La parola giapponese Budo è stata tradotta in occidente come arti marziali. Le arti originarie non intendevano solo rinforzare il corpo, ma andavano ben oltre, coinvolgendo l’uomo nella sua completezza. Esse, contrariamente all’ampliata odierna concezione dell’arte marziale, si incentravano sulla via (Do) che doveva essere percorsa dall’uomo attraverso l’esercizio per arrivare ad una nuova coscienza. Le arti marziali moderne corrono sempre più il rischio di perdere il valore educativo ed il contenuto spirituale. Mentre in molti aspetti della vita si sviluppa una nuova coscienza e l’uomo viene invitato a riflettere sulle esperienze vissute, le arti marziali moderne non sono disposte a fare altrettanto.
Anche se per le arti marziali odierne si può dire che esistano dei sentimenti, considerando la maggioranza delle scuole, la situazione è sufficientemente scoraggiante da allontanare chi è impegnato nella ricerca spirituale e del significato della vita. Eppure l’interpretazione moderna delle arti marziali come sport ha poco a che fare con la Via originale di queste arti. Ogni Via autentica porta alla libertà della persona: non alla libertà dai dogmi, tanto meno a quella dalle convenzioni; le regole ed i divieti esistono, naturalmente, anche per l’uomo libero poiché essi rappresentano l’unica possibile organizzazione della vita sociale. Però la Via che porta all’individualità legittima perde ogni vincolo per unirsi attraverso il riconoscimento di se stessi ad un significato interiore. Qui comincia la libertà ed è caratterizzata da un continuo liberarsi da vincoli del pensiero convenzionale. L’impegno, però, non è in lotta contro le regole costrittive, ma per cercare profondità interiore; ed è così che viene accettata ed acquista significato gettando un ponte tra la forma ed il pensiero, tra i vincoli e la libertà, tra l’uomo e il mondo circostante.
L’impegno personale è enorme. Questo consente di liberarsi dalle catene della forma. Chi procede sulla Via mette se stesso in contrapposizione ad ogni possibile forma. Egli ben sa che senza contrasto le forme assunte non hanno valore e che ogni sforzo teso alla realizzazione della forma non dovrebbe essere lo scopo, bensì il mezzo per raggiungere la realizzazione di se stesso.
Quindi nel Budo, anche per la forma, non si parla di valori tramandati ai quali l’allievo partecipa dopo averli assorbiti. Non sarebbe più una possibilità di trovare se stessi. Questi valori acquistano significato solo se raggiungono la profondità dell’uomo. La pura imitazione di una forma, sia essa sapere o potere, non ha mai senso.
In Asia il Budo è una Via. Budo racchiude tutte le Vie (Do) che derivano dalle arti marziali giapponesi (Bujutsu). In realtà esso è composto da tanti sistemi (Judo, Karate-do, Kyudo, Aikido, etc.) nella cui rappresentazione grafica è sempre presente la parola “Do”. Questo indica chiaramente che la tecnica di combattimento non è lo scopo di chi pratica, ma un mezzo per raggiungere un più alto ideale.
Il Budo si sviluppò come Via dal Bujutsu, che era una pura tecnica di guerra. I Maestri del Bujutsu riconobbero che l’esercizio della tecnica per il solo scopo di morte era cosa insensata e senza valore per l’uomo. Di conseguenza cambiarono gli scopi dei loro esercizi, concentrando lo sforzo non contro l’avversario, ma verso se stessi. Riconobbero che l’attrazione verso l’esteriorità delle cose era l’ostacolo sulla Via che impediva di raggiungere la più alta conoscenza e che il nemico da battere non è l’avversario sul campo ma dentro se stessi. Con questo nel secolo XVI molti Maestri abbandonarono le arti del combattimento giapponese, formulando un nuovo principio che non era principio di morte, ma insegnamento di vita.
Per Budo non si intende, allora, una Via che tende al sapere o al potere, anche se il combattimento è una naturale conseguenza dell’esercizio, ma piuttosto l’esercizio delle arti marziali attraverso la tecnica per giungere all’Io. Per la massa che si concentra sul “potere”, il Budo serve per superare quell’Io che tende all’egoismo delle apparenze attraverso l’umiltà, l’adattamento e la modestia.
Il Budo è uno stile di vita, l’esperienza costante di se stessi che rende l’uomo libero, in salute ed equilibrato. Percorrendo una via come questa l’uomo non esercita la tecnica per nessuno scopo particolare, ma si esercita a mantenere il contatto costante con l’ideale più alto possibile. Ogni esercizio contempla il tentativo di far uscire l’individuo dai limiti del suo piccolo Io. Un tale esercizio acquista valore solo se privo di aspirazioni egoistiche, se eseguito liberamente senza lo scopo di vincita premeditata.
L’esercizio delle arti marziali si giustifica solo con l’intento di farlo essere l’arte della Via (Do). I vari sistemi sono solo mezzi attraverso i quali ricercare e trovare il proprio senso di vita. L’uomo che si lascia andare alle forme senza cercarne il significato non è migliore degli animali. La Via serve per raggiungere qualcosa più in alto e per contrastare la tendenza a lasciarsi andare agli istinti più bassi. In assenza di tale significato anche le arti marziali diventerebbero una parodia priva di spirito, fatta di raffinatissime tecniche ed una filosofia intellettualizzata, ma senza valore umano e priva di contenuti.
Deshi è il termine giapponese con il quale si indica un allievo, colui che impara o si istruisce. Nelle arti della Via l’essere allievo ha, però, un significato diverso da quello tradizionale perché il primo vive un rapporto (Shitei) particolare con l’insegnante. I progressi che fa l’allievo dipendono più da questo rapporto che dallo stesso apprendimento.
Se un uomo vuole imparare qualcosa per avere successo nello sport o nella società, il Maestro di Via è la persona sbagliata. In tal caso è bene che si rivolga ad una società sportiva dove l’allenatore gli insegnerà tutte le tecniche necessarie. L’allievo della Via è diverso dall’apprendista che vuole imparare la forma. Ecco perché il Maestro chiama allievo solo quella persona in cui esiste il potenziale per percorrere la Via. Solo quando il Maestro è convinto di queste capacità acconsente quella relazione insegnante-allievo orientata alla Via. Prima che tutto ciò accada possono passare anni di lezioni. Da questo momento il Maestro riconoscerà i limiti della tecnica che si spingono nel senso della vita. Il più delle volte questo accade nel grado della cintura nera, cioè quando un allievo è padrone delle tecniche. Se l’allievo ha ricevuto un giusto insegnamento ed è giunto al punto di rifiutare la competizione, egli stesso si pone la domanda che porta al significato profondo dell’esercizio. Allora l’allievo delle forme diventerà allievo nel Budo.
La volontà di raggiungere la perfezione della forma senza lotta interiore, senza disponibilità al sacrificio e all’ideale, viene considerata da tutti i Maestri come un tradimento dei principi della Via. Solo i pochissimi membri di un Dojo possono quindi saltare l’ostacolo della forma per incamminarsi lungo la Via.
Nella maggior parte dei moderni Dojo le arti marziali non vengono intese come Via ma come sport agonistico e quindi, ai fini del rapporto insegnante-allievo di cui si parlava sono irrilevanti. Ma è proprio quando un Dojo è dedicato alla Via che i pochi membri diventano allievi della Via. Tutti i Dojo dell’epoca moderna vengono condizionati da regole sociali, tanto da non poter esistere senza lezioni di gruppo. Per ogni allievo viene programmato un tempo di preparazione obbligatorio che per gradi viene comparato alla Via. In questo periodo vengono gettate le basi per qualsiasi sviluppo futuro. L’essenziale unicità di un Dojo deriva dal principio che fa emergere solo quegli individui emblematici nella loro interiorità. Un Dojo mosso dallo spirito del Budo va contro gli allievi sciocchi e rende infelice l’uomo profondamente impegnato nelle scuole di arte marziale alla Rambo. Ciò che si impara in un Dojo aiuta ad affrontare il quotidiano. Bisogna sempre inchinarsi quando si entra nel Dojo o si esce da esso. Il saluto tradizionale nel Budo si fonda sul rispetto nei confronti degli antenati e di qualsiasi cosa che sia sopra di noi. Questo è importante per lo spirito del Budo. Sviluppa l’umiltà nell’attegiamento generale nei confronti della vita. Bisogna lasciare il proprio Io al di fuori della porta. In una tale atmosfera si può imparare meglio. Con l’atteggiamento con cui si entra in una palestra e si fa sport non si può apprezzare. Questo lo si fa per scaricare la tensione, per irrobustirsi e per conoscere nuove persone. Il Dojo è un luogo di autoperfezione. La lotta più importante che vi ha luogo è quella contro noi stessi, contro il proprio Io.
All’inizio gli allievi hanno bisogno di una grande forza nella lotta per farsi valere o riconoscere. Il Maestro non è interessato a questa lotta, ma solo al potenziale interiore dell’allievo. Per questo motivo, ogni volta che è possibile, il Maestro intralcia la Via dell’allievo. Il confronto è per questi l’esercizio più importante. Il Maestro prende con sé l’allievo quando questo evidenzia la capacità di raggiungere un ideale più alto e dimostra di non usare la potenza nella sua completezza per l’immagine ed il prestigio, quando ha raggiunto una determinata preparazione tecnica.
I veri allievi della Via cercano i miglioramenti altrove, il loro esercizio è fatto della sfida continua del movimento verso l’ideale, oltre l’ultima verità raggiunta; tutto questo si traduce in una lotta quotidiana, nella conoscenza e nel superamento di se stessi.Una decisione del genere non può essere presa da tutti. Molti allievi cercano una via d’uscita e la trovano nell’imitazione della tecnica ed in questa cercano di avvalorare l’idea che loro hanno in merito al progresso personale. Anche questo esercizio ha il suo valore, pur non avvicinandosi alla Via del Budo, che consiste nel contrastare sempre qualsiasi sentimento dell’Io tendente all’immagine ed al prestigio.
Un vero allievo non può sottrarsi ai continui attacchi del Maestro senza cadere nella dipendenza dalla forma e non può sostituire quanto distrutto dal Maestro con qualcosa che imiti ciò che il Maestro ritiene giusto. Il Maestro distrugge la forma cui si attacca l’allievo non perché sia sbagliata o perché ne conosca una migliore, bensì per proporre un nuovo motivo di conflitto interiore. L’allievo resterà deluso se crede di raggiungere la pace facendo piacere al Maestro. Il Maestro non vuole una copia di se stesso, ma un essere autonomamente pensante, responsabile e capace di agire. Egli si rivolge contro tutto ciò che viene dato per scontato, ciò che viene imitato o assorbito senza vaglio critico.
Gli antichi Maestri delle arti marziali tradizionali avevano due tipi di allievi: quelli interiori (Uchi-deshi) e quelli superficiali (Soto-deshi). “Uchi” significa “la parte interna della casa”. Questo significa che l’Uchi-deshi entra nella sfera privata del Maestro, avendo la possibilità di osservarne la vita quotidiana e le abitudini. “Soto” indica la parte esterna, quindi è riferito a quegli allievi che in qualche modo perseguono degli scopi esclusivamente personali e che, come spesso accade nella storia delle arti marziali, vogliono fare carriera con la conoscenza tecnica. Queste persone non percepiscono il significato autentico delle arti marziali intese come Via.
Oggi molte persone si avvicinano alle arti marziali principalmente per l’aspetto agonistico dell’attività. Il principio dell’attività agonistica è in contrasto con quello della Via. Essa inizia solo nel momento in cui il piccolo Io, con le ambizioni di perfezione tecnica, comincia a cedere, consentendo alle potenzialità dell’uomo di prendere il sopravvento. L’esercizio delle arti marziali nel segno della Via apre strade per il progresso diverse da quelle offerte dalla semplice perfezione della tecnica praticata normalmente. L’esercizio della forma guidato dall’Io non arriva in profondità.
I Maestri definiscono Budo solamente quelle tecniche affrancate dall’Io e quindi utilizzabili per percorrere la Via. Qualsiasi cammino intrapreso sulla Via ha un senso insito nella vita e di questo è l’uomo responsabile, non la forma. Il valore di un esercizio non può essere valutato senza considerare l’uomo che lo esegue. Se l’esercizio è fine a se stesso ed è privo di qualsiasi significato interiore, esso no ha alcun valore per la Via (Do). Lo specialista della forma non può vedere una Via e nemmeno comprendere un insegnamento perché interiormente non ha stimoli. Ai suoi occhi la forma del Do rimane qualcosa di cui parlare che non ha significato e contenuto. L’imitazione delle forme non ha contenuti.
Oggi i Dojo delle arti marziali sono pieni di gente abituata a classificare, analizzare e a pensare in maniera logica. La fiducia assoluta nella razionalità non porta a nessuna Via e a nessuna più alta conoscenza, ma a una crescente dipendenza dall’illusione. La razionalità invece costruisce l’idiota delle forme che confonde la realtà con la sua forma esteriore.
Il segreto della Via non può essere carpito dalla ragione. La Via può essere compresa solo guardando a chi l’ha percorsa prima di noi e la loro esperienza può arricchirci solo se sappiamo porci interiormente le domande nel modo giusto. L’esempio di chi ci ha preceduto può incoraggiarci a seguire la nostra Via da soli. Non ci è consentito imitare il loro essere. L’imitazione si pone sempre in contrasto con la nostra interiorità. La Via percorsa da altri ci serve solo da esempio.
Il Maestro agisce sempre nel segno dell’umiltà. Senza umiltà il Maestro non è tale. Il Maestro insegna in base all’esperienza fatta lungo il percorso della sua Via, ricorrendo a modo proprio a forme esistenti da lungo tempo. Non è la copia della forma perfezionata, ma la rinnovata creazione delle stesse forme che abilitano un maestro ad insegnare. Il Maestro autentico non insegna attraverso la forma, bensì attraverso ciò che egli è. Ciò che convince di lui non sono le sue parole, ma il fatto che egli è ciò che dice. L’insegnamento è dato dalla sua presenza, non dagli argomenti trattati. Per lui gli argomenti giusti possono non essere valori autentici. Il Maestro vede l’Io attraverso qualsiasi maschera. L’allievo sente questa forza inspiegabile, da lei si sente attratto e minacciato.
Allora proprio per la vicinanza umana, il rapporto tra Maestro e allievo è sottoposto ad una prova di rottura costante. La presenza del Maestro significa una lotta perenne annunciata per l’Io dell’allievo. Egli sente la minaccia che è direttamente proporzionale al progresso dell’allievo.
Il Maestro contrasta qualsiasi idea o comportamento imitato, per lui ha valore solo ciò che proviene dall’uomo. La tecnica è il metro di misura, la sfida allo sforzo, alla volontà, al fervore, alla costanza, tutto per superate se stessi. L’allievo può dominare tutto ciò solo attraverso la disciplina e la conoscenza. Percorrendo la Via, il duro lavoro fisico rafforza il corpo, donando allo spirito la giusta dimensione.
Eppure nell’esercizio della tecnica l’allievo ed il Maestro vivono numerosi malintesi. Il Maestro giudica il contenuto, l’allievo invece l’aspetto esteriore. Non di rado accade che il Maestro di grande talento tolga la propria fiducia ad un particolare specialista della forma, dandola invece ad altre persone visibilmente meno dotate, preferendo allievi modesti. Il Maestro conosce la Via e lo stato di evoluzione. L’allievo si sforza per il solo miglioramento tecnico e non riconosce gli ostacoli nella loro natura. Il Maestro esperto riconosce nella tecnica innumerevoli sfumature che indicano il potenziale dell’allievo a percorrere la Via. L’allievo limita il proprio campo visivo alla tecnica, il Maestro riesce a vedere tutto l’uomo, la lotta per l’affermazione di se stesso, i suoi orientamenti, i punti di forza e le debolezze interiori. L’esecuzione degli esercizi deve essere assolutamente guidata dallo stesso Maestro. I principianti, per i quali il problema si limita all’apprendimento della tecnica, possono essere guidati dai Senpai che hanno imparato l’esecuzione delle forme. In questo modo l’esperienza di chi occupa una posizione più elevata va a vantaggio di quelli posti più in basso.
La Via del Budo è strettamente connessa all’atteggiamento generale di fronte alla vita. Il Maestro conosce la possibile inclinazione univoca dell’uomo verso la sola forma e quando necessario contrasta la spinta verso l’Io egoista. Gli egocentrici non riescono ad accedere al significato della Via perché manca loro la fiducia. Il pensiero di questi si limita al piccolo Io e da questo non riescono ad estraniarsi.
Un principiante conosce prima le forme del sistema, ne studia l’ordine degli esami per raggiungere le diverse cinture e valuta le proprie possibilità. Se nel contempo egli valuta anche la Via, si accorge che ogni piccolo passo in avanti comporta delle diverse responsabilità interiori. Tutti gli allievi tendono verso l’alto, ma senza il giusto atteggiamento l’aspirazione a progredire diventa arrivismo. I più alti livelli del Budo non si raggiungono in questo modo, ma solo assumendo una sempre maggiore responsabilità nei propri confronti verso l’arte. Spesso gli allievi lo dimenticano e scelgono la sola immagine: sarà allora che il Maestro chiederà all’allievo di confrontare la propria interiorità con l’esterno.
Il Maestro spiega la tecnica e, contemporaneamente, con la sua personalità, insegna la Via. L’elemento comunicativo fondamentale che sorge dall’allievo nel corso di qualsiasi forma di allenamento è la conseguenza della sola presenza del Maestro. Il Maestro emana qualcosa che in qualche modo affascina l’allievo. È questo, non la tecnica, che indica al vero allievo la giusta Via, che lo spinge ad ulteriori progressi per consentirgli, in ultimo, di fare il passo decisivo. Però l’allievo non riesce sempre a sostenere la personalità del Maestro. Molti allievi lottano per raggiungere uno stato, per un principio giusto o per realizzare un desiderio. Il Maestro riduce tutto ciò che viene dall’Io che non porta a nulla, al fine di indurre l’allievo a decidere tra la forma e la Via.
In Giappone si racconta la storia di una vecchia signora che aveva perso la forcina dei capelli in casa e la cercava dappertutto. La cercava nel giardino e nel cortile senza trovarla. La sua vicina di casa, notando quel movimento, si offrì di aiutarla e le chiese come mai cercava in giardino se aveva perso la forcina dentro casa. La vecchia signora rispose: “In casa è buio, quindi sto cercando dove c’è un po’ di luce che mi consente di vedere”.
Lo stesso vale per l’allievo: per molti anni cerca di imitare il Maestro nel suo essere, ma in questo modo si allontana dal proprio essere originale. Invece, guardando all’esempio del Maestro, l’allievo deve cercare dentro se stesso e far crescere ciò che trova in se stesso. Il vero Maestro è dentro se stessi ed è solo dentro se stesso che la ricerca è fruttuosa.
In Giappone si racconta la storia di una vecchia signora che aveva perso la forcina dei capelli in casa e la cercava dappertutto. La cercava nel giardino e nel cortile senza trovarla. La sua vicina di casa, notando quel movimento, si offrì di aiutarla e le chiese come mai cercava in giardino se aveva perso la forcina dentro casa. La vecchia signora rispose: “In casa è buio, quindi sto cercando dove c’è un po’ di luce che mi consente di vedere”.
Lo stesso vale per l’allievo: per molti anni cerca di imitare il Maestro nel suo essere, ma in questo modo si allontana dal proprio essere originale. Invece, guardando all’esempio del Maestro, l’allievo deve cercare dentro se stesso e far crescere ciò che trova in se stesso. Il vero Maestro è dentro se stessi ed è solo dentro se stesso che la ricerca è fruttuosa.
Tutte le arti del Budo nascono dalla tradizione e per suo tramite vengono tramandate. Lo studio della tradizione arricchisce la tecnica e contribuisce a dare un significato più profondo all’esercizio. Ecco
perché in molte scuole di Budo la tradizione e la tecnica vengono insegnate contemporaneamente. Spesso oggi le arti marziali vengono insegnate senza essere accompagnate dalle regole comportamentali. Quel Maestro che insegna solo l’aspetto fisico non è un buon Maestro. Se un allievo arrogante esercita il Budo per molti anni egli deve, per altrettanto tempo, inchinarsi difronte al Dojo e a quelli che sono più eruditi di lui. È proprio con questo atteggiamento che gli viene rammentato di volta in volta che egli supera l’arroganza.
Anche le tecniche formali hanno la loro importanza. I Kata vengono oggi spesso criticati e molti insegnanti che svolgono la loro opera al di fuori della tradizione li sostituiscono con esercizi di combattimento per ottenere dei buoni risultati di lotta in minor tempo. Però le arti marziali sono un metodo per disciplinare l’Io e un allievo lo capisce esercitando i Kata per molti anni.
Chiunque voglia apprendere le arti marziali, comincia nel livello Shu (la forma). Questo livello, che abbraccia l’intero sistema Kyu, non è parte della Via, ma è una preparazione alla Via. Qui si parla di apprendere le basi tecniche e di raggiungere quell’atteggiamento nel quale sarà possibile l’insegnamento della Via vero e proprio. Anche se il livello Shu pone dei grandi requisiti tecnici, esso non pretende di insegnare la Via. Insegna la forma e mantiene una notevole distanza dalle discipline spirituali del Budo.
Al livello di cintura nera la maturità spirituale si fonde con quella tecnica e si manifesta come comportamento. Il praticante rimane allievo e necessita per forza di un Maestro, ma questi non insegna nulla, si limita a guidare la ricerca. Il praticante è responsabile di se stesso. Vengono messe alla prova la sua considerazione, la sua responsabilità, la sua dedizione ed il suo sacrificio. La presenza del Maestro è insegnamento.
Viviamo in un’epoca caratterizzata dall’abuso di potere, dall’abbondanza e dalla ricchezza. Questo rovina gli uomini, rendendoli presuntuosi, superficiali e megalomani. Per questo molti uomini soffrono nell’anima e si distruggono accecati da se stessi. Molte delle virtù che rendono gli uomini degni del loro nome vengono dimenticate e sostituite da legali scortesie. Gli uomini che comprendono la vita in questo modo non possono esercitarsi nel Dojo. Le basi di ogni arte nel Dojo sono riflessione, sobrietà e umiltà.
Per capire questo non basta studiare la filosofia delle arti marziali. La Via del Budo consiste nell’esercitarla.
Quando un principiante si inchina davanti ad un avanzato, impara a controllare il suo Ego. I Maestri del passato sapevano che un uomo non può cambiare la propria essenza solamente entrando in un Dojo. Perciò essi insegnavano non solo la tecnica ma attribuivano all’etichetta delle arti marziali un’importanza primaria. Con essa e attraverso la lunga ripetizione delle basi gli allievi imparano la modestia e a guidare la propria aspirazione.
Il Budo è un termine generico che indica i metodi di un’arte marziale, originati, sotto l’aspetto della Via (Do), dal Bujutsu (tecnica dei guerrieri). Come metodi di lotta mortali, le tecniche del Bujutsu si sono sviluppate nel corso dei secoli, ma solo quando hanno avuto contatti con la filosofia Zen hanno acquisito un contenuto etico e sono diventate Budo (La Via dei guerrieri).
Lo scopo degli antichi maestri era quello di liberarsi della fondamentale paura della morte, proprio attraverso la pratica delle arti marziali. Essi riconoscevano anche che uccidere, come veniva insegnato dall’antico Bujutsu, non permetteva di risolvere questo problema; perciò trovarono nella filosofia Zen il mezzo per raggiungere il loro scopo.
Essi sospesero la battaglia con il loro nemico e la rivolsero contro il proprio Io. In questo modo raggiunsero l’accordo fra esistenza di vita individuale e la naturale condizione vitale. In questo consiste anche oggi il grande valore del Budo. Mentre i Maestri rivolgevano contro se stessi i medesimi metodi che utilizzavano contro il loro avversario, nasceva un’arte della vita proprio dall’arte marziale della morte. Un esercizio severo divenne il mezzo per scoprire i limiti fisici e spirituali e per rivolgere il desiderio di ricerca, innato nell’uomo, al perfezionamento delle sue capacità interiori. La pratica del Budo, sotto il controllo di un Maestro e prestando attenzione alle adeguate regolarità, può condurre l’uomo all’armonia con se stesso e il mondo. Attraverso il superamento dell’Io, che vale come importante presupposto per la Via, egli può imparare, nella pratica, a riconoscere se stesso e a realizzarsi come uomo. Se il praticante dovesse respingere questa condizione e cercare invece la perfezione formale, egli non potrà riconoscere la Via.
Le Vie del Budo sono molte in Asia, ma hanno tutte lo stesso scopo: Insegnano agli uomini a capire i loro nessi interiori e a perfezionarsi attraverso la pratica. Ognuna di queste Vie ha sviluppato la propria tecnica (Waza) ed esorta gli uomini a sviluppare il proprio spirito (Shin) e la propria forza interiore (Ki).
Il risultato di questa pratica non è soltanto il padroneggiamento dell’arte marziale a livello fisico ma anche, e maggiormente, la vera meditazione sulla propria condizione in vita. Se non si raggiunge questa condizione di armonia interiore, tutti gli altri livelli più alti di progresso possibile nel Budo non risultano possibili. La Via del Budo non si fonda perciò soltanto sull’esercizio fisico nel Dojo, ma in una lotta per la giusta azione.
Nessuna forma, neanche l’arte marziale, ha un valore in sé; il suo valore dipende dallo spirito di colui che la pratica.
Comunque lo scopo di ogni pratica nella Via rimane l’intero essere umano. Perciò ogni pratica della Via è accompagnata da una filosofia della Via, la quale è pensata meno come studio intellettuale e più come pratica comportamentale. Essa ha come base il progredire sulla Via e, quanto più procede il praticante, tanto più questo sarà visibile nel suo comportamento.
Perciò non si può parlare del senso di una pratica se si considera solo la forma. Tutto ciò che costituisce il valore di una forma è nell’uomo. Quando la forma viene riempita di contenuti umani, nascono i valori. La pratica nel senso del Budo non è la forma, ma la realizzazione degli uomini. Non è uno sport in cui bisogna misurare le capacità raggiunte nella competizione, ma è una riflessione sui valori umani. Nelle arti marziali la tecnica è un mezzo, nello sport è lo scopo.
Ai nostri tempi è in atto un’accesa discussione in merito alla legittimità degli insegnamenti del Budo ed al diritto alla tradizione dell’insegnamento. È raro vedere che in Dojo si segua la Via del Budo. Vi sono molti allenatori autorizzati dalle federazioni il cui compito è di addestrare alle competizioni; tuttavia trovare un Maestro che persegua la Via, il cammino, è cosa rara.
Cosa si intende quando si parla di valore nel Budo? Cosa si propone un’organizzazione proclamando di essere l’unica istituzione legittima nell’ambito della quale viene praticato il Budo ufficiale? Vi sono dei direttori degli esercizi non maestri che sono a capo di scuole e di associazioni e che in nome del Budo insegnano ciò che ritengono giusto, e per conferire a questo materiale didattico la parvenza di ufficialità si aggregano in associazioni che promuovono tutto quello che torna a proprio vantaggio.
Nel Budo non vi è nulla di ufficiale a parte quanto certificato da un vero Maestro nel rapporto docente/discente individuale. I maestri non sono tali in quanto investiti dell’incarico dalla federazione, né vi è un valore che essi siano autorizzati a certificare. L’istanza suprema del Budo è il Maestro individuale, a sua volta confermato dal proprio Maestro. È solo ed esclusivamente questi che può rilasciare al proprio allievo un regolare certificato di progresso, che consiste nell’abilitazione ad insegnare e nella designazione dell’allievo a proprio successore.
Il valore del Budo sta nell’uomo e il documento convalidato ufficialmente non ha alcun valore se non trova in ogni momento della vita un riscontro effettivo nella condotta. Il Budo è un arte che non si estrinseca nell’esteriorità. L’esercizio insiste nell’edificare in se stessi un valore che emerga “nel presente, nel qui contingente”. Pertanto il valore del Budo sta nell’eterna lotta per il giusto comportamento nel momento presente.
L’esercizio “ufficiale” del Budo viene meno se manca questo atteggiamento. Nessun altro, all’infuori del Maestro è in grado di attestare questo processo. Se ci si limita a puntare alle vittorie nelle competizioni, si depauperano le arti marziali della loro essenza. Il Budo non è un fatto di “immagine”, bensì un mezzo per addestrare il proprio Io. È qui che va ricordato il suo unico senso.
Siamo abituati a prestare fede all’ufficialità di stampiglie e firme invece che guardare il valore effettivo della persona. Ciò consente ai sempre più potenti burocrati del Budo di approfittare dell’ingenuità dei discepoli. La vera essenza delle arti marziali viene tramandata “cuore a cuore”, ove sono la modestia e l’umiltà ad assumere il ruolo prominente. spesso gli allievi interni (Uchi-deshi) di un’arte marziale diventano noti molti anni dopo la propria designazione, mentre gli alunni esterni (Soto-deshi), più superficiali, da sempre si accalcano nelle prime file e si battono per riconoscimenti vari. Solo quando ci si rende conto di essere vicino ad un vero Maestro, il cui comportamento parla da solo, si scoprono i tratti dell’Uchi-deshi. Ma più speso questi rimangono nell’anonimato. La proclamazione altisonante di alcuni insegnanti non fa altro che distinguere l’impostore.
Alle arti del Budo non può occorrere sventura maggiore che essere interpretate e quindi autorizzate da menti burocratiche-affariste. Il burocrate considera il Maestro tradizionale come eterno nemico da combattere vita natural durante. Laddove il burocrate con la sua mentalità affaristica e miope è all’opera ed applica il Budo secondo la sua interpretazione, viene meno ogni contenuto.
La Via del Budo non è la via delle istituzioni. È invece una Via che può essere percorsa solo al di là di una burocrazia tutta regole, perché il rapporto Maestro/discepolo è libero, personale e non convenzionale e contrasta con lo schema di insegnamento delle organizzazioni. Un tale rapporto esclude corsi per corrispondenza, seminari settimanali, formazioni di allenatori ovvero esami al cospetto di commissioni autorizzate; esso implica solamente una convivenza pluriennale di una comunità di Budo con un Maestro che già persegue la Via. L’insegnamento non consiste in ciò che questi dice o mostra o trasmette in qualsiasi altro modo, bensì nella sua vicinanza in sé per sé. La sua vicinanza personale al discepolo consente di capire intuitivamente ciò che è il Budo e di svilupparlo internamente a se stessi. Tutto ciò che va al di là di questo è puro artificio.
Un vero Maestro non cerca l’ufficialità, bensì vive nel gruppo dei suoi discepoli. Cerca la sfida nella Via e tenta al tempo stesso di fare della Via l’ideale dei discepoli. L’unico segno tangibile di una tale sfida è l’umiltà. Questo è il vero insegnamento del Budo.
Un vero Maestro non cerca l’ufficialità, bensì vive nel gruppo dei suoi discepoli. Cerca la sfida nella Via e tenta al tempo stesso di fare della Via l’ideale dei discepoli. L’unico segno tangibile di una tale sfida è l’umiltà. Questo è il vero insegnamento del Budo.
Estratti dal libro Budo, la Via Spirituale delle Arti marziali, di Werner Lind – Ed. Mediterranee, 205 pp, 17×24, anno 1996.