La Tettonica delle Placche – un pianeta che vive

Quello che mi aveva affascinato della geologia durante i miei studi universitari era stato aver acquisito la capacità di vedere il nostro pianeta come un’entità in continuo sviluppo, qualcosa di vivo in un certo senso, che cambia, si muove, pulsa. Man mano che il corso si avviava alla conclusione vedevo tutte le materie che avevo studiato confluire in un sapere unico. Mineralogia, petrografia, paleontologia, sedimentologia, geofisica, tettonica erano tutte intimamente collegate e contribuivano a completare la teoria della Tettonica delle Placche, la teoria unificatrice che alla fine degli anni sessanta diede alla Geologia la dignità di una vera Scienza.

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La manifestazione più evidente del pulsare del nostro pianeta sono i vulcani e i terremoti, ma il segno più sconcertante ed affascinante sono forse le catene montuose.

Anni fa mi capitò di cimentarmi nella prova scritta di un concorso per dottorato di ricerca, sebbene convinto di non avere più i numeri né l’età per tentare una carriera universitaria. Erano anni che sognavo la Geologia affascinante che grandi maestri come Parotto e Funiciello mi avevano fatto amare, ma ero costretto a lavoretti vari per sbarcare il lunario. Avevo sempre mantenuto vivo l’interesse per la geologia scientifica e continuavo a leggere di mineralogia, petrografia, geologia, tettonica e a scrivere appunti per non perderne la memoria. Quel giorno, con mia grande sorpresa, il tema sorteggiato aveva come titolo “La genesi delle catene montuose”, un argomento per cui avrei potuto parlare per ore, grazie alla mia ostinazione negli anni precedenti a leggere e rileggere i miei testi universitari preferiti. Con una certa soddisfazione vidi una laureata in fisica abbandonare l’aula. Perché ne ero contento? Quando mi iscrissi all’università volevo fare astrofisica, ma non ressi alle primissime lezioni e “fuggii” letteralmente a geologia. Mi rimase il dubbio che un fisico fosse in qualche modo scientificamente superiore a un geologo. Quel giorno ebbi la prova di si: in fisica, non in geologia. Per la prima ora stetti lì a pensare, riordinando le idee, poi scrissi tutto di getto, senza dover ricopiare in bella. Fu uno dei temi migliori, forse anche il migliore. Piacque anche a me, senza false modestie. Credo di essere stato in grado di buttar giù delle pagine che parlavano di geologia come piace a me, in modo divulgativo, tanto che anche dei non addetti ai lavori avrebbero potuto leggerle.

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Non se ne fece nulla, dato che al dottorato ebbero accesso quelli che dovevano accedervi, non io, l’outsider, come è regola nel nostro mondo accademico. Ma fu per me un’esperienza esaltante, dopo anni di disoccupazione e quasi disperazione, di sogni infranti e dubbi sulle scelte del passato, mettermi di nuovo alla prova in un esame (post-laurea poi!) e riuscire così bene, il primo degli esclusi per un solo punto! Altri si sarebbero disperati, avrebbero maledetto il sistema (che funziona così, ma non ho mai visto mandare avanti degli incapaci). Io ero felice di aver dimostrato a me stesso che il mio sapere geologico era ancora vivo e vegeto, che ero in grado di sostenere senza problemi un esame di accesso a un dottorato dopo tutti quegli anni di inattività.

Con questa soddisfazione partii per il Cairo, dove andai ad insegnare in una scuola superiore italiana e dove continuai a sognare la Geologia che volevo, leggendo libri e buttando giù appunti. Dopo soli tre mesi abbandonai l’incarico nella scuola, sempre per via del sogno che inseguivo. Criticato da tutti, dimostrai poi di avere ragione, ottenendo un incarico come geologo di terreno durante gli scavi di una importante galleria, avendo anche modo di collaborare con Mario Tozzi, che era stato assistente di Parotto e Funiciello mentre mi laureavo e ormai avviato alla celebrità. A quel lavoro seguì un assegno di ricerca nella stessa università dove avevo “fallito” il concorso per dottorato. Ebbi la possibilità di lavorare fianco a fianco con i miei vecchi professori e con persone come Sveva Corrado, a cui devo la realizzazione del sogno lavorativo (non sarebbe stato possibile senza di lei) e a tanti altri ottimi ricercatori e professori, tra cui il mostro sacro della geologia italiana Antonio Praturlon, da cui ho continuato ad imparare moltissimo. Rimasi lì sette anni avendo l’occasione di viaggiare in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove addirittura mi proposero di tornare per un PhD! Era la chiusura del cerchio, il completamento della mia riscossa. Anche se non sono mai tornato in USA per quello, mi basta essere arrivato ad averne avuto la possibilità, ma non nego, ogni tanto, di averne un certo rimpianto. Rimane l’amicizia con Martha Withjack, che all’epoca insegnava geologia strutturale alla Rutgers University (New Jersey) che mi aveva invitato a tornare e ha continuato a farlo per qualche anno. Purtroppo non faccio più il geologo. Il sogno è stato infranto. Faccio altro ora. Cerco di mantenere il contatto con la Geologia tramite queste pagine.

Quel tema di concorso, simbolo dell’inizio della mia risalita, lo conservo ancora per ricordo. Queste pagine sulla genesi della catene montuose derivano da quel tema scritto di getto in alcune ore con tanta passione divulgativa. Ho tentato di ampliare e completare il testo e chiarire i concetti con immagini prese qua e là in rete, dando una certa rilevanza anche ai personaggi che hanno contribuito al progredire delle conoscenze geologiche e che avrebbero secondo me meritato un premio Nobel per la geologia, se mai fosse esistito…