Titolo un po’ altisonante. Vi spiego i terremoti. Ma chi credo di essere? Beh…. sono un geologo, conosco il problema. Se volete sapere di infarti chiedete a un cardiologo, no? Se vi perde il rubinetto chiamate l’idraulico, non il cardiologo. O sbaglio? Il geologo sa di terremoti. Deve. Per forza. Anche se non se ne occuperà in carriera, deve conoscere bene il fenomeno, fa parte di una parte consistente dei suoi studi universitari. Quindi, per formazione accademica sa benissimo che si tratta di un fenomeno del tutto naturale su cui l’uomo non ha la benché minima influenza. E’ dovuto al fatto che la litosfera terrestre (l’involucro roccioso più superficiale del pianeta) è suddiviso in una serie di placche e microplacche; lungo i loro margini è distribuita la maggior parte dei terremoti perché le placche si muovono una rispetto all’altra. Ed enormi blocchi di roccia che “si strofinano” l’un l’altro fanno un bel casino. Il “casino” sono i terremoti: roccia che si spacca e l’energia rilasciata al momento della rottura si propaga in tutte le direzioni sotto forma di onde sismiche, oscillazioni del corpo roccioso che coinvolgono pure la superficie su cui noi viviamo. Sono onde del tutto simili a quelle generate da un sasso gettato in acqua (ma non sono solo quelle – è solo per rendere l’idea).
Le placche in cui è suddivisa la nostra litosfera si muovono in tempi geologici. Si parla di pochi centimetri l’anno. I margini delle placche, le zone sismiche, sono complessi intrecci di superfici di rottura della roccia locale. Ognuna di queste superfici si chiama faglia (in realtà si tratta di due superfici di roccia a contatto tra loro). Non si tratta di fratture: la differenza è che lungo le superfici di faglia avviene un movimento. Ma non è continuo. Si tratta di superfici rocciose, irregolari e piene di asperità che ne impediscono lo scorrimento immediato. Il movimento generato dalla migrazione delle placche è bloccato da queste asperità, dalla natura stessa delle superfici che ne segnano i confini. E l’energia si accumula, si accumula, si accumula. Ad un certo punto se ne sarà accumulata abbastanza per permettere il movimento che però sarà uno scatto improvviso: il terremoto. E’ questa la causa.
Tipi di faglia: cerca le faglie su duckduckgo
Date un’occhiata al link qui sopra: andando in giro per sentieri di montagna, i geologi possono osservare un gran numero di faglie. Basta saperle riconoscere, ad esempio da un evidente spostamento degli strati che non combaciano tra un lato e l’altro; dal contatto tra due formazioni geologiche di età diversa; e così via… Le faglie osservabili in affioramento sono, tranne che in casi particolari, ormai inattive. Hanno già espletato il loro compito di deformare le sequenze geologiche per accomodarsi rispetto alle spinte in atto. I movimenti di cui parliamo avvengono ormai altrove, di solito ad una certa profondità e, in tempi geologici, accatastano intere sequenze ispessendole fino a farle diventare catene montuose. Altre invece si comportano al contrario, accomodano distensioni che avvengono in una certa area. Altre ancora, come la famosa faglia di San Andreas in California, consentono lo scorrimento laterale, ma nel caso specifico si tratta di un vero e proprio margine di placca attivo osservabile in superficie! Per dirla tutta, i tre tipi di movimento lungo un piano di faglia (vedi figura in alto) si possono ritrovare tutti in una stessa area deformata. Si tratta di individuare le faglie ancora attive.
Immaginate di schiacciare un palloncino; il palloncino si deformerà sotto la nostra forza. Lo stesso accade alle rocce, si deformano sotto le enormi pressioni di intere placche litosferiche che vorrebbero muoversi. Se insisto a schiacciare il palloncino, ad un certo punto lo farò scoppiare. Anche il palloncino ha un suo limite di resistenza. Se continuo a schiacciare prima o poi lo supererò. Immaginate di sapere che c’è qualcosa che sta schiacciando il palloncino, qualcosa che certamente non si fermerà. Anche sapendolo perfettamente, sarà impossibile prevedere al millisecondo quando il palloncino esploderà. L’unica certezza è che esploderà. La stessa cosa accade con le strutture geologiche che sappiamo essere sismogenetiche, cioè in grado di provocare terremoti. Sappiamo dove sono (vedi la prima figura all’inizio dell’articolo) e come sono state generate, perché sono lì e a cosa servono. Non possiamo dire quando “scatteranno”, ma sappiamo per certo che lo faranno, perché lo hanno già fatto in passato. E conosciamo la “grandezza” dei terremoti che possono generare perché è già accaduto in passato. Di più non possiamo.
Sappiamo anche che il fenomeno naturale che innesca questi movimenti è immensamente più grande di noi. E’ un movimento a scala planetaria che coinvolge le parti del pianeta appena sotto la litosfera che è spessa all’incirca 100 km in media. Materiale semi-fuso e caldo risale nel bel mezzo degli oceani e solidifica diventando nuova litosfera (una placca). Raffreddandosi, il materiale diventa più denso e pesante ed in certe zone si reimmerge nelle profondità del pianeta spingendo le placche a muoversi. In queste zone si generano terremoti, vulcani, catene montuose. E’ un po’ semplificato ma volevo rendere l’idea dell’immensità del fenomeno rispetto alle dimensioni umane.
Ho avuto spesso a che fare con persone anche di un certo livello di cultura che si chiedevano se l’estrazione di fluidi dal sottosuolo (acqua, gas, petrolio) potesse innescare terremoti. Alcuni ne erano convinti qualunque cose dicessi. Le prime volte mi veniva da ridere per quanto balsana l’idea può apparire a un qualunque geologo. Mi spiegavo la cosa con l’estrema superficialità con la quale si affronta il programma di scienze nella scuola, in particolar modo quando si tratta di geologia. E sono ancora convinto che questo sia un problema più grande di quello che può sembrare: spesso, o sempre, nei posti in cui si devono prendere decisioni importanti per il paese troviamo persone che non sono per niente in grado di discriminare quali siano le ragioni reali di certi fenomeni naturali. Non tutti devono essere esperti di geologia, ma se si facesse un po’ più attenzione nello studio del nostro pianeta a scuola, probabilmente non si dovrebbe ricorrere a un geologo per capire che un pozzo per acqua o petrolio fa letteralmente il solletico al pianeta Terra in termini di profondità ed energie coinvolte rispetto alla sismicità naturale di una zona.
Purtroppo le comunità oggi appaiono letteralmente terrorizzate all’idea di fare una piccola puntura all’immensa litosfera. Un pozzo di quel tipo può raggiungere in casi particolari qualche migliaio di metri, ma il più delle volte si tratta di centinaia. La litosfera è spessa oltre 100 km. La parte alta, detta crosta terrestre, arriva a circa 70 km solo sotto le catene montuose, altrimenti si attesta attorno ai 50 km nei continenti (molto meno negli oceani – dove per altro non è utile fare pozzi). Un pozzo potrebbe raggiungere 1 km, o al massimo 4-5 km (non mi tirate in ballo il pozzo di Kola che è stato a lungo detentore del record di profondità ma era una sfida, non quello che si fa di solito per motivi commerciali). E’ vero che le faglie possono anche essere superficiali, ma la fisica della genesi dei terremoti ci insegna che estrarre fluidi dalla roccia nei pressi di una faglia aumenta la resistenza allo scorrimento = abbassa le possibilità di un terremoto (o meglio, ne rallenta l’evoluzione). Al contrario, l’iniezione di fluidi diminuisce la resistenza lungo la faglia. Però, solo molto raramente è stato dimostrato un’innesco di terremoti da parte di questo tipo di operazioni. I casi sono rari perché si tratta di quantità di fluidi iniettati davvero ingenti e nettamente superiori a quello che normalmente le rocce permeabili del sottosuolo possono contenere. Insomma, è successo solo in rari casi in cui si è davvero esagerato (mai in Italia)! E non si è mai trattato di terremoti devastanti, cioè pericolosi. Forse vale la pena sottolineare che quando si parla di estrazione o iniezione di fluidi nel sottosuolo, non si parla di farlo in serbatoi come grotte o caverne sotterranee: la roccia può essere porosa. Se i pori comunicano è anche permeabile. Di solito nei pori ci sono dei fluidi, spesso acqua, a volte idrocarburi (gas e/o olio). Sono dispersi nella roccia come in una spugna imbevuta. Un giacimento di gas o olio, o un acquifero, non sono delle enormi cavità piene di fluido. Un giacimento a gas non è come una bombola sotto pressione. Non può esplodere! E quindi se lo “svuoti” non crolla! La parte fluida è una percentuale bassissima del volume di roccia e se ne riesce ad estrarre una percentuale bassissima a sua volta.
I siti di stoccaggio per gas vengono individuati nei vecchi giacimenti già sfruttati, i cui pori sono già stati svuotati estraendo il gas. La natura non chiederebbe di meglio che ristabilire le condizioni iniziali reinserendo del gas dove è stato tolto. L’importante è non esagerare: non superare di molto le quantità originarie. Sottolineo che per rischiare l’innesco di terremoti bisogna superare quel quantitativo di moltissimo e solo in caso di giacimenti giganteschi, di dimensioni eccezionalmente grandi a livello mondiale, non quelle che abbiamo in Italia ad esempio.
Vale la pena aggiungere che se per assurdo riuscissimo in qualche modo a “sbloccare” una faglia prima che lo faccia da sola (magari dopo altri anni, decenni o secoli di accumulo di energia), il terremoto generato, qualunque sia la sua energia, sarebbe comunque inferiore a quella che libererebbe in futuro per sua natura. Insomma, se per assurdo iniettando fluidi nel sottosuolo davvero potessimo innescare terremoti lungo delle strutture sismogenetiche, ne libereremmo prima l’energia impedendone l’accumulo: abbasseremmo la magnitudo dei terremoti di quell’area e sapremmo anche quando avverrebbero! Sarebbe quasi auspicabile più che da temere…
Se poi avete paura della geotermia, l’iniezione di fluidi in quel caso è ridicola rispetto allo stoccaggio di gas. E’ ridicolo pensare che possa influenzare la sismicità di un’area (faccio un pozzetto ed influenzo i movimenti delle placche eurasiatica ed africana? Mah…). Ma la realtà è fatta di progetti bloccati perché la gente ha paura di questo; e si può accettare: la “gente” non deve essere esperta. Il sottosuolo è sconosciuto, non lo possiamo vedere, ciò che ne sappiamo lo abbiamo estrapolato da indagini indirette. Posso capire che ci si spaventi di qualcosa che non si conosce. Il problema si ha quando chi deve decidere crede a queste panzane e blocca progetti strategici per il paese. Bastava fare un po’ più di scienze a scuola…
PS:
Se proprio la vogliamo dire tutta, il terremoto è un evento sismico: è generato dal movimento, scorrimento lungo un superficie di faglia. Qualunque tremore della superficie terrestre registrabile da un sismografo non è un terremoto di origine sismica. I sismogramma di un evento sismico è diverso da quello che registra magari un crollo in una cava, un’esplosione nucleare, il passaggio di un autotreno, il movimento di un magma nel sottosuolo o un’eruzione vulcanica. Se l’iniezione di fluidi nel sottosuolo è effettuata a pressioni “esagerate” può innescare fratturazione. All’aprirsi delle fratture si generano delle piccole vibrazioni, è del tutto normale. Se esse raggiungono un sismografo e vengono classificate come terremoti a magnitudo Richter, non significa che l’iniezione di fluidi abbia generato terremoti: in quel caso non ci sono stati movimenti lungo una faglia, non si dovrebbe parlare tecnicamente di terremoti ma più generalmente di tremori. Ma non lo fa nessuno…
Diverso è ipotizzare che l’iniezione di fluidi possa innescare il movimento lungo una faglia che già sta accumulando energia. Teoricamente è possibile a patto che la faglia sia abbastanza superficiale da essere sufficientemente vicina alla zona di iniezione da risentire del cambiamento di pressioni. Il cambiamento di pressioni nella roccia deve essere però particolarmente importante ed effettuato in un’area davvero molto estesa.