Parliamo della vista, il senso che ci permette di posizionarci e individuarci quando entriamo in un posto. Il nostro sguardo avvolge l’insieme ed in seguito si focalizza sul particolare. Quando entriamo in un dojo, immediatamente abbiamo una visione completa di tutto ciò che c’è all’interno, poi delle le superfici, la luminosità, l’arredamento e le persone presenti. In seguito focalizziamo lo sguardo e riusciamo a precisare chi è presente, il colore del tarami e più guardiamo, più il nostro sguardo si affina permettendoci di scoprire quei dettagli che ci sono sfuggiti quando abbiamo avuto uno sguardo d’insieme.
È lo stesso con la nostra pratica. Dopo anni passati ad osservare i grandi maestri che dimostravano le tecniche, il mio sguardo si è affinato, è diventato più sicuro, più chiaro. Quello che vedo non mi lascia nel dubbio, ma non è stato così sin dall’inizio. Ricordo bene i dubbi che ai primi tempi avevo su ciò che vedevo, e più è forte il maestro, più è alto il suo grado, meno i nostri occhi sono in grado di comprendere quello che sta facendo. Poi, man mano che avanzavo nella pratica, e soprattutto da quando ho cominciato ad insegnare, mi è apparso indispensabile eseguire gesti semplici e chiari che permettesero agli allievi di comprendere a livello intellettuale quello che i loro occhi avevano visto. È indispensabile che un allievo, nel vedere un gesto o nel sentire una parola, abbia un’identica percezione di correttezza. Se le parole non corrispondono ai gesti, questo porta a confusione e l’allievo non potrà giovare completamente dell’insegnamento.
Ma questo non si ottiene in un giorno. A volte arriva qualche allievo con un vissuto, un passato sportivo e scolastico che gli è proprio, tale da metterlo già in una situazione ben precisa. Questo suo passato farà in modo che le parole usate dall’insegnante ed i gesti che egli esegue non avranno per lui lo stesso significato che intendeva l’insegnante stesso.
Per me lo sguardo è molto importante, è il volante del nostro corpo, è ciò che ci permette di controllare la direzione e la distanza. I principianti all’inizio sono talmente concentrati su ciò che devono fare, che non riescono a fare neanche i gesti semplici che la vita di tutti i giorni gli ha insegnato. Ad esempio, sulla presa di katate dori, è frequente che si guardi la mano, mentre quando salutiamo un amico stringendogli la mano lo guardiamo naturalmente dritto negli occhi. Ma sul tatami, l’obbligo di fare un certo gesto rende impossibile quelli naturali.
Cerco spesso di ordinare di tenere sempre lo sguardo tra le due mani. In qualche gesto dobbiamo concentrare il nostro sguardo su ciò che fanno le nostre mani. Più le mani sono distanti l’una dall’altra, più il nostro sguardo è ampio, più la visione si apre. Al contrario, più le mani si avvicinano, più lo sguardo si concentra e si focalizza su un punto preciso.
Cerco sempre ad un certo punto della pratica di ricordare il movimento di “shin kokyu“. Questo movimento ci permette di sviluppare la respirazione. Quando ho studiato osteopatia, gli insegnanti ci dicevano che tutti i tessuti del nostro corpo, muscoli, organi, vasi sanguigni, sono continuamente in movimento. Questi movimenti sono registrati nel movimento di qualsiasi oggetto dell’universo ed è impossibile arrestarli. Quindi faccio in modo nella pratica di effettuare gesti che permettano al Tori e all’Uke di potersi muovere, di evolversi, di posizionarsi nello spazio senza costrizioni di alcun genere. Lo sguardo ci aiuta a realizzare questi gesti essendo questo che ci permette di percepire come gli altri si muovono ed evolvono.
Guardare un partner per tutta la durata di un allenamento è una cosa molto difficile. Ma è così che ci si allena. Le emozioni passano attraverso lo sguardo, gli occhi non mentono mai. Quando pratichiamo con uno sconosciuto, è attraverso i suoi occhi che possiamo capire se una certa tecnica gli dà piacere o se al contrario il nostro modo di farlo muovere lo sorprende o lo mette a disagio. Sempre grazie all’allenamento, oggi posso guardare un partner mantenendo uno sguardo neutro, che non dia false informazioni. Al contrario, ora, cerco di mantenere uno sguardo tranquillo, che dia voglia di fare bene, attraverso il quale voglio dire all’altro che quello che sta facendo è bene e che sto traendo vantaggio dalla sua pratica.
Lo sguardo è la prima emozione, è lo sguardo che ci fa avanzare od arretrare. E nella vita siamo attratti dallo sguardo degli altri. E’ il senso che ci permette di fare irimi: andare verso l’altro. Ed è sempre lo sguardo che ci permette di fare tenkan: fluire con l’altro. E’ quindi molto importante lavorare sullo sguardo ed attraverso di esso dare un senso di positività che inviti gli altri ad avvicinarsi a noi.
E’ anche normale che durante una lunga sessione di pratica gli occhi non siano più così diretti sullo sguardo dell’altro. Abbiamo bisogno del riposo, di lavar via le sensazioni che abbiamo ricevuto dai nostri partner. Ma questo non vuol dire che il nostro sguardo debba essere vuoto di emozioni. Non c’è niente di più duro e frustrante di praticare con un partner con lo sguardo sfuggente e quando gli occhi si incontrano non c’è nessuna emozione. Per me l’Aikido è un’arte che serve a sviluppare la nostra sensibilità e questo darà valore a ciò che facciamo e trasmettiamo ai nostri partner. Un cieco vede quando parlandoci ci dice: “vedo (=capisco) cosa stai dicendo”. Andiamo al cinema, andiamo alla partita di calcio, gli occhi sono il mezzo fisico con cui scopriamo l’altro, ma è in fondo al nostro essere che la sensazione reale viene registrata. Quindi abbiamo bisogno, noi vedenti, di poter approfittare di questa risorsa per farne un mezzo attraverso cui trasmettere calma ed amore agli altri.
Philippe Gouttard nel suo dojo di St. Etienne – uke: Fabrice Rios
Esistono due verbi che definiscono lo sguardo: vedere e guardare. E c’è una grande differenza tra vedere e guardare. Per me, guardare significa fissare la propria attenzione su un punto preciso: diciamo “guardami, guarda laggiù”. Ma quando guardiamo, il nostro campo visivo è più ampio di ciò che stiamo guardando. La nostra visione è di pressappoco 180°, ma solo a partire da quando abbiamo 15-16 anni. Questo è il motivo per cui i bambini non vedono ciò che sta accadendo sui lati. Bisogna quindi attendere fino ai 16 anni perché si sviluppi una visione periferica. I principianti in Aikido sono come dei bambini, essi devono concentrare lo sguardo su ciò che fanno e solo quando saranno adulti, cioè graduati, il loro sguardo sarà più libero e non avranno più bisogno di fissare quel che vogliono raggiungere. E questo per me significa libertà: essere capaci di guardare un punto con molta precisione e allo stesso tempo poter vedere tutto l’ambiente che ci circonda.
Infatti passo molto tempo a fare “shin kokyu” con gli occhi.
Se i nostri occhi sono liberi, lo sarà anche il resto del nostro corpo e ci permetterà di praticare con più calma e serenità ed affetto verso gli altri, dato che abbiamo appreso come guardare il lato positivo.
Philippe Gouttard, settembre 2014
Grazie a Guillaume Erard per le sue pertinenti correzioni, come d’abitudine
Traduzione dal francese a cura di Pasquale Robustini