, misi su famiglia e invece dopo qualche anno l’azienda fallì e mi ritrovai con l’assegno di disoccupazione, poco più di 50 anni ed un bambino piccolo. Non riuscii più a rientrare nel “giro”. Un amico libero professionista in quel periodo mi chiese un aiuto per una relazione geologica che stava ultimando. Con lui avevamo fatto i primi lavori da neolaureati. Lui continuò con la libera professione, io stentai prima e poi iniziai con la galleria, l’università, e così via. Apprezzò il mio aiuto dicendo “tra tutti noi tu sei quello che più dovrebbe fare il geologo e invece sei l’unico che non lo fa!”. Mi ricordò di quando una volta mi chiese aiuto sul terreno mentre lavoravo all’università. Lo raggiunsi per una giornata di rilievi durante la quale discutemmo sulla natura di una grossa superficie geologica che io ritenevo essere una faglia mentre lui sosteneva che la letteratura ufficiale la riportava come superficie di strato. Io rimasi col dubbio (forse la certezza) che fosse una faglia. Anni dopo venne fuori un nuovo lavoro su quell’area e il mio amico mi disse che riportava quella superficie come faglia. Avevo ragione io. Ero sprecato a non fare il geologo.
Ma cosa devo fare? Ho una famiglia da mantenere. Ho avuto una grossa occasione e sono stato assunto (ad un’età in cui non ti assume nessuno) per un lavoro informatico che non avevo mai fatto ed ho imparato a fare anche piuttosto bene. Non potevo certo rinunciare per inseguire il desiderio di continuare a fare il geologo come quando ero giovane e non avevo responsabilità. Sì, da questo punto di vista ho dei rimpianti, per lo più professionali. Ma tutte queste vicissitudini mi hanno portato dove sono ora e, carriera geologica a parte, non mi posso lamentare. Certo, se ad esempio avessi sfruttato l’occasione di un dottorato in America, la mia vita sarebbe ora completamente diversa. Ma mi basta pensare che se mio figlio è nato è anche conseguenza del fatto che allora scelsi di non farlo…