A cavallo del 2004 e del 2005 ebbi l’occasione di lavorare negli USA, tra New York e New Jersey per circa tre mesi. Esperienza dura ed intensa. Quello che segue è un resoconto inviato agli amici italiani dopo un paio di settimane, mentre ero a bordo di una vecchia nave oceanografica nella baia di New York. Ovviamente quello che scrivo è anche frutto dello stress a cui ero sottoposto. Diverse cose sono cambiate da quell’anno nei miei rapporti con New York. A distanza di 9 anni il ricordo di quel periodo è molto più positivo di quello che traspare dal testo.
Dopo meno di un mese, colei che ora è mia moglie sarebbe venuta a trovarmi per un weekend e la nostra storia iniziò a New York, dove tornammo per coronarla nel giugno 2007, sposandoci a sorpresa prima dell’amico (il datore di lavoro di allora) che ci aveva invitati al suo di matrimonio.
L’ultima volta tornammo nell’estate del 2010 per far conoscere il nostro piccolino, allora di 7 mesi, ai parenti. Oggi posso dire che sia loro che The City mi mancano, e parecchio…
Diario di bordo della Atlantic Twin, 11 novembre 2004.
Mentre scrivo sono nel mezzo della baia di New York mentre la barca va su e giù in modo esagerato. Questa email è datata 11 novembre ma l’ho spedita oggi (15/11/2004) nella pausa pranzo in ufficio (di domenica). Sto scoprendo che non soffro il mal di mare, a questo punto credo avrei già vomitato. Neanche mi gira la testa, il problema è un altro: fare questa vita per più di una settimana non credo che potrei.
E’ dal primo giorno che mi è stato detto che avrei dovuto passare anche più di un mese imbarcato in condizioni brutte in futuro. Per ora saranno pochi giorni, ma le condizioni qui sono quelle di stare a stretto contatto con estranei in un ambiente molto ristretto per lungo tempo.
Poi c’è che il mangiare su una barca da lavoro come questa non può essere un granché. Se aggiungiamo che siamo negli USA, lascio immaginare la qualità …e l’igiene.
Io sono in una cabina con due lettini storti (povera schiena) insieme ad un ragazzo di Vancouver di nome Sean. Beh, ci si starebbe stretti da soli ed è meglio che non la descriva, basti sapere che c’è la moquette chissà da quanto tempo e chissà se l’hanno mai pulita (questa specie di relitto ha circa 35 anni). Fuori dalla porta una caldaia tira fuori
un’aria infernale caldissima ed irrespirabile. E dentro a contrastarla c’è l’aria condizionata (la cabina è sotto il livello del mare).
Sean è l’esperto del sitema di acquisizione dati che io devo imparare mentre sono a bordo. Quindi lui insegna, e prima imparo, prima scendo a terra. Il problema è che se io riesco in questo momento a scrivere al computer, lui non ce la fa a stare in piedi ed è sul lettino in cabina, non sopporta la barca che fa su e giù (adesso è veramente forte, ma il mio stomaco sembra reggere – a volte manco i tasti…!). Quindi il mio dramma è che se Sean si sente male, io non posso fare progressi. Probabilmente mi toccherà lavorare con lui stasera in porto mentre gli altri andranno forse in giro (per quel poco o nulla che ce da vedere qui, anzi, facciamo nulla). Il porto è in una località del New Jersey che si chiama Belford. All’orizzonte si vede Manhattan, col ponte Giovanni da Verrazzano, illuminato di notte, che la collega a Staten Island. Intorno il nulla, squallide case, squallidi pescherecci, freddo cane. Insomma, uno sballo.
Per fortuna nell’equipaggio c’è gente simpatica, primo fra tutti un mio collega abruzzese, Giancarlo. Lui ha sempre fatto geologia marina, è il responsabile della missione ed è uno sbrago. Ci prendiamo molto bene e ci divertiamo insieme al suo amico di tante missioni, Marco, un tecnico barese estremamente preparato. A bordo c’è anche un archeologo, Ralph, americano come la ciurma (che viene dalla Florida – che accento!); è qui in caso trovassimo, come è successo poco fa, dei relitti sul fondale. Infatti il lavoro consiste nell’effettuare dei rilievi del fondale lungo dei percorsi in cui saranno posizionati dei cavi per le telecomunicazioni. I cavi sono della Pirelli…. (gli italiani so’ forti!).
Dell’equipaggio fa parte anche Nino, un ragazzo del Montenegro, sposato ad una americana, vive a NY da anni. Guai fargli una domanda! Comincia a parlare e non si ferma più. Una vera minaccia!
Oggi qui è il giorno dei veterani. L’America commemora i suoi caduti nelle varie guerre, evitabili e non…. Beh, Nino pure ha detto che è un veterano …della guerra contro gli USA (c’era pure l’Italia a bombardare Belgrado…). Ora la barca fa pure destra-sinistra, non solo sopra e sotto! Argh!
Insomma, il mio problema è che se devo fare una vita così, con missioni lunghe a mare, non è per me. Mi era stato detto che questo sarebbe stato un periodo di prova anche per permettere a me di vedere se mi andasse di fare questo lavoro. La vedo brutta… Un mese così, anche meno …mi prenderebbe veramente male! Non è per tutti…
Finalmente sto vedendo gli Stati Uniti dal vero. Vivendoci ti rendi davvero conto. Noi siamo abituati a vederli filtrati attraverso le macchine da presa di Hollywood. Sembra tutta un’avventura, una cosa eccitante, fico vivere là. Da dentro è tutto normale, anzi, può essere davvero squallido, molto più che una qualunque cittadina italiana, in cui puoi anche star male ma sicuramente il paesaggio è bello. Posso assicurare che vedere qualcosa di bello qui (in città) è moooolto difficile.
New York City è diversa, non bella ma affascinante. Sarà che sono abituato al caos di una città in cui c’è di tutto e quindi mi sento di più a casa. In città hai sempre la sensazione che se vuoi uscire di casa puoi subito fare una passeggiata tra la gente. Qui ‘ndo’ cz vai! 😉
Insomma, mi si spegne il sogno americano (già aveva avuto una bella botta tempo fa pensando a come gli piace fare la guerra e alla pena di morte). Era un sogno legato principalmente alla musica – quella rimane grande davvero. Gli americani, quelli veraci, sono molto diversi. Ancora a New York, ne incontri di più interessanti, più aperti di mente, magari più interessati ad arte, musica, politica, cultura in genere, e alle diversità a cui comunque sono abituati. Il resto di questo paese è in media fatto da gente con poche idee e molto radicate; infatti hanno rieletto lo scimmione (ma così offendo le scimmie, e poi ad eleggere coglioni siamo bravi pure noi)…
Non voglio certo fare di tutta l’erba un fascio, ho diversi amici americani che non ricadono nella descrizione di cui sopra. Anzi, magari diversi italiani potrebbero anche essere descritti così. Parecchi di questi amici e amiche sono preoccupati per la direzione che ha preso il loro paese e per l’immagine di questo che si è creata all’estero. Certo non ho potuto rasserenarli dicendo loro che l’America di Bush diventa sempre più simpatica all’estero…
Comunque, ho fatto bene a non venire qui a studiare. Non ci vivrei bene, ora lo so per certo. Non cambierei Roma con nulla. Magari devo ancora vedere Parigi, ma preferisco i difetti di una splendida città come la mia piuttosto che quelli di un’altra che sia pure brutta!
Se penso che questo è il modo di vivere più imitato al mondo in questo momento… Mi chiedo perchè. Basta sentir parlare qualcuno in tv per chiedersi perchè dovremmo imparare tutto dagli USA? Perchè imitarli? Semmai il contrario. Eppure le mode partono da qui e poi ce le ritroviamo in tutta Europa. Perchè?
Ed ho anche toccato con mano come molti di loro non si rendano per niente conto di quello che c’è fuori dai loro confini. E lo sanno, te lo dicono tranquillamente che non sanno nulla dell’estero! Dell’Italia sanno solo quello che vedono dai discendenti degli emigrati, della pizza, pasta e mafia. Ce ne rendiamo conto dai film…
Comincio persino a stancarmi anche di parlare inglese, anche se sta diventando sempre più normale. Come sempre quando sono all’estero, ho una reazione di orgoglio nazionale. Noi siamo abituati come italiani a darci addosso e sminuirci. Quando siamo fuori è facile vedere che non ce n’è ragione. Abbiamo alle spalle una cultura micidiale e la differenza si vede! A cominciare dalle tradizioni culinarie (vabbè, sparo sulla crocerossa…).
E’ vero, domenica sono rimasto in panne, di sera, in piena Manhattan, la prima volta che ci guidavo. Beh, ho potuto chiamare un soccorso che è venuto a farmi ripartire con i cavi (batteria a terra). Che bello, di domenica trovi i meccanici aperti in città —> $75! Senza contare che poco prima si è fermato un tassista privato che io ho scambiato per il meccanico che stavo aspettando. Ha voluto 20 dollari pure lui per il favore che un italiano avrebbe fatto gratis… (poi mi è toccato pagare pure il servizio che avevo chiamato). Insomma, bel ridimensionamento. Nuova prospettiva. Esperienza che ho fatto bene a fare proprio per eliminare qualunque dubbio in proposito.
Mi farò questo Natale a New York, Capodanno pure, ma se mi dicessero che devo ripartire domani non mi metterei a piangere…
Ora ho scambiato 4 chiacchiere col “cliente”, un consulente napoletano della Pirelli, che è qui per vedere se facciamo le cose bene. Dice che fa questo mestiere perchè non soffre il mal di mare, e pure lui non vede l’ora di scendere (e tornare in Italia). Beh, la barcaccia a volte salta pure, mi sento la testa strana ma sto bene, anche se ogni tanto mi devo reggere al tavolo… brutto segno! 😉
C’ho er fisico! Anche se però ho un raffreddore con mal di gola e tosse da un bel pezzo (è il mio punto debole). Magari sono allergico alle schifezze e le polveri varie che ci sono a bordo, specie in camera…
Parlando di schifezze, ieri ho vinto la repulsione a fare la doccia qui a bordo. La prima volta avevo dovuto vincere la repulsione ad andare al bagno (anzi, al cesso…). Gli americani hanno il water (appunto) pieno d’acqua (in Italia si dice che gli str. galleggiano, no?). In più in barca la carta non si può buttare dentro, sennò si intasa. C’è un recipiente, i dettagli li risparmio… ed il tutto è a un centimetro dalla doccia, tanto per spiegare la repulsione di cui sopra. E solo due cessi in tutto…
Fine del diario di bordo per oggi. A proposito, vado al bagno, sperando di riuscire a fare centro…. 😉
Bye!
Pasquale