Non molto tempo fa ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con la più famosa esperta femminile di Aikido, Micheline Tissier, che detiene il grado di 6° dan dell’Aikikai. E’ stata la prima donna europea ad essere insignita di questo grado dal Doshu Moriteru Ueshiba ed una delle rare donne ad occupare una posizione di responsabilità tecnica nella propria federazione. Quando ha accettato di rispondere alle mie domande, ne sono stato molto felice e ho scoperto una persona diretta e sincera, che non gira mai intorno alle domande e che sorprende per la chiarezza delle proprie idee su gli argomenti più diversi.
Guillaume Erard: Lei ha cominciato a praticare Aikido presso lo Hombu Dojo dell’Aikikai a Tokyo. Cosa l’ha portata lì e perché è passata all’Aikido dopo tanti anni di pratica nella danza?
Micheline Tissier: Alcuni problemi di famiglia costrinsero i miei genitori a mandarmi a Tokyo, dove viveva mio fratello. Avevo 15 anni e, sebbene la danza non fosse la mia attività principale, il mio insegnante mi suggerì di intraprendere questa carriera. In realtà ero più coinvolta nell’atletica e la mia specialità erano i 1200 m. Ho continuato a fare jogging ogni giorno fino ai 40 anni.
G. E.: Sappiamo abbastanza bene come sono tenute le lezioni a Tokyo, ma molto meno su come vengono istruiti i principianti nel quartier generale dell’Aikido. Com’è l’insegnamento rispetto alla Francia, dove il sistema educativo è molto elaborato?
M.T.: La pratica dell’Aikido era in realtà un obbligo per ottenere il visto da studente. Ho seguito per due anni le lezioni obbligatorie per principianti che si svolgono al primo piano. Non posso dire che sia stata un’esperienza molto divertente, dato che durante queste lezioni imparavamo principalmente i passi, le cadute e shikko (camminare sulle ginocchia). Al Maestro non sembrava importare più di tanto che noi andassimo in giro per il dojo in suwari waza per un’ora, finché non era soddisfatto. Ovviamente con quei ritmi le ginocchia e le punte dei piedi mi si erano molto danneggiate e, dato che praticavo ogni giorno, guarire mi era impossibile.
Era piuttosto difficile per me capire le facce contente degli altri francesi dopo le lezioni ai piani superiori. Non lo comprendevo perché personalmente non ci trovavo niente di divertente.
G.E.: Ma quella pratica in Giappone ha portato qualcosa di speciale nel suo Aikido?
M.T.: L’Aikido che è insegnato in Giappone è lo stesso che pratichiamo in Francia, quindi non vedo niente nella mia pratica in Giappone che non avrei potuto imparare o sviluppare in Francia. Ma detto questo, bisogna anche dire che forse il tempo passato a Tokyo ha fatto molto bene al mio suwari waza (ride)!
G.E.: Doveva fronteggiare molte sfide: era una principiante, una straniera e una donna in una società prettamente maschile. Ha avuto delle difficoltà? Qual’era l’atteggiamento degli altri praticanti verso di lei?
M.T.: Non ho mai percepito particolari segni di ostilità, i giapponesi erano gentili ed il fatto che fossi una donna non cambiava nulla, ma magari ero troppo giovane per notare qualcosa. E’ vero che a quel tempo non c’erano molti stranieri in Giappone ed una bionda coi capelli lunghi non passava inosservata (ride)! Vivevo in una famiglia giapponese che aveva un figlio più o meno della mia stessa età ma sono riuscito a parlargli solo poche volte e sotto la pressione del padre a cui la Francia piaceva molto (ride)!
G.E.: Quali erano i suoi insegnanti preferiti in Giappone?
M.T.: Praticavo soprattutto con Seijuro Masuda e Norihiko Ichihashi che erano i Maestri più accessibile per i principianti. Solo più tardi ho osato andare alle lezioni di Seigo Yamaguchi e Kisshomaru Ueshiba.
G.E.: Lei ha conosciuto Christian Tissier a Tokyo; si aspettava di incontrare altri francesi allo Hombu Dojo?
M.T.: Ero completamente inserita nella comunità di aikidoka francesi in Giappone. La mia primissima lezione fu con Christian Tissier (in Giappone si resta l’intera ora con lo stesso partner) che era il sempai di tutti gli stranieri che c’erano allora, inclusi mio fratello e qualche altro francese.
G.E.: Essendo kohai di Christian Tissier, ha mai praticato il Kenjutsu Kashima Shin Ryu in Giappone?
M.T.: No, non ho mai praticato armi in Giappone; ho cominciato in Francia con Christian.
G.E.: Al suo ritorno in Francia ha sposato Christian e siete stati insieme 22 anni. Come insegnante di Aikido, si è mai sentita un po’ nell’ombra di suo marito?
M.T.: Ho cominciato ad insegnare Aikido 11 anni dopo il nostro ritorno dal Giappone. E’ stato a Vincennes nel 1989, avevamo due corsi in simultanea (penso sia ancora così), una lezione mista e una per i principianti, dove si rimaneva per 3 mesi, come in Giappone. Christian mi diede il corso principianti, ma mi sono guadagnata la sua fiducia solo quando i principianti, dopo tre mesi con me, si rifiutavano di andare a lezione da lui (ride)!
L’anno seguente, ci trasferimmo nel sud della Francia perché nostro figlio aveva seri problemi d’asma a Parigi. Ho ripreso ad insegnare solo nel 1997, dopo la separazione, nel dojo che avevamo aperto presso il porto di Nizza.
Per rispondere alla domanda, data la situazione, essere nell’ombra di Christian non è mai stato un problema, ma è ovvio che è sempre stato il mio Maestro, che io fossi un insegnante o meno, e penso che il ruolo della moglie di un maestro sia di stare lontano dai riflettori, specie in un sistema di tipo giapponese.
G.E.: E’ tornata spesso in Giappone?
M.T.: No, non da quando è morto il Maestro Yamaguchi.
G.E.: Lei ha ricevuto il primo dan dal Maestro Nobuyoshi Tamura; ha dovuto “adattare” il suo Aikido a quello che veniva insegnato in Francia in quel momento?
M.T.: La domanda farà probabilmente sorridere qualcuno (ride). Di nuovo, no. Credo che l’Aikido praticato in Francia ed in Giappone sia lo stesso. Eravamo nella stessa organizzazione del Maestro Tamura e ovviamente seguivamo i suoi stage. E’ stato in uno di questi che ho dato il mio esame di primo dan. Gli esami venivano sempre tenuti alla fine degli stage. Non ero stata preavvisata e Christian mi chiamò per dirmi “Fai il primo dan oggi, adesso”. Così ci sono andata senza alcuna preparazione particolare.
Riguardo i gradi, ho sempre avuto completa fiducia in Christian Tissier; non ho mai preparato gli esami che ho dato. Quando lui riteneva che fosse il momento, andavo a dare l’esame. Penso sia totalmente normale per un insegnante.
G.E.: Tutte le persone con cui ho parlato che hanno praticato con Christian Tissier a quel tempo parlano di come lui pretendesse molto e di quanto fosse severo. Era lo stesso per lei?
M.T.: Credo che il mio livello attuale sia una diretta conseguenza di ciò. Christian era molto duro a quel tempo, su se stesso e quindi con gli altri. Adottava davvero un sistema giapponese e non faceva sconti agli allievi. Diversamente da molte mogli di Maestri, io non avevo scelto di praticare Aikido superficialmente e perciò mi era riservato lo stesso trattamento dei suoi allievi, per mia scelta. Gli stage erano più lunghi a quel tempo, 3 ore la mattina e e 3 nel pomeriggio: 12 ore in un weekend, da aggiungere a 2 ore di allenamento quotidiano minimo; una cosa piuttosto intensa.
Devo riconoscere a me stessa che in più facevo anche quel che era necessario per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata. Infatti, l’Aikido ci uniti a certi livelli, ma ci ha anche separati su altri aspetti. Non era sempre facile essere ripresa severamente sul tatami e poi tornare a casa e far finta che andasse tutto bene.
G.E.: Prima ha detto che ha cominciato con l’Aikido per la necessità di ottenere un visto; quando ha deciso di dedicare davvero la vita a questa disciplina?
M.T.: Non ho mai davvero scelto di dedicarmi all’Aikido; il mio carattere è tale che quando decido di fare qualcosa lo faccio al 100%. Era la stessa cosa con l’atletica e il ballo, dato che sostituivo l’insegnante del club quando necessario.
G.E.: Come moglie di un maestro ha mai dovuto praticare più duramente per essere considerata al pari degli altri praticanti? Come ha affrontato le relazioni gerarchiche?
M.T.: Non ho mai percepito le cose in questo modo. Sul tappeto era dura per me ed era dura per loro, infatti c’era molta solidarietà tra noi. Tutti quelli che sono rimasti con Christian fino ad ora apprezzano molto quello che ha dato al loro Aikido, a dispetto della sua durezza. E’ lo stesso per me, la sua esigenza nei miei confronti ha dato degli ovvi risultati, forse alle spese della nostra coppia, ma non ero mica costretta.
Circa la gerarchia, non era sempre facile, ma la accettavo fin quando restava nel dojo. Abbiamo molto rispetto l’uno dell’altra e a parte questo aspetto severo della sua personalità, è un uomo molto gentile e particolarmente sincero.
G.E.: Focalizziamoci ora sulla pratica. Ricordo un volantino della sua federazione, la FFAAA, in cui c’era scritto “Ogni tecnica di Aikido può essere eseguita da un uomo o da un donna, ma questa non deve necessariamente eseguirla come un uomo”. E’ d’accordo? Le donne devono fare un lavoro di adattamento per eseguire una tecnica dimostrata da un uomo?
M.T.: Non vedo proprio perché una donna non possa eseguire un movimento allo stesso modo di un uomo. E’ perché siamo più fragili? Abbiamo meno muscoli? Forse bisogna tenerne conto, ma allora come la mettiamo quando un uomo di 50 kg si trova davanti uno di 90? E davvero il sesso che influenza la tecnica?
Se capovolgiamo il problema, che dovrebbero fare i miei studenti (ride)? No, ovviamente le donne possono praticare lo stesso Aikido degli uomini e non è necessario alcun adattamento quando un maestro maschio spiega una tecnica. Deve essere così, altrimenti significherebbe che c’è un Aikido per gli uomini ed uno per le donne.
Durante tutti i miei studi di Aikido la questione non si è mai posta. Uomini o donne, i migliori praticanti sono quelli che capiscono più velocemente, quelli con la tecnica più precisa, i movimenti più rapidi, ecc.
G.E.: Nello stesso volantino c’era scritto che le donne perseverano più degli uomini a parità di livello. Cosa pensa che significhi?
M.T.: Tutto quel che so è che i praticanti che ho conosciuto allora sono diventati insegnanti professionisti o tecnici rispettati, così non penso di essere stata più perseverante di loro, abbiamo avuto gli stessi risultati.
G.E.: Henry Kono mi disse che O-Sensei spesso diceva che “Solo le donne fanno Aikido” perché sembra che capiscano più velocemente la natura di non opposizione dell’Aikido. Che ne pensa?
M.T.: Forse l’unico vantaggio che le donne hanno è che non possono metterci la stessa forza e quindi devono fare movimenti più naturali, ma dopo qualche hanno non sono neanche convinta che sia ancora così. Ripeto, sono convinta che non dipenda dal sesso. Tutti capiscono la natura di non opposizione dell’Aikido ma alla fine chi si dedica di più ha i migliori risultati.
G.E.: Quando all’estero si parla di donne che praticano Aikido, nomi come Virginia Mayhew (recentemente scomparsa), Mary Heiny e Patricia Hendricks vengono fuori più spesso; le ha mai incontrate e scambiato qualche idea sui vostri differenti approcci?
M.T.: Ho conosciuto Patricia Hendricks in Canada circa 15 anni fa quando fece un’intervista a Christian durante un suo stage. In realtà lui ha anche partecipato ad un corso a San Francisco di recente e Patricia Hendrix era tra gli insegnanti. Non ho mai incontrato Virginia Mayhew e Mary Heiny quindi non ho mai potuto avere con loro scambi di idee, purtroppo.
G.E.: La sua celebrità in Francia significa probabilmente che la gente non viene al suo dojo per caso. Ha più donne nel suo dojo rispetto a quelli dove insegnano gli uomini?
M.T.: Quando abbiamo aperto il dojo a Nizza, è questo che pensavamo sarebbe successo, ma alla fine devo dire che il mio dojo in realtà non è diverso dagli altri, ho più uomini che donne a praticare con me.
G.E.: Lei ha ricevuto il 6° dan Aikikai dal Doshu Doshu Moriteru Ueshiba nel gennaio 2007. E’ la prima donna a ricevere un grado così alto. Si considera un modello per le donne che praticano un’arte marziale?
M.T.: Si, naturalmente; sia per quelle che vogliono cominciare che per quelle che già praticano. Infatti, durante gli stage, la proporzione di donne è più grande che nei corsi regolari. Vengono a dirmi che sono felici che ci sia una donna con un grado così alto, mi fanno un sacco di domande e spesso mi incoraggiano; una cosa molto carina.
G.E.: Spesso lei insegna anche ai bambini e mi sembra che abbia sviluppato un sistema pedagogico molto elaborato basato su disegni e immagini mentali. Quali sono secondo lei i benefici di praticare Aikido da un’età così giovane?
M.T.: Penso che ti riferisca a un articolo che ho scritto per Aikido Magazine dove spiegavo il mio insegnamento ai bambini e come mi assicuravo che imparassero le tecniche, ma per essere sincera con te, le lezioni ai bambini non sono mai state la mia priorità, preferisco le lezioni per adulti. Comunque, quando hai la responsabilità di un dojo, devi prendere gli studenti come un insieme.
L’Aikido è un sistema educativo e in base a questo i bambini imparano il rispetto verso gli altri (compagni ed insegnanti), il rispetto per il dojo, il materiale, ecc., imparano a condividere ed è un’attività fisica molto benefica, a condizione che si faccia attenzione a fare le cose nel modo giusto. Nel mio dojo accetto solo bambini dai 9 anni in su. Penso che sia l’età minima per iniziare a praticare Aikido, ma 11 anni sarebbe secondo me l’ideale.
G.E.: Alcuni esperti dicono che i bambini traggono maggior beneficio da pratiche più collettive e competitive nei primi anni di sviluppo e solo alla luce di queste esperienze dovrebbero eventualmente scegliere di apprendere una pratica individuale e non competitiva. Che ne pensa?
M.T.: Ovviamente, più maturo è un bambino, meglio è, perché l’Aikido è un’arte molto complicata ed esigente. Infatti non credo che sia adatta ai bambini piccoli; altri insegnanti potrebbero dire il contrario ma si tratta di un argomento di discussione piuttosto caldo (ride).
G.E.: Lei è una delle poche donne ad occupare una carica tecnica all’interno di una delle due federazioni riconosciute dallo stato. Ci può chiarire il suo ruolo all’interno della FFAAA?
M.T.: In realtà siamo solo in tre. Siamo parte dello staff tecnico della federazione e significa che possiamo essere chiamate a far parte di commissioni d’esame. Le diverse leghe regionali possono anche chiamarci a dirigere stage, ecc. Possiamo anche essere nominate direttori tecnici di una data regione.
G.E.: Con un numero così grande di donne che praticano all’interno della federazione, come mai così poche occupano una posizione tecnica?
M.T.: Forse deriva dal fatto che non abbiamo competizione. Nel Judo e nel Karate, ad esempio, le donne sono state riconosciute e vengono loro assegnate responsabilità tecniche dato che prima erano delle campionesse. Nell’Aikido dobbiamo combattere un po’ di più, ma credo che il nostro merito sia anche un po’ più grande. Per quel che mi riguarda, so che qualche presidente di lega ha fatto domanda alla federazione per chiamarmi a tenere degli stage
G.E.: Più di un anno dopo che il Doshu l’avesse insignita del 6° dan, sono sorpreso di vedere che ancora detiene solo il 5° dan GSDGE (la commissione francese per i gradi). Ci spiegherebbe come funziona questo sistema e perché un grado non segue automaticamente l’altro? [Notare che Micheline Tissier ha finalmente ricevuto il 6° dan GSDGE nella seconda metà del 2008].
M.T.: In teoria esiste un protocollo col Giappone che dice che nessun grado giapponese può essere assegnato se non si ottiene prima un grado francese. Esistono comunque alcune eccezioni, in particolare per chi ha vissuto in Giappone e ha preso direttamente i gradi dal Doshu. Nel mio caso, il Doshu mi ha nominato Yondan nel 1990 e la Francia me lo ha riconosciuto diversi mesi dopo. Per il quinto e il sesto dan è stato lo stesso. Quindi sto aspettando che la commissione federale regolarizzi la mia situazione. Detto questo, la mia relazione con il Doshu risale al 1976 e sono felice di aver avuto i gradi da lui.
G.E.: Il suo dojo di Puget sur Argens ospita praticanti da diverse organizzazioni. E’ questa apertura mentale dei praticanti, cioè la “base” della piramide che sono le federazioni, un esempio da seguire?
M.T.: Si, certamente. Penalizzare i praticanti non risolve nulla. Tutti sono i benvenuti nel mio dojo, da qualunque federazione vengano, perché penso che gli Aikidoka non debbano soffrire di problemi politici che non li riguardano assolutamente. Si, credo che siano un esempio da seguire, anche se non penso che aiuterà a superare i conflitti tra federazioni.
G.E.: Parliamo ora della sua pratica personale. Quali sono le specifiche che sta proponendo ai praticanti?
M.T.: Non ho assolutamente pretese a questo livello, insegno solo quel che mi è stato insegnato, mettendoci una buona atmosfera, dell’umorismo, la mia personalità, molte basi e un po’ di applicazioni.
G.E.: Da un punto di vista personale, quali sono i principi che al momento sta cercando di sviluppare o perfezionare?
M.T.: Praticare Aikido essendo una donna non è sempre facile. Sono stata “messa alla prova” molte volte, particolarmente durante gli stage, in quanto moglie di Christian, e poi nei miei stessi stage. Oggi voglio solo praticare per me stessa, non devo provare niente nessuno eccetto che a me stessa. Cerco solo di rendere fluida la mia pratica e di trovare sempre nuove applicazioni da condividere con i miei studenti. La mia più grande preoccupazione attuale è di fare in modo che tutti stiano bene sul mio tatami e penso di riuscirci. Come ho già detto, c’è molta gioia e umorismo nel mio dojo.
G.E.: Dopo più di 30 anni di pratica dell’Aikido, cosa la spinge a calcare ancora il tatami? E’ l’insegnamento o la sua pratica personale?
M.T.: Entrambi; l’insegnamento è il risultato di tutti questi anni di pratica e ricerca. Mi piace dare e condividere con altri quel che ho scoperto, quello di cui la gente è alla ricerca. Ricerca personale significa cercare continuamente nuove applicazioni o combinazioni, dicendo a se stessi che non si finirà mai. Da questo punto di vista credo che l’Aikido sia piuttosto eccezionale.
Ad uno stage a Torino nel 2014
G.E.: Dicevamo prima che lei ospita regolarmente praticanti della FFAB, l’altra federazione riconosciuta dal ministero. Pensa che ci siano differenze fondamentali nella pratica che questi due gruppi propongono?
M.T.: Ho sempre praticato l’Aikido per piacere, a prescindere dal gruppo; l’aikido resta l’Aikido e credo che a volte ci siano più differenze fondamentali tra quello che propongono insegnanti dello stesso gruppo che tra quelli di organizzazioni diverse.
G.E.: La gente si avvicina all’Aikido per molte ragioni diverse, ma cosa, secondo lei, li spinge a restare per così tanti anni?
M.T.: Probabilmente, il fatto che non ci sia alcun tipo di competizione, tranne che con se stessi: sempre meglio, sempre di più, ma per se stessi. Si resta a lungo forse anche per l’equilibrio che l’Aikido porta nella vita di tutti i giorni. Alla fine, sono certa che quello di cui parlavo prima, la buona atmosfera, il senso dell’umorismo e il senso di familiarità abbiano qualcosa a che fare con questo (ride)!
G.E.: Per finire, le piacerebbe lasciare un messaggio per i lettori?
M.T.: Auguro davvero il meglio a tutti gli aikidoka per il lungo viaggio che hanno difronte; non perdete sicureza perché la strada richiede un grosso impegno.
Foto di Bruno Mathis
Articolo di Guillaume Erard pubblicato in inglese su GuillaumeErard.com
Sito ufficiale di Micheline Tissier
Intervista a Christian Tissier