Lo stile di Aikido che pratichiamo
Esistono sistemi didattici, metodi di insegnamento ed interpretazioni diverse nel mondo dell’Aikido. Presso il nostro dojo facciamo riferimento al Quartier Generale Mondiale dell’Aikido, lo Hombu Dojo di Tokyo, fondato da Morihei Ueshiba nel 1940.
Nel 1964 lo Hombu Dojo inviò a Roma Hiroshi Tada, che fondò l’Aikikai d’Italia. Già dagli anni 50 c’era un certo movimento aikidoistico quando il prof. Salvatore Mergé, judoka ed insegnante dell’Iistituto Orientale di Roma, tornò da Tokyo dopo aver studiato Aikido con Morihei Ueshiba. Motokage Kawamukai arrivò a Roma poco dopo da New York, dove aveva posto le basi della locale Aikikai presa in carico da Yoshimitsu Yamada. Fu Kawamukai a scrivere a Tokyo per richiedere un emissario ufficiale, ma dalla Francia già Tadashi Abe e Nobuyoshi Tamura avevano tenuto stage. Anche la scuola di Iwama di Morihiro Saito aveva già un folto seguito, rappresentata al tempo da Takeji Tomita. Altri grandi maestri giapponesi ebbero un ruolo fondamentale del diffondere l’Aikido in Italia, tra cui Hirokazu Kobayashi, Hideki Hosokawa e Yoji Fujimoto. Negli anni 90, l’influenza della linea tecnica della federazione francese FFAAA capitanata da Christian Tissier si è fatta sentire in molti dojo della penisola. La maggiore ispirazione di questa linea didattica viene da numerosi maestri francesi che hanno seguito il genio dell’Aikido Seigo Yamaguchi (in alto a destra). L’Aikido fluido e privo di tensioni esibito da Yamaguchi è molto diverso da quello di altri allievi del fondatore stesso. Forse perché Yamaguchi diffidava nelle imitazioni e credeva nella libertà di ognuno di cercare il proprio Aikido. Forse è la cosa più difficile da fare ed insegnare.
Al Katsu Dojo
Al Katsu Dojo ci ispiriamo al tipo di allenamento suggerito da Philippe Gouttard, della FFAAA. Le tecniche di Aikido da lui eseguite, rispettando i movimenti naturali a cui sono preposte le articolazioni, assicurano non solo l’incolumità del partner, ma anche un esercizio sano che permetta alle articolazioni di svilupparsi pienamente e rimanere funzionali più a lungo. La postura fisiologicamente corretta è di primaria importanza, a cominciare dalla posizione dei piedi e dal lavoro corretto delle ginocchia, troppo spesso danneggiate da errori apparentemente insignificanti ed impercettibili. Il lavoro è molto intenso, a volte duro perché ricerca il limite psicofisico di ognuno. In questo modo l’Aikido diventa una pratica per rimanere giovani, per imparare a respirare, ad usare il corpo in modo più intelligente, ad affrontare le proprie paure.
L’esercizio sul tatami è pensato per mettere il praticante in difficoltà ma insegnando come uscirne senza danni. Le difficoltà sono simboliche di quello che accade nella vita, così come le “tecniche” per uscirne. Per questo bisogna mettere passione, grinta, intensità, sentimento nell’esercizio, altimenti è futile. Ciò non va confuso con l’aggressività, la rabbia, la potenza fisica, ma una tecnica senza “vita” è insignificante. L’analogia tra Aikido e vita è fondamentale per la crescita del praticante, a qualunque età. Le tecniche sono solo un mezzo per ottenere questo, non devono essere il fine da raggiungere, una mera perfezione formale. Svuotate del loro spirito, le tecniche dell’Aikido non servono a nulla.