Noto spesso che persino altri scienziati ben preparati quando parlano di geologia a volte commettono errori banali. Forse, essendo la Geologia una scienza relativamente nuova, è poco conosciuta. ad esempio, l’altra scienza “cugina” perché anch’essa scienza “storica”, l’Astronomia, è ben più nota. Probabilmente guardare in alto, verso le stelle, ci fa sognare di più che guardare in basso, sottoterra. Poi molti associano il geologo alla sua libera professione, quella legata all’edilizia, ai sondaggi, allo studio delle caratteristiche tecniche dei terreni. Ma quella è solo una delle tante applicazioni della Geologia. Altre possono essere la ricerca delle risorse del sottosuolo, lo studio del rischio geologico (terremoti, eruzioni, frane, alluvioni – temi che forse spiegano il maggior fascino dell’Astronomia rispetto alla Geologia). Potrei continuare ma voglio qui soffermarmi su quello che davvero è tipico del geologo, qualunque attività faccia: il geologo è in grado di lavorare sul terreno.
Cosa fa un geologo sul terreno? Il rilevamento geologico. Mi dicono che questa abilità tipica del geologo fino a qualche decennio fa si sta facendo sempre più rara. I giovani e meno giovani preferiscono lavorare al computer, utilissimo in tanti aspetti, ci mancherebbe. Faccio solo notare che il numero degli studenti che scelgono di fare una tesi che coinvolga maggiormente il rilevamento sul terreno e sceso enormemente. Sarò ormai di vecchio stampo, ma qualunque sarà l’attività di un geologo, se non è passato per un buon addestramento alla geologia sul terreno gli mancherà qualcosa. Quel qualcosa che davvero rende unica la figura del geologo. Provo a raccontarvelo.
Riprendo dal discorso in cui sottolineo che la Geologia sia una scienza, una delle Scienze della Terra. La sua applicazione tecnica di cui molti fanno una professione che necessita l’iscrizione all’Ordine Nazionale, è una delle varie sfaccettature. La Geologia studia il nostro pianeta, la Terra, la sua evoluzione, dinamica, struttura, ecc. La varie branche (vulcanologia, geofisica, paleontologia, mineralogia, sedimentologia, idrogeologia, ecc.) possono essere molto specialistiche ed alcune sono in comune con altre scienze (planetologia, geofisica, ecc.). Dicevo che l’Atronomia è l’altra scienza storica, che ha a che fare con lo scorrere del tempo; entrambe hanno a che fare con un passato molto lontano, misurato in milioni se non miliardi di anni. Le due scienze sono cugine perché la Terra è un pianeta, i pianeti sono corpi celesti, oggetto di studio dell’Astronomia. La planetologia si occupa dello studio dei pianeti, ispirato fortemente dalle consocenze che abbiamo del nostro, quindi dalla Geologia. La planetologia può quindi essere vista come una branca sia della Geologia che dell’Astronomia.
Ma alla fine il geologo è visto come quello “strano” a cui piacciono le rocce. Cosa avranno di tanto affascinante i sassi? Anche a scuola la classificazione delle rocce appare una delle cose più noiose. La geologia nelle scuole è insegnata poco e spesso molto superficialmente. A meno che l’insegnante non sia causalmente laureato in geologia, spesso non è preparato abbastanza da renderne lo studio interessante. E poi i programmi sono carenti per quel che riguarda la parte geologica, è troppo poco considerata. Probabilmente è la causa maggiore degli errori banali che fanno anche altri scienziati quando ne parlano, come dicevo all’inizio (per non parlare di quelli che fanno gli amministratori pubblici quando devo prendere decisioni a riguardo!).
Ma torniamo quindi alle rocce. Esse sono definite come aggregati di minerali, che non sono altro che composti cristallizzati. Affascinano il geologo prima di tutto perché un pianeta è fatto di rocce. Bisogna conoscerle per capirci qualcosa (conoscere quandi mineralogia e petrologia). Per lavorare sul terreno è essenziale conoscere bene le rocce della crosta terrestre, la pellicola più esterna, spessa una 50ina di chilometri al massimo. Le più importanti sono formate da silicati di ferro e magnesio, otre che da silicati di minerali alcalini (calcio, sodio e potassio), Quelle della crosta sono le uniche rocce che abbiamo toccato con mano. Quelle del mantello e del nucleo possiamo solo ipotizzarle. Una roccia racconta una storia ad un geologo in grado di leggerla. Una successione di rocce, con le più antiche in basso e le più recenti in alto, è un libro aperto perché ognuna di esse si è formata in un ambiente diverso che è cambiato durante il tempo geologico: rocce diverse si formano in ambienti diversi. La cosa è maggiormente valida per le rocce sedimentarie, uno dei tre grandi gruppi assieme a quelle ignee e metamorfiche. In poche parole le ignee (o magmatiche) sono quelle che derivano direttamene dalla solidificazione dei magmi (il magma è semplicemente roccia fusa). L’erosione le smantella in sedimenti che sepolti diventano rocce sedimentarie. Sotto pressioni e temperature più alte sempre più in profondità, i minerali che le compongono si trasformano e la roccia diventa metamorfica. Lo studio di tutti questi passaggi è fattibile osservandoli in natura, nelle succesioni geologiche. Il fascino sta proprio nel ricostruire i processi che hanno portato alla formazione di una certa successione geologica. Il punto è che raramente le successioni geologiche sono facilmente osservabili (come ad esempio nel Grand Canyon). Il più delle volte ne affiora un pezzo qua e là, tra la vegeazione, negli scassi stardali, nelle cave, o su pareti prive di vegetazione. E qui entra in gioco l’abilità dl geologo di terreno, che da osservazioni parziali è in grado di ricostruire il puzzle.
Le armi del geologo sul terreno sono caratteristiche: il martello con cui prendere campioni di roccia, la lente con cui analizzarli, la bussola per orientarsi ma soprattutto per prendere la misura delle superfici geologiche da riportare sulla mappa, assieme ai colori per evidenziare gli affioramenti di rocce diverse osservati. Ed il libretto di campagna dove appuntare tutto, preziosissimo, resistente ma tascabile, da difendere con la vita, perché contiene tutto il lavoro. Da notare che è consigliabile scrivere con matita sul libretto: in caso di pioggia o di recupero da un fiume (capita), l’inchiostro sarebbe dilavato, il tratto a matita no, senza contare che è più facile correggerlo). Il geologo di campagna dovrà essere in grado di percorrere sentieri anche ostici, ripidi, magari anche lungo burroni o scarpate, attraversare corsi d’acqua se necessario, calcolare il tempo di ritorno all’auto o alla base prima che faccia buio. Servono scarponi adeguati, protezioni dalla pioggia e/o dal caldo, umidità, vento e magari da incontri poco piacevoli: cani pastore è il minimo, serpenti velenosi e orsi magari sarebbe bene evitare. Se le previsioni del tempo non sono favorevoli è bene rimandandare.
Oggi magari si fa tutto con un tablet connesso a internet con GPS interno e software opportuno ma sotto l’acqua questi strumenti possono avere limiti se non appositamente progettati. Comunque il “mestiere” bisogna conoscerlo lo stesso: non c’è sempre copertura internet e le batterie hanno durata limitata.
Di solito si inizia analizzando le mappe, la topografia dell’area da investigare. La distribuzione dei corsi d’acqua, il loro reticolo già suggerisce le strutture principali, le zone a maggiore o minore erosione. Ovviamente una lettura accurata di tutti i lavori geologici precedenti e l’acquisizione della carta geologica ufficiale, statale, della zona, sono essenziali. L’analisi di foto aeree, oggi in qualche modo fattibile anche tramite Google Earth è lo stesso molto utile. L’uso dei computer consente di ricreare modelli 3D del terreno che aiutano in una interpretazione preliminare della morfologia, anche drappeggiandola con le immagini satellitari. Sarà anche possibile poi farlo con la nostra carta geologica di terreno per verificare la bontà della nostra visualizzazione tridimensionale sul campo.
Il paesaggio suggerisce le strutture geologiche, bisogna saperlo interpretare. Il primo passo è di solito una ispezione in auto, da programmare su mappa, prima sulla strade principali, poi su quelle secondarie. Oltre che a un primo studio del paesaggio è utile alla ricerca degli affiornamenti principali, dei tagli stradali o qualunque altro punto in cui sia messa a nudo la roccia, quella del sottosuolo, non coperta dal prodotto della sua alterazione, il terreno, il suolo, appunto. Sarà così possibile ottimizzare i percorsi da seguire per analizzare ogni affiormento. Ma questi saranno i più facili da raggiungere. Si dovrà poi programmare di percorrere a piedi i sentieri esistenti, sempre alla ricerca di altri affioramenti da analizzare, non dimenticando di ragionare dai punti più panoramici su ciò che ci suggerisce la morfologia (esempio banale tanto per capire: rocce più erodibili nelle valli e rocce più resistenti nei picchi).
Ma cosa si fa una volta sull’affioramento? Bisogna riconoscere il tipo o i tipi di roccia esposti. A meno di non essere in un parco naturale protetto, si usa il martello per prelevarne un campione osservandolo anche con la lente di ingrandimento 10x. Per poter osservare le caratteristiche della roccia serve un taglio fresco. La superficie è alterata dagli agenti esogeni, può suggerire comunque qualcosa, ma per vedere il contenuto mineralogico e paleontologico è necessario un taglio fresco e la lente di ingrandimento. Preso il campione di roccia il geologo la …lecca. Eh si, è proprio amore tra il geologo e la roccia! No, in particolar modo sulle rocce calcaree, la superficie del taglio fresco non è bagnata la lente di ingrandimento non aiuta molto! Certo ci si può versare un po’ d’acqua (ma è preziosa per il nostro percorso), si potrebbe sputarci su ma poi va spalmata la saliva col dito, sporcando il tutto. Alla fine ci si rassegna e si impara il metodo classico e sbrigativo: una bella leccata e si indaga con la lente. Del resto mica si lecca la superficie alterata della roccia, chissà con quali batteri, muschi, licheni… La rottura fresca espone qualcosa che magari è lì da milioni di anni, a meno di non sapere che si rischia di incontrare rocce ricche in aresioco o altri elementi tossici, stiamo tranquilli che nessun organismo possa essere sopravvissuto. Spacchi, lecchi e osservi: troppo comodo, diventa una cosa normale dopo poco. Oltre a capire la domenisone dei granuli o dei minerali che la compongono, l’eventuale contenuto fossilifero consente al geologo esperto di dare anche una età alla litologia che sta osservando. Si è alla ricerca di eventuali fossili che indichino un particolare momento della storia geologia della Terra. Nelle sequenza di origine marina (sedimenti depostisi in mare, poi diventati roccia e riportati in quota dalla formazione delle montagne) si cercano indizi del contenuto di fossili planctonici: il loro piccolo guscio è a volte visibile con la lente e l’occhio esperto può datare una roccia direttamente in campagna se riconosce un fossile guida! Si tratta di specie che si sono evolute ed estinte nel giro di pochi milioni di anni: se individuate già sul terreno danno un grosso aiuto alla ricostruzione geologica! Altrimenti si può portare via dei campioni importanti o dubbiosi da analizzare, o far analizzare ad un esperto micropaleontologo, in laboratrio al microscopio.
Possono esserci tipi di roccia diversi in un solo affioramento e vanno tutti analizzati e descritti sul prezioso libretto di campagna, su cui si riporterà un sigla che va apposta anche sulla mappa, nel punto esatto dell’affioramento. Si useranno anche i colori per riportare l’affioramento in mappa, colori diversi per litologie diverse. Altra cosa importante sono le strutture geologiche osservabili, prime fra tutti, eventuali strati.
La stratificazione è fondamentale. Va misurata con la bussola da geologo, che a differenza di ogni altra bussola, ha anche un pendolino o sistema simile per misurare l’inclinazione di linee o superifici rispetto all’orizzontale: uno strato orizzontale ha inclinazione 0°, uno verticale 90°. Con l’ago della bussola si misura la “direzione” dello strato: una superficie è definita da infinite rette; se pensiamo a tutte le infinite rette orizzontali che compongono una supeficie inclinata, esse sono ovviamente tutte parallele tra loro e individuano una direzione rispetto al nord. Posizionando la bussola nella direzione di queste rette, parallela ad esse, ossia nella direzione dello strato o altro piano che sia, la misura dell’angolo tra l’ago allineato a nord e la bussola stessa allineata allo strato ci darà la sua direzione, ad esempio N-30°E. Significa che la direzione dello strato si ottiene allineandosi al nord e poi ruotando di 30° verso est. A questa misura va aggiunta la pendenza dello strato da misurare col pendolino apposito di una bussola da geologo. Un altro metodo consiste nel prendere direttamente la direzione dell’inclinazione dello strato. L’importante è specificarlo bene nel rapporto e ovviamente riportare la misura in carta con apposito simbolo: un segmento orientato come la direzione dello strato unito ad uno più corto disegnato perpendicolarmente dalla metà del primo con riportata la pendenza in gradi.
La corretta misura della direzione e pendenza degli strati nei vari affiornamenti ci darà modo di capire i rapporti tra le varie litologie ossevate (in parole povere, chi sta sopra e chi sta sotto). La regola base è che le rocce più antiche sono sotto quelle più recenti. Ma nelle catene montuose può succedere che gli strati siano deformati e piegati a tal punto che potrebbe capitarci di stare ad osservare un fianco rovesciato di una piega: gli strati più antichi starebbero sopra e i più giovani sotto. Sta alla abilità del geologo capire!
Gli strati di un affiornameto potrebbero essere visibilmente piegati. Va tutto riportato sul libretto scrupolosamente, con l’ausilio di un disegno su cui riportare note e misure (eh, ad un geologo fa comodo anche avere una buona mano nel disegnare). E’ utile scattare foto da poter poi ricollegare al giusto affioramento descritto in libretto. Esistono app per cellulare che permettono di prendere le misure geologiche senza bussola (orientando il telefono come lo strato); il telefono fa anche il punto sulla mappa e riporta su essa tutte le misure di strati e strutture varie con la dovuta simbologia. Inutile dire che possiamo fare foto (che vengono georeferenziate sulla stessa mappa) su cui disegnare schemi ed evidenziare caratteristiche notevoli dell’affioramento.
Ad esempio, può capitare che si osservino in due posti diversi due litologie che sappiamo essere una più antica dell’altra ma che, dalla disposizione dei loro strati, sembrano essere allo stesso livello (mentre la più antica dovrebbe essere più bassa). Spesso significa che una faglia ha disolocato la sequenza geologica muovendo nel tempo (milioni di anni) due blocchi portando le rocce antiche al livello di quelle più giovani se non anche al di sopra. A volte le faglie non sono visibili ma vengono interpretate con questo tipo di osservazioni sul terreno. Quando si è più fortunati faglie che attraversano strati dislocandoli sono osservabili nell’affioramento. La direzione e pendenza del piano o dei piani di faglia va misurata, riportata in libretto e in mappa, descrivendone il comportamento (quanto e come sembra aver dislocato gli strati).
Lo scopo ultimo è quello di individuare e mappare i limiti geologici. le faglie ad esempio sono limiti geologici di tipo tettonico. I limiti geologici che si punta ad individuare e/o interpretare in campagna sono i limiti litologici. Grossolanamente, non essendo questo un corso di rilevamento, si tratat di superfici che delimitano rocce, o gruppi di rocce diverse, ossia “formazioni” geologiche ben definite come litologia (tipo di roccia o rocce), contenuto fossilifero (quindi età), limite inferiore (letto) e limite superiore (tetto). I limiti litologi sono superfici (piane o deformate) orientate nello spazio; col rilevamento geologico possiamo misurarne con la bussola l’orientamento (direzione e pendenza) in diversi punti dell’area. Dei precisi procedimenti geometrici (stratimetria) consentono la ricostruzione dell’intersezione dei limiti litologici (e di eventuali piani di faglia che li dislocano) con le curve di livello per poterli quindi cartografare. Nasce così una carta geologica.
Giorno dopo giorno avremo accumulato dati su cui riflettere, da mettere insieme per ricostruire la geologia dell’area che stiamo investigando. E’ un lavoro affascinante che richiede, oltre alla conoscenza della propria materia, anche una buona capacità di visualizzazione tridimensionale ed un intuito investigativo simile a quello di un detective se non si un …medico. Il mio professore di geologia e rilevamento diceva che è come essere grandi esperti di automobili: osservando una piccola parte, una maniglia, un faro, si può risalire alla marca, al modello, magari anche al periodo di fabbricazione, l’età. I vari tipi di rocce si sono formate in ambienti specifici. Ricostruirne la successione, i rapporti tra loro, equivale a ricostruire il passato di una area, come si sono evoluti gli ambienti che si sono lì avvicendati nel tempo geologico. E’ un viaggio indietro nel tempo, di milioni, anche centinaia di milioni di anni. La Terra ha circa 4 miliardi e mezzo di anni. Rocce così antiche non ce ne sono più ma capite che una roccia di qualche milione di anni può anche essere vista come recente!
Quando un geologo osserva un campione di roccia è cosciente del fatto che si sia formato in quel posto milioni di anni fa. Esso contiene informazioni sulla sua storia e su quella dell’area in cui è stato ritrovato che solo un geologo è in grado di apprezzare. Il mio è un tentativo di comunicare ai più il fascino di una scienza in realtà poco nota e capita dai non addetti ai lavori. Non solo per il rispetto dovuto ai professionisti e agli scienziati che la portano avanti, ma anche perché cnoscere la geologia ci aiuta a prendere decisioni più oculate auando bisogna fare scelte che riguardano l’ambiente che ci circonda.
Da qualche parte ho letto che ai più le montagne appaiono ferme ed immense, solo un geologo ne percepisce la fragilità ed il movimento.