Il principio di isostasia

La superficie del nostro pianeta presenta notevoli variazioni di quota. In effetti circa i ¾ sono ricoperti dall’acqua dei mari il cui livello medio è stato convenzionalmente scelto come riferimento per le quote della superficie. L’analisi statistica delle elevazioni della superficie terrestre ci fa notare qualcosa di interessante: la percentuale maggiore delle quote si attesta intorno a due valori particolari che sono il livello medio dei fondali oceanici (circa –3800) e quello medio delle terre emerse (intorno agli 840 m).

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Sul relativo grafico di distribuzione percentuale delle aree rispetto alle quote, detto “curva ipsografica” (in alto), si può notare che le porzioni di superficie che raggiungono le quote minime (i circa –11000 m della Fossa delle Marianne) e quelle massime (gli 8850 m del Monte Everest) sono una frazione molto piccola del totale.

In poche parole le catene montuose sono quasi un’eccezione, così come le fosse oceaniche, sulla superficie della Terra.

Esse si presentano in cosiddette fasce, notevolmente più sviluppate in una direzione che nell’altra. Ma cos’è che le tiene in piedi a quote così eccezionali rispetto alla maggior parte delle terre emerse?

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George Everest (1790 – 1866)

Tra il 1840 e il 1850, il geografo gallese George Everest (1790 – 1866) diresse il grande rilevamento topografico dell’India. Il rilevamento, che fu completato nel 1871, portò alla misurazione dell’altezza dei grandi picchi dell’Himalaya come l’Everest e il K2. Fu anche occasione per la prima misurazione precisa di un arco di longitudine. Oltre metodi rivoluzionari ideati dallo stesso Everest, i metodi usati erano la tradizionale triangolazione e l’uso della posizione di una stella di riferimento ad una stessa ora del giorno. Entrambi i metodi avrebbero dovuto dare risultati identici ma invece così non fu; l’errore di misura della distanza di due città, Kaliana e Kalianpur, rispettivamente a circa 100 e 700 km di distanza dalla catena himalayana, era notevole: il metodo della triangolazione dava 150 km in più rispetto a quello astronomico!

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John Henry Pratt (1809-1871)

Nel 1854, su richiesta del successore di Everest, Andrew Scott Waugh, l’arcidiacono di Calcutta John Henry Pratt (1809-1871), matematico britannico, esaminò il problema. Pratt fece notare che l’errore era proprio nelle misure astronomiche: per determinare la posizione di una stella bisogna conoscere esattamente la direzione dello zenith, cioè la verticale individuata con un filo a piombo. Pratt suggerì che l’attrazione gravitazionale dell’Himalaya e dell’altopiano tibetano sul filo a piombo era più forte a Kaliana, più vicina alla catena, che a Kalianpur e ciò avrebbe quindi causato le discrepanze che portavano all’errore. Quando però ne calcolò l’entità valutando la massa di Himalaya e Tibet fece una scoperta sconcertante: l’errore veniva tre volte superiore a quello effettivamente constatato! Il piombo risultava deviato dalla verticale di un angolo inferiore rispetto a quello previsto! (The attraction of the Himalaya Mountains upon the plumbline in India, Pratt 1855)

In altre parole, il calcolo sovrastimava le masse di Himalaya e Tibet; le montagne esercitavano una attrazione quindi minore di quella calcolata in base alla loro densità. In realtà Pratt disponeva delle carte topografiche dell’epoca che ponevano la catena ad una quota neanche la metà di quella che ora conosciamo, quindi avrebbe potuto calcolare una massa mancante perfino maggiore. Pratt ipotizzò che sotto le montagne ci fosse del materiale meno denso di quello circostante che avrebbe tenuto su la catena per spinta di Archimede. Infatti, secondo Pratt, le parti di crosta a densità minore venivano spinte più in alto: maggiore lo spessore di crosta, minore la densità, maggiore l’elevazione raggiunta; in questo modo le catene montuose, forti ispessimenti della crosta, si sarebbero mantenute “a galla” come degli iceberg.

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George Biddell Airy (1801 – 1892)

 

George Biddell Airy (1801 – 1892), eminente fisico matematico e astronomo reale d’Inghilterra, lesse il lavoro di Pratt nel suo studio di Londra. Gli venne in mente che probabilmente la superficie della Terra non è abbastanza rigida da sopportare il carico delle montagne senza deformarsi. La deformazione porta ad una carenza di massa sotto le montagne dovuta al materiale meno denso che “riempie” l’incurvatura. Quindi egli contrapponeva alle variazioni laterali di densità di Pratt una crosta più leggera del substrato su cui “galleggia”, di densità costante ma spessore variabile.

Allo stato odierno delle conoscenze il modello di Pratt si adatta meglio alla situazione degli oceani mentre quello di Airy si addice di più a situazioni continentali. Ad entrambi va il merito di aver applicato alla Terra il principio dell’isostasia: materiale più denso tende ad assumere quote inferiori. Ciò può spiegare l’esistenza dei due livelli preferenziali nella curva ipsografica così come la forte elevazione delle montagne.

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La composizione media della crosta continentale è vicina a quella del granito che ha una densità di circa 2,6 – 2,7 g/cm3, mentre la crosta oceanica mostra una composizione di tipo basaltico, con densità più vicina a 3 g/cm3 ed assume perciò quote inferiori. Tutto ciò dovrebbe far presupporre che il materiale superficiale “galleggi” su quello sottostante, a densità maggiore e a comportamento fluido, almeno per movimenti molto lenti.